“Siamo davanti a un delitto industriale e la vittima è la chimica di base del nostro paese. Il primo responsabile di questo crimine è Eni, che sta disattendendo ogni impegno industriale e occupazionale, con il governo, non mero spettatore, ma complice di questo delitto”. Con queste parole Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem-Cgil, ha aperto la conferenza stampa indetta dai chimici della Cgil e dalla confederazione, assieme alle altre categorie dell’indotto coinvolte e a esponenti dell’opposizione, per fare il punto sulla vertenza Eni-Versalis.
Una vertenza appunto trasversale. “Stiamo parlando di oltre 20mila lavoratori, diretti e indiretti, e potenzialmente di circa 200mila impiegati e 12mila imprese della filiera petrolchimica. Una filiera – ha spiegato Falcinelli – le cui produzioni vengono usate per l’80% da altri settori e questo dimostra la profonda compenetrazione che la chimica ha con altri comparti”. Vertenza che la Cgil, con il sostegno delle opposizioni, sta conducendo in solitaria dopo la rottura del fronte sindacale.
“Abbiamo avuto un primo incontro con l’Ad di Eni a giugno 2024 e poi un secondo a ottobre dello stesso anno. Fino a quel momento – ha ricordato il segretario della Filctem – il sindacato ha espresso una posizione unitaria, che poi è venuta meno, in modo più rapido e marcato da parte della Femca e più graduale da parte della Uiltec. Ci viene rinfacciato il fatto che stiamo conducendo una battaglia politica contro il governo. La nostra è una battaglia per difendere l’occupazione e un asset industriale strategico per il nostro paese”.
Il punto stampa è stato anche l’occasione per operare un fact-checking nei confronti di alcune affermazioni di Eni che la Cgil ritiene del tutto infondate, e per presentare i contenuti della memoria che la confederazione ha elaborato per la X Commissione Attività produttive della Camera. Per il sindacato di Corso d’Italia le perdite di 7 miliardi dichiarate da Eni non sono tali. Infatti, affermano, Eni riacquista da Eni-Versalis la materia prima a costi di mercato. Così come la Cgil ritiene infondata l’affermazione che la chimica di base sia ormai una produzione che anche gli altri paesi europei stanno abbandonando. Contro questa tesi c’è, per il sindacato, non solo il fatto che i livelli produttivi degli altri stati siano ben al di sopra dei nostri, ma anche alcune acquisizioni che stanno avvenendo in Europa.
Come si legge nella memoria della Cgil l’Italia è, tra i paesi maggiormente industrializzati, fanalino di coda con 0,5 milioni di tonnellate annue, superata anche da Polonia e Ungheria, ciascuna con 0,7 milioni di tonnellate e da Svezia, Norvegia e Turchia con 0,6 milioni. Al primo posto la Germania con 6,2milioni di tonnellate, seguita da Olanda e Francia, con 4 e 2,6 milioni di tonnellate. Inoltre Lyondellbasell, uno dei più importanti produttori di poliolefine nel mondo, recentemente ha messo in vendita un “pacchetto” di impianti europei costituito da cracking, per la produzione di polietilene e polipropilene, localizzati in Francia, in Germania, in Spagna, nel Regno Unito e in Italia, ossia quello di Brindisi. La memoria della Cgil spiega che Lyondellbasell abbia comunicato di aver ricevuto una manifestazione di interesse per l’acquisto di tutti gli impianti fatta eccezione per quello pugliese.
L’esclusione va ricercata nella mancata integrazione del sito. Infatti il propilene necessario per l’approvvigionamento dell’impiatto di polipropilene viene fornito dal cracking che si trova sempre nella cittadina pugliese di proprietà di Versalis, fermato nel mese di marzo. Con la dismissione del cracking si firma così la condanna di tutto il polo industriale.
“È dagli anni 2000 che si afferma che non c’è futuro per la chimica in Italia. In 25 anni – ha proseguito Falcinelli – siamo passati da 20mila addetti agli attuali 6 mila diretti. Nel piano industriale presentato da Eni per il triennio 2023-2026 erano previsti 1,5 miliardi di investimenti, dei quali non c’ è traccia. E questa nuova fase annunciata dall’azienda come un processo di riconversione green non ha nulla che ci faccia pensare che questa sia la strada che vogliono realmente intraprendere”.
Nello specifico il piano di Eni-Versalis, contenuto nel protocollo in discussione al Mimit, prevede lo stop degli ultimi due cracking ancora attivi, quello di Priolo e quello di Brindisi, e la chiusura del polietilene di Ragusa. Se questo piano fosse portato a termine l’Italia, illustra ancora la memoria della Cgil, sarebbe l’unico paese industriale a non avere più una petrolchimica integrata, con seri contraccolpi sugli impianti superstiti di Ferrara, Mantova e Ravenna che, in mancanza dei prodotti che vengono dai cracking. dovrebbero essere riforniti dall’estero, abbattendo la loro competitività da un punto di vista economico.
Sul fronte occupazionale, il piano di trasformazione prospettato da Eni prevede, una volta a regime gli investimenti, che gli addetti, diretti e indiretti, rimarranno invariati a Priolo e Ragusa, e saranno superiori a Brindisi. Attualmente Versalis occupa a Priolo 420 addetti, a Ragusa 125, a Brindisi 476. Un totale di 1.021 lavoratori, ai quali vanno aggiunti 3.063 dell’indotto.
Congetture che la Cgil ritiene fin troppo ottimiste se non impossibili da realizzare. Difatti, durante le passate dismissioni della chimica di Eni, non è mai accaduto, argomenta la confederazione, che le produzioni chiuse o passate di mano siano state sostituite da altre di maggior valore. Il protocollo per la chimica verde di Porto Torres, sottoscritto nel 2011, conteneva 730 milioni di investimenti e un incremento occupazionale di 90 unità. Ad oggi solo 200 milioni sono stati spesi e i posti di lavoro persi sono stati 400. Nel 2014 si arriva al protocollo di Gela, a seguito della chiusura dell’impianto di polietilene e della raffineria. Gli occupati diretti sono scesi di 363 unità che con l’indotto salgono a 900. A Porto Marghera, il protocollo del 2014 annunciava la chiusura del cracking, investimenti per 200 milioni di euro e il passaggio dai 410 lavoratori del 2014 ai 430 del 2017. Oggi, dopo altri 70 milioni messi sul tavolo, sono stati spesi solo 40 milioni, e gli occupati sono 294.
A preoccupare la Cgil anche l’assenza di garanzie per l’indotto. “Abbiamo chiesto al governo che Eni-Versalis desse una rendicontazione delle lavorazioni in appalto – ha detto Falcinelli nel corso della conferenza stampa – ma non abbiamo avuto risposta”.
“Il governo continua ad avallare il piano di Eni Versalis e il ministro Urso – ha sottolineato Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil – sostiene perfino che la chiusura dei cracking sia funzionale alla decarbonizzazione, perché senza quegli impianti si produrranno meno tonnellate di anidride carbonica. È una bugia di comodo: i siti dovranno approvvigionarsi all’estero, e lo stoccaggio e il trasporto di etilene e poliolefine produrrà un quantitativo maggiore di Co2 rispetto alla produzione in Italia”.
Per il sindacato “serve una svolta immediata, per questo chiediamo al governo di fermare il piano e definire un nuovo piano nazionale sostenibile per la chimica di base. O, in alternativa, di favorire la cessione degli impianti a un gruppo industriale internazionale realmente interessato allo sviluppo del settore e non alla sua dismissione. La chimica non è il passato, è il futuro dell’industria italiana. Se il governo non interverrà, sarà complice della distruzione di un asset strategico nazionale, con danni irreversibili per l’economia, l’occupazione e la sovranità industriale del paese”.
Tommaso Nutarelli
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