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Innovazione e ricerca: la strategia di Eli Lilly per il futuro in Italia


Oltre cinquanta studi clinici in fase tre; quindici nuovi trial in via di sviluppo; quasi un miliardo e mezzo di euro investiti negli ultimi vent’anni, con ulteriori 750 milioni previsti entro il 2025. Eli Lilly, multinazionale farmaceutica presente in 120 Paesi nel mondo, continua a scommettere con convinzione sull’Italia. Lo fa da decenni ormai e le motivazioni sono rimaste immutate nel tempo: capitale umano altamente qualificato e una struttura imprenditoriale solida.

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“Ci piace pensare di aver scelto l’Italia non una volta, ma più volte. È uno dei nove siti di produzione che abbiamo in tutto il mondo. Siamo qui da 65 anni e l’Italia ricopre ancora oggi un ruolo di importanza strategica per Lilly, perché da qui esportiamo in oltre 60 Paesi”, spiega Elias Khalil, presidente e amministratore delegato dell’hub italiano di Lilly, in carica da giugno 2024.

Nato e cresciuto in Libano, trasferitosi negli Stati Uniti nel 2004, Khalil è entrato in Lilly nel 2008 ricoprendo posizioni di leadership nella business unit internazionale e negli Stati Uniti. Dallo scorso 28 marzo è anche presidente dell’Italian american pharmaceutical group (Iapg), realtà che riunisce le aziende farmaceutiche italiane a capitale americano.

È indossando (anche) questi panni che tiene a sottolineare un punto importante: “Vogliamo continuare a investire in Italia, ma servono messaggi forti da parte del sistema italiano per far capire alle aziende di essere benvenute. A cominciare dalla progressiva riduzione del payback farmaceutico”.

Un patto industriale con l’Italia

È nel 1959 che Lilly ha deciso di stabilire le sue fondamenta in Italia, avviando uno stabilimento a Sesto Fiorentino (entrato in funzione nel 1962), attivo nella produzione di farmaci biotecnologici e di dispositivi medici di somministrazione, stipulando di fatto un vero e proprio patto industriale con l’Italia. Patto rinnovato ulteriormente nel 2023, con l’annuncio di altri investimenti finalizzati all’ampliamento del sito toscano.

“Una mossa che allarga la nostra capacità di essere un attore strategico per il sistema industriale del Paese, dato che entro il 2025 contribuiremo al Pil italiano per 1,5 miliardi di euro, con la possibilità di generare seimila posti di lavoro tra dipendenti diretti e quelli dell’indotto. Un’iniziativa che, peraltro, non interessa solo il nostro sito, ma prevede anche la collaborazione con i nostri partner su tutto il territorio nazionale: università, centri di ricerca, strutture ospedaliere, con l’obiettivo unico di favorire il trasferimento tecnologico fino al letto del paziente”, sottolinea Khalil.

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Le aree terapeutiche di interesse

Fin qui, il valore generato dagli investimenti. Ma per Lilly l’obiettivo da raggiungere (in Italia e non solo) riguarda soprattutto l’aspetto legato alla medicina, sfruttando la leva che l’ha sempre contraddistinta: l’eccellenza scientifica. “Nella nostra storia abbiamo sviluppato quasi cento farmaci, di cui il 20% solo negli ultimi dieci anni – sottolinea Khalil – e stiamo cercando di accelerare ancora per ottenere nuovi percorsi di cura nelle cinque aree terapeutiche in cui operiamo: malattie cardiometaboliche, immunologia, oncologia, ematologia e nelle neuroscienze. Ci concentriamo nelle aree in cui emergono bisogni clinici insoddisfatti, con l’intento di proporre soluzioni ‘first in class’ o ‘best in class’”.

Obesità ma non solo

Per raggiungere tali obiettivi un concetto deve essere chiaro: non esistono grandi traguardi senza grandi fallimenti. È il mantra che ripete Khalil: “Mi piace ricordare che spesso abbiamo fallito. Ma tali fallimenti sono stati la spinta per andare avanti nel mondo della ricerca scientifica. Senza fallimento non possiamo imparare”. Ed è seguendo queste dinamiche che oggi Lilly si propone nella veste di leader nel campo di patologie come l’obesità e il diabete, per esempio, con un prodotto già sul mercato e almeno altri undici in pipeline.

“Stiamo sviluppando i farmaci della prossima generazione nel campo dell’obesità. Ma siamo attivi da oltre trent’anni nella lotta all’Alzheimer. E di recente, il nostro impegno si è focalizzato anche nel contrasto alle malattie infiammatorie croniche intestinali, come la colite ulcerosa o la malattia di Crohn. Senza dimenticare le innovazioni che stiamo portando, anche per i pazienti italiani, nel campo dell’ematologia con un farmaco per il linfoma mantellare e la leucemia linfatica cronica”.

Uno sguardo al futuro

Il futuro sarà ancora all’insegna del potenziamento della ricerca scientifica. Si tratta di un’area in cui Lilly investe in media il 25% del fatturato. Soltanto lo scorso anno il gruppo ha investito oltre nove miliardi di euro in quest’area.

“In prospettiva, ci concentreremo anche sulle neuroscienze, cercando soluzioni per quei pazienti che hanno a che fare con malattie molto complesse come il Parkinson e la SLA, per esempio. E poi c’è tutto il tema delle malattie cardiovascolari, che sono la prima causa di morte nel mondo. Anche in questo settore stiamo cercando nuovi percorsi terapeutici per pazienti ad alto rischio di mortalità. La nostra visione rimane sempre quella di proporre le migliori soluzioni terapeutiche, in grado di fare la differenza per la qualità di vita dei pazienti”.

Alla guida di Iapg

Da poco più di un mese Elias Khalil guida il gruppo delle quindici aziende che fanno parte di Iapg. Si tratta di realtà che impiegano in Italia 14 mila dipendenti, rappresentano il 30% del fatturato totale del settore farmaceutico italiano e hanno introdotto nel nostro Paese oltre 2,4 miliardi di euro di nuovi investimenti in ricerca, sviluppo e produzione negli ultimi cinque anni.

L’Italia è il secondo Paese dell’Unione europea in termini di occupazione nel settore farmaceutico per le aziende statunitensi (dopo la Germania) e il farmaceutico italiano è tra i primi tre settori per gli investitori statunitensi in termini di valore aggiunto. Altri numeri riguardano le vendite ex-factory (6,6 miliardi di euro, 31% del totale dell’industria) e l’export (8 miliardi di euro). “È un onore coordinare questo prestigioso gruppo di imprese italiane a capitale americano.

Nelle vesti di presidente tra le mie priorità c’è senz’altro quella di provare a ridurre progressivamente il payback. Oggi tale strumento ha raggiunto cifre insostenibili, che si aggirano tra il 18 e il 20 per cento del fatturato. Si tratta di una vera e propria tassa sull’innovazione. Il gruppo delle aziende di Iapg ha intenzione di continuare a investire in Italia, ma serve anche una risposta concreta da parte delle istituzioni, che per noi vuol dire graduale eliminazione del payback. Solo così possiamo salvaguardare l’intero settore”.

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