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A marzo il rischio di credito per le imprese italiane al minimo dal 2020	| BusinessCommunity.it


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Negri (Cerved Rating Agency): nei prossimi mesi la probabilità di default potrebbe però aumentare, a seguito di tensioni commerciali e una domanda debole, elementi che potrebbero colpire in particolare le imprese che esportano negli USA

A marzo 2025 la probabilità di default delle imprese italiane ha raggiunto il livello più basso dal 2020. Le aziende italiane sono riuscite a fronteggiare con successo l’incertezza derivante da stress macroeconomici consecutivi, come le tensioni geopolitiche, il restringimento delle condizioni di finanziamento e l’andamento inflattivo. Nei prossimi mesi la probabilità di default potrebbe aumentare, a seguito di tensioni commerciali e una domanda debole, elementi che potrebbero colpire in particolare le imprese che esportano negli USA ” .

Lo studio “Credit Outlook 2025” prende in esame un complesso intreccio di dinamiche: commercio globale, scenari geopolitici, inflazione, decisioni di politica monetaria e fiscale. Nello scenario di riferimento, che appare più plausibile, la probabilità di default media delle aziende italiane, pur salendo al 5,5%, non dovrebbe raggiungere i picchi del dicembre 2023 (6,2%), il livello più alto dell’ultimo decennio. Questa ipotesi prevede che i dazi imposti dagli Stati Uniti nei confronti dell’UE si mantengano intorno al 10% per un anno, spingendo molti Paesi a riorientare le proprie strategie commerciali, spesso con l’introduzione di dazi reciproci. Le imprese si trovano così a dover esplorare e indirizzare la produzione verso nuovi mercati, un processo che genera effetti destabilizzanti sul commercio mondiale e sulla fiducia di consumatori e aziende.

 

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L’impatto complessivo sull’Italia, nondimeno, sembra mitigato in parte dalla minore dipendenza dall’export di alcuni settori cruciali. Il settore terziario, per esempio, che costituisce oltre il 73% dell’economia nazionale, subisce nel breve termine effetti più indiretti e meno intensi. Guardando agli investimenti, il PNRR si appresta a entrare nella sua fase operativa più intensa, con spese programmate per circa 108 miliardi di euro nel biennio 2025-2026. Parallelamente, un potenziale piano europeo per il riarmo potrebbe sbloccare oltre 800 miliardi di euro a livello continentale, un impulso significativo per alcuni settori italiani.
Un’analisi più approfondita dello scenario di base rivela differenze settoriali marcate. I settori più sensibili al ciclo economico, al consumo discrezionale e all’export verso gli Stati Uniti mostrano il maggiore incremento della probabilità di default. Questi includono:

– l’Automotive, con la PD media che si prevede passi dal 5,2% di marzo 2025 al 5,7% di marzo 2026;

– il Tessile-Abbigliamento, atteso passare dal 5,7% al 6,1%;

– i Beni Alimentari e Bevande, da 4,6% a 4,9%;

– il Farmaceutico, da 4,2% a 4,5%.



Al contrario, una riduzione della PD è attesa per i settori meno influenzati dalle dinamiche del commercio internazionale. Tra questi spiccano: i servizi per Turismo, Ospitalità e Ristorazione, in calo dall’8,7% del marzo 2025 all’8% del marzo 2026; l’ICT, con una diminuzione dal 4,6% al 4,4%; le Utilities, previste scendere dal 4,2% al 4%.
Per quanto riguarda le dimensioni aziendali, la probabilità di default per le grandi imprese dovrebbe mantenersi stabile al 3,1% a marzo 2026. Le piccole e medie imprese (PMI), invece, vedono aumentare la propria PD dal 6,3% nel 2025 al 6,6% nel 2026.
Il Credit Outlook 2025 esplora anche due scenari alternativi, considerati meno probabili ma comunque possibili. In quello peggiorativo, il rischio medio di default in Italia potrebbe salire al 6,5%, superando ogni livello precedentemente registrato dall’agenzia. Questa prospettiva si concretizzerebbe in caso di una guerra commerciale globale prolungata, capace di innescare una recessione sia negli Stati Uniti che nell’UE. Un inasprimento del conflitto in Ucraina contribuirebbe inoltre a una nuova impennata dei prezzi energetici, alimentando l’inflazione e inducendo un ulteriore irrigidimento della politica monetaria. Inoltre, una realizzazione solo parziale del PNRR e del programma ReArm UE non riuscirebbe a sostenere la ripresa della fiducia di consumatori, imprese e investitori.


In uno scenario ottimistico, la probabilità di default media scenderebbe invece al 5,1%. Questa visione più rosea si baserebbe sull’abbandono da parte degli USA della linea dura sui dazi e sulla possibilità di una tregua o di una pace duratura tra Russia e Ucraina. Eventi del genere porterebbero a una ripresa generalizzata della fiducia sui mercati e tra gli operatori economici, accompagnata da un calo dell’inflazione e una riduzione dei tassi di interesse.
Data l’importanza delle dinamiche legate ai dazi americani, è stata condotta un’analisi specifica su un campione di circa 700 imprese italiane valutate da Cerved Rating Agency e attive nell’export verso gli Stati Uniti. Queste aziende rappresentano un segmento significativo dell’economia, con un fatturato complessivo di circa 90 miliardi di euro e oltre 190.000 dipendenti. I settori più rappresentati in questo gruppo sono l’industria meccanica, l’agroalimentare, il tessile e moda, e la lavorazione dei metalli.



Nel loro complesso, queste imprese mostrano una solidità finanziaria superiore alla media nazionale, con una probabilità di default significativamente inferiore (3,5% contro il 5,3% della media italiana). Nondimeno, le stime suggeriscono che l’esposizione ai dazi statunitensi potrebbe causare un aumento maggiore del loro rischio di credito nei prossimi dodici mesi. In particolare, le PMI esportatrici verso gli USA, tendenzialmente meno robuste dal punto di vista patrimoniale e con margini di profitto più contenuti, mostrano un aumento della rischiosità molto più elevato rispetto a imprese di dimensioni simili ma non esposte al mercato americano (+8% contro +3%). Per le grandi imprese esportatrici, la variazione stimata è rispettivamente del +4%, rispetto al +3% per quelle non esportatrici.







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