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Trump e l’Europa: una sfida che può diventare un’opportunità per rafforzare l’Unione


Fino alla vigilia dell’Inauguration Day del 20 gennaio, il tema di maggior rilievo non rapporto transatlantico era come condividere una strategia comune di de-risking nei confronti della Cina, sempre più considerata una minaccia sistemica e partner strategico della Russia di Vladimir Putin. L’obiettivo era costruire un fronte tra Unione Europea e Stati Uniti in grado di ridurre le dipendenze critiche senza precipitare in una logica di decoupling radicale. Questa comune visione di intenti si sarebbe dovuta raggiungere nonostante una diversa velocità e strategia di fondo nel rapporto con la Cina. L’obiettivo di Washington, infatti, era quello di “vincere” la competizione con Pechino, mentre per Bruxelles era più che altro una questione di come “gestire” questo rapporto. Tuttavia, il ritorno di Donald Trump sulla scena politica internazionale ha rapidamente ridimensionato queste aspettative. Con un approccio improntato al bilateralismo, Trump ha aperto un canale di dialogo sia con Putin sia con Pechino, lasciando l’Unione Europea da sola nel sostenere una linea coerente di contenimento verso Mosca e Pechino.

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L’impatto di Trump sulle relazioni transatlantiche è stato profondo, ridefinendo in modo netto le dinamiche tra Stati Uniti ed Europa. Sul piano della sicurezza, l’ex presidente ha esercitato una pressione senza precedenti sui membri della NATO affinché aumentassero le proprie spese per la difesa. L’Unione, seppur riluttante, ha dovuto prendere atto del cambio di paradigma rispetto al modello di riferimento degli ultimi otto decenni: l’ombrello americano non appare più garantito in ogni condizione. Per questo, di fronte alla minaccia esplicita del ritiro dell’impegno statunitense se gli alleati non avessero investito di più, i Paesi europei hanno reagito con un cambio di passo storico. Al vertice NATO del 2025, i membri si sono impegnati ad alzare progressivamente la spesa militare fino al 5% del PIL entro il 2035 — con il 3,5% destinato alle capacità difensive principali e l’1,5% a settori connessi come la cybersicurezza e le infrastrutture. Questa svolta, determinata più dalla paura di perdere l’appoggio americano che da una convinzione politica condivisa, segna una svolta significativa nella postura strategica europea.

La decisione europea è stata motivato non solo dalle richieste esplicite della amministrazione americana, ma anche dalla posizione di Trump nei confronti della Russia. Pur in assenza di un sostegno esplicito a Mosca, l’ambivalenza dell’ex presidente rispetto al ruolo di Putin e la sua posizione poco incisiva sull’Ucraina – a cui va aggiunta la famosa discussione alla Casa Bianca con il Presidente dell’Ucraina Zelensky – hanno fatto temere un indebolimento della deterrenza occidentale. Al summit NATO del 2025, solo una riga del comunicato finale ha definito la Russia una “minaccia a lungo termine”, mentre il sostegno all’Ucraina è stato trattato in modo marginale rispetto agli anni precedenti. In un quadro del genere, anche l’idea di trovare un punto di condivisione tra Ue e Usa sulla competizione con la Cina per la vicinanza di Pechino a Mosca perde di valore, se la Russia viene nuovamente legittimata da Trump come un attore con cui trovare un compromesso.

Sul piano economico, Trump ha adottato una strategia commerciale aggressiva verso l’Unione Europea, che non ha per niente tenuto in considerazione il valore politico, strategico e storico del rapporto transatlantico. Questa mossa, definita da alcuni funzionari europei come un classico esempio di “tattica intimidatoria trumpiana”, ha acuito le tensioni in un momento già delicato per l’economia globale. L’escalation potrebbe compromettere non solo i negoziati bilaterali, ma anche la stabilità dei mercati e l’intera architettura commerciale euroatlantica. Trump ha mostrato chiaramente la volontà di usare le leve commerciali, militari e geopolitiche in modo interconnesso, cercando di ottenere concessioni in un settore minacciando ritorsioni in un altro con l’obiettivo di alzarsi sempre dal tavolo negoziale con una vittoria sostanziale.

Questo approccio ha messo i leader europei in una posizione estremamente difficile, costretti a negoziare su più fronti contemporaneamente, cercando di difendere gli interessi dell’Unione senza compromettere l’alleanza con Washington. Tuttavia, se questa condizione metterà a dura prova la coesione politica e la stabilità economica dell’Unione Europea nei prossimi anni, allo stesso tempo diversi analisti e rappresentanti istituzionali parlano di una opportunità per la Ue di proseguire neul suo percorso di coesione. L’atteggiamento di Trump, infatti, mette a nudo le debolezze strutturali della Ue e spinge i paesi membri a procedere verso riforme in ambito economico e di difesa con la massima urgenza. Si è diffusa così la consapevolezza che, se l’Europa vuole contare davvero nel mondo multipolare che si sta configurando, deve dotarsi di strumenti propri, smettere di dipendere dalle fluttuazioni politiche americane e investire con decisione nella propria autonomia strategica. Princìpi già enunciati dal Rapporto Draghi del 2024 e poi riversati nella Bussola per la competitività presentata dalla Commissione a gennaio 2025.

Un ulteriore effetto della pressione trumpian sulla UE è una spinta non solo a riconsiderare il rapporto con Pechino, anche se con il limite politico di una competizione economico di non facile risolutizione, ma soprattutto a promuovere una nuova strategia europea che guarda con attenzione all’Asia-Pacifico, sia nella forma di accordi bilaterali sia nel considerare una adesione al CPTPP (l’accordo di libero scambio che comprende Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, le principali economiche del Sudest asiatico e il Regno Unito), come nuova area di espansione commerciale e geopolitica.

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La prospettiva di un secondo mandato Trump, pur carica di incertezze e tensioni, sta dunque agendo da catalizzatore per un cambiamento profondo all’interno dell’Unione Europea. L’Europa è costretta a interrogarsi su sé stessa, sulle proprie vulnerabilità e sulle proprie ambizioni. Se saprà cogliere questa sfida come un’opportunità, potrà emergere da questa fase turbolenta più forte, più unita e più consapevole del proprio ruolo nel mondo. Paradossalmente, proprio colui che ha messo in discussione il valore della cooperazione transatlantica potrebbe passare alla storia come l’uomo che ha contribuito — involontariamente — a rendere l’Europa finalmente più sovrana.



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