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Minerali, metalli, energia in Ucraina: l’impatto della presidenza Trump


L’attenzione e le dichiarazioni del Presidente americano Donald Trump nei confronti delle risorse minerarie ucraine è un tema che ha scaldato l’opinione pubblica e le riflessioni degli analisti negli ultimi mesi, veicolando anche generale confusione su ‘terre rare’ e minerali critici. Tuttavia, è emerso come la questione dell’accesso alle materie prime critiche sia diventata perlopiù strumentale rispetto allo status complessivo delle negoziazioni bilaterali tra Stati Uniti e Ucraina verso la ricostruzione del Paese ed il supporto militare statunitense. Al momento, permangono ancora incertezze su come l’accordo sulle risorse ucraine (minerarie, e non solo) possa concretizzarsi nel prossimo futuro. Riflettere su come minerali, metalli ed energia possano entrare nell’equazione di un futuro di stabilità, pace e sicurezza rimane fondamentale per capire il prosieguo delle relazioni tra Usa e Ucraina, inserite nel contesto della politica estera ed energetica dell’amministrazione repubblicana. Per farvi luce, è necessario innanzitutto capire: 1) quali e dove sono collocate risorse e riserve di materie prime energetiche d’interesse; 2) perché potrebbero, o meno, essere utili al fabbisogno americano; 3) quali potrebbero esseregli ostacoli per l’industria estrattiva in Ucraina.

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Fig. 6.1 – Minerali & metalli: i tesori nascosti dell’ucraina

Fonte: Ukraine Geological Survey

Una breve mappatura delle risorse e attività minerarie ucraine

Prima dell’attacco della Russia il 24 febbraio 2022, l’Ucraina era già uno dei Paesi leader a livello mondiale nell’estrazione di risorse minerarie metalliche e non metalliche. Secondo alcune stime, il Paese deterrebbe circa il 5% delle risorse minerarie globali ed era tra le prime dieci nazioni al mondo nella produzione di ferro, manganese, titanio, uranio, caolino, grafite e zirconio. Questa varietà è dovuta, in buona parte, alla complessa conformazione geologica del Paese: alcune di queste risorse venivano lavorate in Ucraina, con l’esportazione della maggior parte dei prodotti raffinati o semi-lavorati in Unione Europea e in altre parti del mondo. Tuttavia, in seguito all’invasione, la produzione mineraria del Paese è crollata di oltre il 50% soprattutto nelle zone a ridosso del fronte per via delle incertezze sui mercati, dello stop all’approvvigionamento di elettricità e della distruzione delle infrastrutture.

L’Ucraina, come detto, dispone di ricche e variegate risorse minerali: circa 8.000 giacimenti di risorse registrati. Tale ricchezza e varietà è dovuta alla complessità della geologia del Paese: la maggior parte del territorio è incluso nella cosiddetta “Piattaforma dell’Europa orientale”, composta dalle province lito-tecnologiche che includono lo “Scudo ucraino”, una terra di mezzo compresa tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov nel sud del Donbas. Si tratta di un’area di circa 250 mila chilometri quadrati, che aggiunta a quella dello Dnister-Mar Nero e del Dnipro-Donetsk fa dell’Ucraina un Paese geologicamente molto variegato. Queste province sono costituite in prevalenza da rocce metamorfiche, intrusive e metasomatiche, con la zona dello “Scudo ucraino” che contiene i depositi di ferro del bacino di Kryvyi Rih, oltre a risorse di titanio e uranio. In gran parte, le rocce cristalline dello scudo sono sovrapposte a sedimenti paleozoici, mesozoici e cenozoici, sedimenti nei quali si trovano grandi depositi di manganese (bacino di Nikopol), ilmenite, zircone ilmenite- rutile (regione di Dnipro), uranio, caolino, bentonite, lignite e altre materie prime. Nel sud, la provincia del Dniester-Mar Nero forma una depressione con una copertura sedimentaria di spessore fino a 5 chilometri, con depositi di carbone, bauxite, manganese e minerali polimetallici. A ovest, il basamento cristallino è coperto da sedimenti dal Paleozoico al Cenozoico, contenenti depositi di carbone, zolfo, gesso e fosforiti. I Carpazi ucraini comprendono inoltre la depressione dell’avampaese carpatico con sedimenti contenenti gas e petrolio: tra i territori che risultano occupati dalle forze d’invasione russe, nella parte orientale del Paese, vi sono enormi giacimenti di shale gas che fanno di quella parte dell’Ucraina la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale.

Secondo alcune stime preliminari, l’Ucraina ospiterebbe nel suo sottosuolo 25 delle 34 materie prime classificate come “critiche” e “strategiche” dall’Unione Europea 1. Tuttavia, si tratterebbe di depositi e/o risorse non ancora completamente valutate da un punto di vista geologico ed economico secondo gli standard internazionali. Con “depositi” in genere ci si riferisce semplicemente a concentrazioni, in particolari minerali ospitanti, dedotte da marcatori geologici; con “risorse” si intendono, invece, quei depositi che sono stati identificati e sono potenzialmente sfruttabili; con “riserve”, infine, si intende un sottoinsieme.

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Secondo alcune stime preliminari, l’Ucraina ospiterebbe nel suo sottosuolo 25 delle 34 materie prime classificate come “critiche” e “strategiche” dall’Unione Europea1. Tuttavia, si tratterebbe di depositi e/o risorse non ancora completamente valutate da un punto di vista geologico ed economico secondo gli standard internazionali. Con “depositi” in genere ci si riferisce semplicemente a concentrazioni, in particolari minerali ospitanti, dedotte da marcatori geologici; con “risorse” si intendono, invece, quei depositi che sono stati identificati e sono potenzialmente sfruttabili; con “riserve”, infine, si intende un sottoinsieme delle risorse che sono già economicamente sfruttabili in base alla tecnologia disponibile e a prezzi di mercato attuali. I primi due macro-insiemi sono talmente generici che spesso le agenzie competenti a livello internazionale (Usgs, Bgs ecc.) riportano soltanto stime ricavate dai dati più attendibili dai diversi Paesi. Per esempio, si ritiene che l’Ucraina possieda tra le più ampie risorse stimate di litio nell’Europa continentale, con tre depositi che attualmente sono in fase di studio più approfondito e con un contenuto di ossido di litio (LiHO) tra l’1,1 e l’1,4%. Secondo le più recenti rilevazioni dell’Istituto Geologico Ucraino, solo il deposito di Polokhivske (che insieme a quello di Dobra, con circa 1,2 milioni di tonnellate di minerale, è situato nella regione di Kirovohrad) conterrebbe circa 760.000 tonnellate di litio carbonato equivalente (LCE)2. Gli altri due depositi conosciuti, Shevchenkivske nel Donesk e Kruta Balka nei pressi del distretto di Zaporižžja, sarebbero sotto il controllo russo. Nel 2021 i depositi di Kirovohrad e Donesk erano stati sondati per una potenziale licenza di esplorazione da parte di un’entità cinese, Chengxin Lithium, ma furono respinte dalle autorità ucraine3.

Fig. 6.2 – Carta geologica semplificata dell’Ucraina

Fonte: A. Müller (2025)

Per certo, l’Ucraina era il quinto produttore di concentrati di titanio a livello mondiale, essendo il primo Paese in Europa per quantità di risorse effettive, e il decimo per la produzione di concentrato di zirconio al 2021. Dei giacimenti attivi prima dell’inizio delle ostilità, la maggior parte erano concentrati nella regione geologica dello “scudo ucraino”. Dei circa 8.000 giacimenti conosciuti, più di 3.500 sono stati sfruttati e gestiti da migliaia di aziende minerarie, di lavorazione e trasformazione del settore metallurgico e chimico4. Nel 2021, l’Ucraina era il sesto produttore di minerale di ferro al mondo (3% sulla produzione globale), estratto principalmente nella regione di Kryvyi Rih, un bacino che contava per oltre il 90% della produzione nazionale con le attività gestite dalla multinazionale Arcelor Mittal, seguita da altri operatori come Northern Mining and Processing Plant (Northern GOK) e dalla holding ucraina Metinvest che gestisce due miniere a cielo aperto, un impianto di lavorazione e due impianti per la produzione di pellet da minerale ferroso.

Fig. 6.3 – Estrazione di ferro in Ucraina

Fonte: World Mining Data, USGS

Le esportazioni ucraine di minerale di ferro e di acciaio avevano contato per circa il 32% delle esportazioni totali del Paese, con un valore di 19 miliardi di euro5 nel 2021.

L’UE dipendeva per il 15% delle sue importazioni di minerali di ferro dall’Ucraina, con Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria tra i maggiori importatori. La produzione di minerale di ferro nel 2022 è scesa di circa il 58% a 34 milioni di tonnellate (Fig. 6.3), che corrispondevano a circa 20 milioni di tonnellate di ghisa equivalente. Nel 2024, nonostante le interruzioni di elettricità e i problemi infrastrutturali – il blocco dei porti ucraini sul Mar Nero ha costretto le consegne ad essere effettuate esclusivamente su rotaia, imponendo un sovraccarico della rete ferroviaria – l’industria siderurgica ha contato comunque per il 7% del prodotto interno lordo ucraino e per il 15% di tutte le esportazioni di beni6. Con problemi legati alla fornitura e competitività dell’energia e le possibili implicazioni del Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam) europeo, la produzione ucraina, dunque, faticherà a tornare ai livelli pre-invasione.

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Tab. 6.1 – Dati su minerali, metalli e concentrati in Ucraina

Fonte: US Geological Survey (2023); British Geological Survey (2025); riserve su stime 2025

L’Ucraina possiede inoltre tra le più grandi riserve di minerale di manganese d’Europa: le principali, di circa 626 milioni, sono concentrate nella parte meridionale del Paese, nel bacino di Nikopol nella regione di Zaporizhzhya. Con una concentrazione tra il 23-26% di manganese metallica, si tratta tuttavia di depositi – operati da Pokrov Gok, responsabile di circa il 70% della produzione ucraina in cinque miniere a cielo aperto – che vengono sfruttati per fornire leghe all’industria siderurgica concentrata tra le acciaierie di Nikopol e Zaporizhzhya, considerando che circa l’85% del minerale di manganese è utilizzato annualmente per la produzione di acciaio grezzo e leghe. Questa tipologia di depositi e la capacità di trasformazione ucraina, dunque, sono lontani dai requisiti dell’industria delle batterie che richiede un particolare sottoprodotto (il solfato di manganese) ad un livello di purità adeguato (99.7%) all’utilizzo nei materiali catodici, per i quali serve sottoporre la manganese ad un processo di raffinazione tramite elettro-filtrazione. Attualmente, la Cina controlla circa il 95% della capacità di trasformazione della manganese a questo stadio di purezza. Come per la produzione di ferro, anche quella di manganese ha subito un drastico calo per via delle devastazioni provocate dal conflitto, principalmente in seguito ad attacchi missilistici e interruzioni dei trasporti nella regione. Riflessioni che si possono estendere anche per la grafite: seppur l’Ucraina sia uno dei pochi produttori in Europa – il giacimento di Zavalievsky, operato da ZG Group, è considerato tra i più grandi del continente con 17.000 tonnellate prodotte nel 2021 – con il 3,8% delle riserve conosciute, il grado di purezza è ancora molto lontano da quello richiesto per la produzione di anodi delle batterie. Prima dello scoppio del conflitto, la società di esplorazione australiana Volt Resources Ltd aveva acquisito per circa

$8 milioni una quota di maggioranza (70%) al fine di sviluppare le operazioni e proporsi sul mercato europeo, considerando anche le restrizioni di Pechino sulla grafite sintetica e la carenza sui mercati7. Tuttavia, a dicembre 2024 l’azienda australiana ha deciso di sospendere le attività citando elevati costi dell’elettricità, infrastrutture inadeguate e costi logistici non competitivi8. Ad aprile, BGV Group ha firmato un memorandum di intenti con UkraineInvest per lo sviluppo di un ulteriore deposito di grafite (Balakhiv) nella regione di Kirovohard, con un investimento previsto di $450 milioni per la produzione di grafite sintetica9.

Nel caso del titanio, l’Ucraina – oltre a custodire poco più dell’1% delle riserve accertate a livello mondiale – è uno dei pochi Paesi europei con un ciclo produttivo più integrato nel settore: dall’estrazione dai minerali ospitanti (come rutile e ilmenite) alla lavorazione (spugna di titanio) fino alla fabbricazione di prodotti finiti (leghe). Il titanio, metallo classificato come strategico da Stati Uniti ed Unione Europea, è un metallo leggero e duro fondamentale nel settore aerospaziale e in generale nell’industria della difesa. Proprio per il suo ruolo e il peso specifico per alcune aziende occidentali – Airbus e Boeing sono tra i maggiori clienti considerando che coprono l’85% del mercato degli aeromobili a livello mondiale – è stato a lungo escluso dal dibattito sulla lista di prodotti russi sottoposti alle sanzioni10. L’Ucraina è stata il quinto esportatore di minerali di titanio al mondo nel 2021, con i principali depositi situati nelle regioni adiacenti a Kiev, Dnipro, Charkiv e Donetsk. United Mining & Chemical Company (Umcc) è il più grande operatore del Paese. Esso ha in gestione l’estrazione di ilmenite ed è l’unica società attiva in Europa su rutilo e zircone. L’azienda esporta il 92% dei suoi prodotti in oltre 35 Paesi. Più a valle della filiera, Zaporozhye Titanium & Magnesium Combine Ltd (Ztmc) produce spugne, metalli e leghe di titanio: non è chiaro se l’impianto di trasformazione, vicino ai territori occupati dai russi, sia ancora in funzione. L’azienda Velta LLC estrae e lavora il minerale di titanio nella regione di Kirovograd da circa quindici anni, utilizzando i depositi di ilmenite di Likarivske e Byrzulivske. Velta detiene il 2% della quota di mercato mondiale delle materie prime di titanio. Poco prima della guerra, Velta ha costruito un impianto di estrazione e lavorazione nel complesso minerario e di lavorazione di Byrzulivske, con una capacità produttiva di 240.000 tonnellate di concentrato di ilmenite all’anno. L’impianto chimico PJSC Sumykhimprom, con sede nella città di Sumy, produce biossido di titanio e pigmenti di titanio dall’ilmenite. Considerando che buona parte di queste attività – e i depositi – sono lontani dalla linea del fronte e dalle mire russe, il controllo di questi siti rappresenta un punto di forza per il governo ucraino per l’eventuale localizzazione delle attività di processazione, considerando che la capacità mondiale per ottenere titanio raffinato (principalmente la “spugna” per gli utilizzi strategici nel settore aerospaziale) rimane concentrata in pochi Paesi (Figura 6.5). Secondo Olena Remezova, a capo del Dipartimento geologico della Accademia delle Scienze dell’Ucraina, considerando le aree non ancora esplorate o sottovalutate, le riserve di titanio ucraino potrebbero ammontare al 20% del totale mondiale e di ottima qualità rispetto, ad esempio, a quelle russe11.

Nel complesso, l’esportazione di materie prime contava per oltre un terzo delle esportazioni totali di beni dell’Ucraina verso l’UE e nel resto del mondo. Nel 2021, tali importazioni ammontavano a 8,4 miliardi di euro, circa il 40% del valore delle risorse esportate dal Paese. Ad oggi, seppur in leggera ripresa, l’industria metallurgica ucraina è ancora del 40% al di sotto della capacità ante bellum, una situazione che richiederà investimenti per riportare la produzione ai livelli del 2021 ma soprattutto per incentivare la diversificazione verso l’estrazione e la trasformazione di quei minerali e metalli considerati come critici e strategici per l’industria high-tech, non solo per quella convenzionale che rimane ancora tra i vettori dell’economia del Paese. Un grande punto interrogativo in vista della maggiore integrazione con il mercato UE rimane l’implementazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam): secondo uno studio, le industrie siderurgiche ucraine potrebbero subire una perdita di circa $4,7 miliardi tra il 2026 e il 2030, con una perdita potenziale di $2,7 miliardi di investimenti nello stesso periodo per via degli effetti della tassa sul carbonio per le industrie più energivore12. Probabilmente è anche in quest’ottica che si deve ascrivere da una parte la volontà dell’Ucraina di coltivare l’integrazione economica con l’Unione Europea in un prossimo futuro e dall’altra soppesare l’attuale preponderanza degli Usa nelle negoziazioni sulle materie prime.

Fig. 6.4 – Produzione mineraria in Ucraina

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Fonte: World Mining Data

Fig. 6.5 – Raffinazione del titanio

Fonte: Joint Research Centre (2024), dati al 2023

La proposta di Trump: diversificazione delle forniture o risarcimento?

Il progressivo inserimento del dossier delle materie prime critiche all’interno delle negoziazioni bilaterali tra gli Stati Uniti e l’Ucraina sulla ricostruzione del Paese ha naturalmente registrato un picco d’interesse con l’avvento alla Casa Bianca di Donald Trump. Questa particolare attenzione del neoeletto Presidente è in parte da ascriversi alla sua postura negoziale e transattiva, con l’obiettivo di agganciare il supporto militare, garantito dagli Usa in oltre tre anni di conflitto a Kiev, a una qualche forma di risarcimento materiale che Trump avrebbe erroneamente quantificato agli esordi della trattativa ad oltre $500 miliardi in risorse naturali (minerarie ed energetiche) 13 . Nell’ottica trumpiana, si sarebbe trattato di una ricompensa esplicitamente transazionale, al fine di rivendicare una vittoria “politica” per il suo elettorato e i contribuenti americani, anche alla luce delle promesse fatte in campagna elettorale sul futuro della guerra tra Ucraina e Russia e del suo ruolo di mediatore. Infatti, la proposta iniziale – poi naufragata dopo l’incontro burrascoso del 28 febbraio scorso – avrebbe imposto che il 50% delle entrate ricavate da future sul piano minerario e non sarebbero state utilizzate per saldare il “debito” ucraino (il 43% degli aiuti in generale e oltre

$64 miliardi sotto forma di materiale bellico sono stati inviati da Washington)14. Dall’altra, vi sono elementi che potrebbero ricondurre l’interesse americano in un’ottica di diversificazione delle forniture di materie prime o materiali strategici, considerando l’ormai sempre più stretto presidio di Pechino sulle filiere su cui Washington sconta un’eccessiva dipendenza: dal tungsteno al titanio, passando per grafite e “terre rare”. Proprio su quest’ultime si è creata un’evidente incomprensione in seguito alle dichiarazioni del Presidente, che ha più volte utilizzato il termine “rare earths” per includere l’insieme di minerali e metalli d’interesse e collocati nei depositi ucraini.

Per il Presidente Zelensky e il governo ucraino, mettere in luce la potenziale abbondanza di risorse del sottosuolo dell’Ucraina (il 5% delle risorse mondiali di 22 delle 50 materie prime identificate come “strategiche” dal Dipartimento degli Interni americano) ha probabilmente seguito la logica – o scommessa – di una diplomazia delle risorse volta a fare delle materie prime una forma di “garanzia” o collaterale. Parliamo anche di risorse energetiche. Tre regioni ucraine custodiscono idrocarburi: il bacino di Dnipro-Donetsk, la regione dei Carpazi nell’Ucraina occidentale e la regione del Mar Nero e della Crimea nel sud. Il Paese possiede 34,375 miliardi di tonnellate di carbone (sesto per riserve a livello mondiale), 1,104 trilioni di metri cubi di gas naturale (la produzione nel 2021 era seconda solo alla Norvegia in Europa15) ma soprattutto si era affermato come un Paese connettore. Infatti, l’Ucraina è attraversata da una delle più grandi infrastrutture per il trasporto di gas al mondo, avendo utilizzato i suoi gasdotti (principalmente Bratstvo e Soyuz) per trasferire il gas russo agli Stati membri dell’UE e capitalizzando sui costi di transito imposti agli operatori russi fino a dicembre 202416.

 

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Secondo alcune stime, i gasdotti del Paese potrebbero fornire fino a 146 miliardi di metri cubi di gas all’anno all’Unione Europea (ovvero, circa il 42% del consumo totale dei 27 Stati membri nel 2022) 17 . Negli ultimi anni, tuttavia, con gli sforzi della Russia per aggirare l’Ucraina (ad esempio attraverso il Nordstream) e la politica di diversificazione di Bruxelles tramite il REPowerEU, la quota di gas che transita attraverso il Paese è crollata, passando dal 65,3% delle forniture di gas nel 2009 al 21,4% nel 202118.

Nel caso delle risorse e riserve, si tratta sostanzialmente di asset che sono virtualmente impossibili da distruggere per la Russia, seppur alcune stime (da verificare) parlino di oltre il 40% delle risorse situate nelle attuali zone occupate dall’esercito russo 19 . Nell’ottica di Zelensky, dunque, concedere agli Stati Uniti un parziale controllo sullo sviluppo delle risorse minerarie non avrebbe sacrificato da una parte alcuna entrata governativa, considerando la gestione congiunta poi articolata nell’accordo definitivo; dall’altra l’idea di incentivare gli investimenti statunitensi (e/o europei) nell’ottica della ricostruzione del Paese agirebbe come deterrente economico per congelare il conflitto e frenare ulteriori piani d’espansione o incursione militare di Mosca, oltre a incentivare la presenza americana nel Paese al di là degli aiuti militari (comunque rinnovati). Non a caso, già a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di metà febbraio, Zelensky aveva rifiutato categoricamente di siglare un accordo sui minerali con le clausole predatorie inizialmente paventate da Trump senza un chiaro impegno americano sulla sicurezza dell’Ucraina. L’ex Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba aveva osservato che gli Stati Uniti non avessero alcun diritto legale sui minerali ucraini, oltre al fatto che la questione doveva essere anche inquadrata nel contesto europeo: nell’ottobre del 2021, Kiev e Bruxelles avevano siglato un partenariato strategico sulle materie prime, gettando il primo vero passo concreto prima che l’invasione russa dell’Ucraina sconvolgesse il quadro complessivo20.

Fig. 6.6 – Dipendenza dalle importazioni

Fonte: US Geological Survey (2025); Commissione europea (2023)

L’accordo firmato il 30 aprile 2025 a Washington dal Primo ministro ucraino, Yuliia Svyrydenko, con le controparti statunitensi è da vedersi chiaramente come una versione ammorbidita rispetto alla bozza di febbraio. Esso rappresenta, e in un certo senso, una sintesi di queste due posizioni inizialmente inconciliabili, oltre a certificare l’ingresso dei minerali critici nella politica estera di Trump21. Mentre le garanzie di sicurezza richieste da Zelensky sono ancora assenti, l’accordo stabilisce “un allineamento strategico a lungo termine” tra Ucraina e Stati Uniti, confermando il “supporto per la sicurezza, prosperità, ricostruzione e integrazione dell’Ucraina nei network economici globali” con un lessico dai toni decisamente perentori e duri nei confronti della Russia, con l’esclusione di qualsiasi “entità o persona che abbia supportato la macchina bellica russa” dagli investimenti nel Paese. Lo United States- Ukraine Reconstruction Investment Fund sarà gestito congiuntamente, con la US International Development Finance Corporation (Dfc) – agenzia che già si occupa di finanziare progetti minerari oltreoceano – che sarà la rappresentante della partnership. Come previsto, l’Ucraina contribuirà al fondo con il 50% delle entrate dallo sfruttamento di minerali, petrolio e gas di natura greenfield, ovvero nuovi progetti futuri senza prelevare i profitti dalle attività esistenti ante bellum. Ovviamente, queste entrate non saranno devolute per ripagare il “debito” ucraino in termini di aiuti militari: al contrario, le aziende o gli investitori americani godranno sostanzialmente di un diritto di prelazione sui progetti, sulla base dell’Accordo tra le Parti e delle condizioni di mercato. In particolare, il riferimento ai cosiddetti “offtake rights” – prevedere finanziamenti in cambio di un output minerario concordato – è un punto fondamentale per la certezza degli investimenti. Lo Stato ucraino, con le sue province di competenza a livello amministrativo, manterrà comunque la sovranità sul suo sottosuolo e soprattutto la decisione finale su cosa e dove estrarre: non necessariamente potrebbe essere allineato, in termini di sicurezza delle supply chain, agli interessi statunitensi o alle dinamiche di mercato.

Due incertezze: Trump e l’energia

Quanto questo accordo rifletta effettivamente gli interessi geoeconomici degli Stati Uniti – assicurarsi possibili forniture di materiali “strategici” con un Paese ricco di risorse, alleato nel contesto dell’ombrello securitario atlantico, dunque nell’ottica friend-shoring – oppure sia una costola del piano di pace e degli equilibri del conflitto non è di facile comprensione. Da un punto di vista economico, il successo del Fondo congiunto dipenderà dalla profittabilità dei progetti e dunque della buona riuscita degli investimenti in ambito minerario o in capacità di trasformazione che, come detto, non riguarderanno gli impianti esistenti. Dunque, considerando che tra i minerali/metalli su cui l’Ucraina aveva già in essere attività estrattive e riserve potenzialmente sfruttabili vi sono titanio e grafite, su cui gli Usa sono particolarmente dipendenti dalle importazioni, è probabile che verranno prioritizzate quelle materie prime su cui vi sono già sinergie o filiere industriali (tenendo conto, per esempio, delle esigenze del settore aerospaziale). Dall’altra, la politica energetica di Trump – con l’executive order che ridà nuova linfa al settore dei combustibili fossili mentre rimane incerto il destino dell’Inflation Reduction Act (Ira) e del suo impatto sulle rinnovabili – rende più complesso nel breve periodo qualsiasi speculazione su progetti che riguardino litio, nichel o la stessa grafite, nonostante l’interesse di alcuni fondi d’investimento, come ad esempio, per il deposito di Dobra22. Senza contare che progetti minerari promettenti (come il sito di Tracker Pass in Nevada) sono già finanziati sul suolo americano con ingenti contributi del Dipartimento dell’Energia e di altri privati. Se c’è una linea di continuità tra la prima presidenza Trump e quella corrente (con l’intermezzo di Biden, più sbilanciato sul clean tech), sicuramente questa può essere tracciata con l’attivazione del Defense Production Act nel 2018 per incentivare il reshoring di alcune attività estrattive – come per le ‘terre rare’, cruciali per l’industria della difesa di cui non vi sono evidenze geologiche in Ucraina23 – fino all’ordine esecutivo per incrementare la produzione di minerali e metalli (nella forma raffinata) ritenuti essenziali per la sicurezza nazionale, come rame e uranio24. In questo senso, l’accordo con Zelensky è interpretabile da un lato come un incentivo a supportare l’indipendenza e la ricostruzione dell’Ucraina, ma dall’altro uno dei tanti bracci operativi di una strategia americana sulle materie prime critiche che è lungi dal pendere dalle parole ed esternazioni del suo Presidente e che guarda, potenzialmente, a più settori tecnologici in cui si farà serrata la competizione con la Repubblica Popolare Cinese e il confronto con altre “foreign entity of concern” (Feoc), come appunto la Russia, pronte ad usare l’influenza sulle commodity come arma geoeconomica.

È chiaro che questi calcoli dovranno a loro volta fare i conti con una situazione di rischio latente e potenzialmente permanente, considerando che in assenza di un cessate il fuoco o di un accordo di pace il Paese rimarrebbe ben lontano dal garantire stabilità per i Paesi e le società partner. Secondo una recente indagine del Business Ombudsman Council, più del 60% delle aziende sottoposte si sono dichiarate pronte a investire nel Paese seppur il fattore dirimente rimanga il rischio legato alla sicurezza militare (69%), seguito da quello burocratico sui permessi (15.4%)25. Due aspetti che sono particolarmente rilevanti per il settore minerario o metallurgico, considerando che in media lo sviluppo di nuove miniere richiede fino a 18 anni, con investimenti tra i $500 milioni e $1 miliardo per gli impianti che richiedono particolari condizioni abilitanti. Senza considerare che l’attuale accordo dovrà sopravvivere all’attuale mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, così come una finestra temporale di medio-lungo periodo dovrà essere accordata per concretizzare eventuali investimenti in esplorazione (le carte geologiche ucraine sono datate e risalgono a rilevazioni e tecnologie dell’epoca sovietica26), l’ammodernamento infrastrutturale e soprattutto una rete elettrica inaffidabile. L’industria mineraria è tra i settori a maggiore intensità energetica a livello globale, con circa il 38% del consumo di energia industriale e circa il 15% del consumo totale di elettricità a livello globale27. Tra il 2022 e il 2023, quasi la metà della capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina è andata persa a causa dell’occupazione, della distruzione o del danneggiamento da parte della Russia e circa il 50% delle principali centrali del Paese è stato colpito da attacchi missilistici e di droni28. Di conseguenza, l’Ucraina ha, ad oggi, solo un terzo della sua capacità di generazione elettrica prebellica (con il 29% da nucleare), con conseguenze sul costo stesso dell’energia elettrica: secondo Andriy Brodsky, Ceo di Velta Group, la quota sui costi di produzione del concentrato di titanio in Ucraina è passata dal 30% nel 2022 a oltre il 60% a causa dell’aumento delle tariffe energetiche. Una normalizzazione delle infrastrutture energetiche sarà essenziale prima di poter immaginare qualsiasi attività di esplorazione o finanche produzione mineraria. Nel 2019, l’energia nucleare contava per circa il 59% della produzione nazionale di elettricità e derivava da quattro impianti con tecnologia risalente all’epoca sovietica, di cui 6 reattori (Zaporižžja) ora sotto il controllo russo29. Dunque, ancor prima dei minerali, sono gli elettroni i fattori più critici per la ricostruzione del Paese.

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  1. UKRAINE: Mining Investment Opportunities, Ukrainian Geological Survey, Ministry of Environmental Protection and Natural Resources of Ukraine
  2. State Geologic and Subsoil Survey of Ukraine, “Shevchenko Field of Lithium Ores”, 2021.
  3. H. Tabuchi, “Before Invasion, Ukraine’s Lithium Wealth Was Drawing Global Attention”, The New York Times, 2 March 2022.
  4. USGS Science for a changing world, 2022 Minerals Yearbook. UKRAINE [Advance Release], marzo 2025.
  5. C. Moors, “Metals and the Invasion: Ukrainian Metal-Makersʼ Woes Grow as Attacks Intensify”, S&P Global Market Intelligence, 22 febbraio 2023.
  6. S. Zinchenko, “How Ukrainian steel industry is fighting for survival and future green prospects”, GMK Center, 5 maggio 2025.
  7. E. Sadden, “INTERVIEW: Volt Resources focuses on high purity graphite as Chinese export restrictions hit supply”, S&P Global, 29 gennaio 2025.
  8. Volt Resources suspends production at Zavalievsky Graphite mine in Ukraine – Benchmark Graphite”, Benchmark, 18 dicembre 2024.
  9. BGV Group will develop a graphite deposit in the Kirovohrad region for battery production”, Ukraine Business News (UBN),
  10. D. Flatley, “US Asks G-7 to Consider Sanctions on Russian Palladium”, Bloomberg, 23 ottobre 2024.
  11. A. Muravskyi “Ukrainian titanium reserves may account for up to 20% of global supply”, Ukrainska Pravda, 11 maggio 2025.
  12. C. Bektas, “CBAM to hit Ukraine’s exports to EU hard – study”, Montel News, 17 ottobre 2024.
  13. S. Starcevic, “Trump demands $500B in rare earths from Ukraine for continued support”, Politico, 11 febbraio 2025.
  14. E. Tafuro Ambrosetti, M. Massoletti, R. Italia, F. Rosazza Beneitin, “Tre anni di guerra in Ucraina: 5 domande e 7 grafici per fare chiarezza”, Commentary, ISPI, 24 febbraio 2025.
  15. https://gasua.com/en/ukraine-increased-gas-production-by-0-9-up-to-18-7-bcm-in-2023/
  16. Integrating Ukraine’s Energy Sector into the EU”, Clingendael, Dixi Group, settembre 2024.
  17. Consiglio europeo, Da dove proviene il gas dell’UE?.
  18. Sul punto si veda anche il successivo capitolo 7, paragrafo “Il disaccoppiamento (decoupling) energetico continua, gradualmente” nel quale si ricorda, in particolare, che “Gli Stati dell’Unione hanno continuato a importare gas tramite gasdotto direttamente dalla Russia fino a quando l’Ucraina non ha interrotto il transito nel gennaio 2025 (…)”.
  19. E. Pringle, “Ukraine expected to sign a deal with Trump giving U.S. access to its rare minerals – but almost half are impossible to get to”, Fortune, 26 febbraio 2025.
  20. European Commission, EU and Ukraine kick-start strategic partnership on raw materials, 13 luglio 2021.
  21. Government of Ukraine, Agreement between the Government of Ukraine and the Government of the United States of America on the Establishment of United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund, Government Portal., Official Website.
  22. US-backed miner TechMet seeks to develop Ukraine lithium site”, Financial Times, 10 marzo 2025.
  23. G. Zorpette, “Rare Earths Reality Check: Ukraine Doesn’t Have Minable Deposits”, IEEE Spectrum, 7 marzo 2025.
  24. The White House, Immediate Measures to Increase American Mineral Production, 20 marzo 2025.
  25. https://boi.org.ua/wp-content/uploads/2025/04/transformacziya-biznes-seredovyshha.pdf
  26. L. Georges, “Ukraine rare earths potential relies on Soviet assessments, may not be viable”, S&P Global, 13 febbraio 2025.
  27. G. Baskaran e M. Schwartz, “What to Know About the Signed U.S.-Ukraine Minerals Deal”, Center for Strategic & International Studies (CSIS), 1 maggio 2025.
  28. Ukraine’s Energy Security and the Coming Winter”, International Energy Agency (IEA), settembre 2024.



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