La tua casa è in procedura esecutiva?

sospendi la procedura con la legge sul sovraindebitamento

 

Inverno demografico e calo dell’innovazione: il nesso invisibile


Mutazione e innovazione, la prima riguarda la genetica e l’organismo, la seconda si riferisce alla tecnologia e alla cultura. La somiglianza è forte.

Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.

 

Il legame tra mutazione biologica e innovazione tecnologica

Innanzitutto, la discontinuità parziale; per loro tramite, infatti, cambia qualcosa, ma non tutto, perché molto altro si ripete uguale. In entrambi i casi si parte da quello che già c’è.

Spesso il nuovo non è che ricombinazione. Offre i vantaggi provenienti dal riutilizzo di strutture formatesi per altri scopi. In biologia si parla di exaptation e il classico esempio è il piumaggio, sorto per favorire l’isolamento termico, poi cooptato nelle ali dei volatili, oppure la vescica natatoria dei pesci, poi cooptata per la formazione dei polmoni.

Un parallelo tecnologico è il reclutamento dei metodi statistici per la predizione di parola sviluppati da Frederick Jelinek a partire dagli anni Settanta per arrivare ai modelli LLM (Large Language Models) e approdare all’intelligenza artificiale generativa. Ciò ci ammalia e al contempo ci spaventa.

Ancora un’analogia: la novità può essere dannosa, o creare effetti indesiderati. La maggior parte delle mutazioni, infatti, è nociva; riduce la sopravvivenza dell’organismo. Per questo entra in gioco il sistema immunitario. Qui l’aspetto interessante: qual è l’analogo degli immunosoppressori nella cultura, se non l’innovazione stessa, oltre, ovviamente, alla regolamentazione?

Due esempi per capirci: il motore a combustione interna e la plastica. Due innovazioni potenti, ma che col tempo hanno presentato il conto in termini di inquinamento ambientale: le polveri sottili, l’aumento di CO2, le microplastiche. Nel primo caso la mitigazione è passata attraverso l’introduzione del convertitore catalitico e le benzine senza piombo, o il diesel a basso contenuto di zolfo, quindi i veicoli elettrici e ibridi. Nel secondo caso c’è stata l’introduzione delle bioplastiche, delle tecnologie di riciclo e ora lo sviluppo di batteri modificati in grado di degradare il Pet. In tutti questi casi, come in molti altri, ciò che corrisponde al sistema immune non è la semplice marcia indietro, ma un nuovo passo avanti.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

L’innovazione, quindi, come principale rimedio ai suoi difetti; quella di oggi che corregge o soppianta quella di ieri. È qui che diventa evidente una delle differenze con la mutazione, forse la principale; quest’ultima è cieca, senza scopo, mentre l’innovazione è frutto delle nostre domande. Quelle che ci poniamo individualmente, o a livello d’impresa, o come comunità scientifica, o come società intera. C’è un’intenzionalità, degli obbiettivi da raggiungere. Anche se il caso non sparisce del tutto, anzi. Infatti, l’innovazione è spesso frutto di serendipità; si cerca una cosa e se ne scopre un’altra. Come diceva Louis Pasteur: il caso aiuta le menti preparate. L’innovazione, quindi, richiede un contesto favorevole, anche demografico, e qui le cose si mettono male.

Calo della natalità e fuga dei giovani: effetti sulla capacità innovativa

Il confronto tra natura e cultura vale anche per spiegare gli andamenti demografici. La spinta alla replicazione, che è una caratteristica distintiva della vita, trova nella cultura la sua amplificazione, o il suo contrario. Come ben sappiamo, oggi la felicità non è più declinata come nella benedizione biblica: “possa tu vedere i figli dei tuoi figli”. Inoltre, la cultura materiale di una società comprende anche la sua economia; se le prospettive di reddito sono scarse e insicure è assai difficile per una coppia fare figli.

Il premio Nobel per l’economia Gary Becker spiegò che nelle società sviluppate, complessivamente più ricche e senza l’angoscia di una mortalità infantile elevata, era inevitabile che la natalità declinasse. Siccome si dedicano più risorse per ogni figlio, ne rimangono meno per fare più figli.

Queste motivazioni economiche andarono a irrobustire la portata esplicativa di ciò che i demografi definiscono come transizione demografica, ovvero il passaggio da quella naturale a quella controllata. Nella prima si fanno molti figli ma si muore presto, soprattutto nei primi mesi di vita. Si passa alla seconda quando aumenta il grado d’istruzione e migliorano le condizioni igieniche, subentrano i vaccini e l’assistenza sanitaria. Tutti aspetti che riducono la mortalità infantile e favoriscono l’allungamento della vita in buona salute. Le donne possono quindi ridurre il numero di figli anche grazie agli anticoncezionali; per questo si parla di demografia controllata. Da qui al cadere nella trappola demografica, per cui meno nascite ieri significa meno giovani donne oggi, quindi meno nascite domani, il passo è breve.

In Italia è bastato considerare la natalità come un problema esclusivamente privato, diversamente da quanto fatto in Francia, o in Svezia, solo per il timore di avallare, a distanza di tempo, gli eccessi del Ventennio. Il tasso di fecondità è sceso sotto il valore di sostituzione – 2,1 figli per donna – già alla fine degli anni Settanta. Poi è arrivato il record negativo del 1995, con 1,19 figli per donna. È stata la prima volta nei Paesi Occidentali e giusto lo scorso anno, per la prima volta dopo di allora, abbiamo fatto peggio: 1,18.

Sono tante le interdipendenze da considerare; tutte, per altro, che si riflettono sulla spinta innovativa. Basta confrontare due Paesi con caratteristiche demografiche diverse; il primo con una popolazione attiva in diminuzione e un forte tasso di dipendenza, il secondo con una popolazione giovane più consistente, un sistema universitario d’eccellenza e un’economia brillante, soprattutto nei settori di frontiera. Da una parte l’Italia, dall’altra gli Stati Uniti (Trump permettendo). Dov’è più probabile che fiorisca l’innovazione? La domanda è retorica perché i dati parlano chiaro. Per contro, possiamo immaginare di invertire la rotta, qui in Italia, senza innovazione? Da dove partire? Un punto c’è e fa seguito a una semplice constatazione: non solo facciamo sempre meno figli – oggi oscilliamo tra i 380 e i 370 mila nati all’anno quando all’apice del baby-boom, nel 1964, nacquero 1.016.120 bambini – ma poi perdiamo quelli che hanno studiato di più, soprattutto in ambito STEM, perché trovano opportunità di lavoro migliori all’estero. Secondo gli ultimi dati ISTAT nel decennio 2014-2023 sono espatriati più di un milione di italiani, tra cui 367 mila nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni; 146 mila di loro in possesso di laurea. Al netto dei rimpatri, il decennio considerato chiude con un saldo negativo di 97 mila giovani laureati. Dobbiamo trovare il modo di fermare l’emorragia, incentivando l’avvio occupazionale in Italia, o il rientro in Patria dopo un’esperienza all’estero.

Il circolo vizioso dell’inverno demografico e debito pubblico

Che si tratti del punto da cui partire lo si capisce dall’analisi delle interdipendenze che vedono nel calo demografico tanto una conseguenza, quanto una causa. Innanzitutto, è la conseguenza di scelte non fatte, o fatte male, ma soprattutto di domande sbagliate. Come quelle che noi boomers, elettoralmente ingombranti, continuiamo a porre alla politica influenzandone l’agire per catturare il nostro consenso.

Una volta tanto, invertiamo il punto di vista: non sono i politici che pensano solo alle prossime elezioni, invece che alle prossime generazioni; siamo noi che chiediamo qualcosa subito, a scapito del lungo periodo. Un sussidio, una detrazione fiscale, o il pensionamento anticipato. Per questo la spesa pubblica si dilata, oltretutto, senza che vi siano le idonee coperture. Unione Europea permettendo, il consenso elettorale si compra a debito.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Una possibilità sempre coltivata e che si è spalancata a dismisura per reagire alla pandemia. Non è successo solo da noi, basti considerare quanto avvenuto complessivamente nei Paesi del G7, negli ultimi 50 anni: la quota di popolazione over 65 è passata, in media, dal 10,8% al 21,1%, mentre la media dell’indebitamento pubblico sul PIL è cresciuta dal 36% al 135%. La correlazione è chiara: più la popolazione invecchia, più si frammenta e polarizza il quadro politico, più aumenta il debito pubblico. Oltretutto, andando a finanziare più spesa corrente a scapito degli investimenti.

Non c’è produttività senza investimenti

Se non s’investe è difficile sostenere la produttività. Se poi mancano i giovani, meno rilevanti sul fronte del voto, chi darà vita all’innovazione, che è un’altra fonte di maggiore produttività? Comunque lo si consideri il connubio tra denatalità e invecchiamento della popolazione, cui diamo il nome di inverno demografico, ti riporta sempre al punto di partenza. Come nel gioco dell’oca.

Lo schema ricorsivo che sta alla base è punto questo: per aumentare la natalità bisognerebbe avere un’economia più brillante e redditi da lavoro più elevati. Tuttavia, come si fa a far crescere la torta, cioè la nostra economia, se la popolazione attiva decresce e il fabbisogno di quella inattiva aumenta? La risposta sarebbe (quasi) semplice: aumentare la produttività, con più investimenti e più innovazioni. I fatti dicono il contrario: gli investimenti languono, se non in alcuni settori industriali, soffrendo sempre del difficile rapporto col settore pubblico (burocrazia). L’innovazione, che normalmente è incorporata negli investimenti, è insufficiente perché i giovani creativi che possono generarla, o anche solo sfruttarla, sono sempre di meno. Una società come la nostra con un’età media sopra i 46 anni e un elettore mediano che ne ha circa 52 non può che vedere attorno a sé solo i rischi invece che le opportunità. Si guarda indietro nel rimpianto e all’oggi con rancore. Troppo pochi che guardano avanti. Quindi di nuovo punto e a capo. Per questo una delle poche cose che abbia senso è offrire un’occupazione di qualità, e stipendi più alti, ai nostri giovani che hanno studiato di più.

Il sistema economico e previdenziale alla prova dell’invecchiamento

Non siamo caduti solo nella trappola demografica, ma anche in quella degli effetti soglia. Siccome quando si passa un certo livello di reddito da lavoro, o una certa dimensione d’impresa, si subisce una perdita superiore al beneficio, per lo meno sull’immediato, c’è uno scarso incentivo alla crescita. Salari bassi e imprese piccole vanno di pari passo. Senza dimenticare che il ruolo dell’industria, in Italia come in altri Paesi, tende a diminuire a favore dei servizi. Nel primo caso troviamo il 15% degli occupati, il 72% nel secondo. Anche qui prevale la scarsa crescita a causa della bassa produttività e della scarsa innovazione (se si escludono alcuni settori, come il sistema bancario, o le vendite via internet). Del resto, mentre l’industria si confronta sul mercato aperto, i servizi, soprattutto quelli alla persona, ne risultano relativamente protetti. Perché innovare se i clienti vengono lo stesso?

Unendo i puntini che collegano tra di loro la nostra demografia e la nostra struttura economica, coi suoi effetti soglia e non solo, ho cercato di dipanare la rete d’interdipendenze che ci caratterizza e ci condiziona. Il tutto in poco più di 160 pagine di libro, dal titolo: Demografia e destino. Possiamo tornare a crescere? (Guerini e Associati).

Tra le proposte, una su come pagare di più i nostri giovani laureati STEM. Oltre a questo, ho ribadito l’importanza delle domande. Lo ripeto: ciò che chiediamo spinge, o frena l’innovazione; orienta la politica verso la spesa, o verso l’investimento; il nostro oggi, o il nostro domani. So benissimo che al posto della disgiunzione – l’uovo, o la gallina – sarebbe meglio la congiunzione, ma non possiamo continuare ad illuderci che sia possibile. Soprattutto senza far nulla.

Eccoci a un altro aspetto delicato: pur avendo rimpianti per ciò che è passato, ne abbiamo una visione spesso scolorita. Tra le cose che abbiamo dimenticato ci sono le logiche alla base del nostro welfare pubblico, coi suoi elementi di forza, ma anche i suoi abbagli. Il sistema previdenziale, per esempio, è stato strutturato sull’onda del baby-boom incrociando il finanziamento a ripartizione e il calcolo retributivo, molto generoso, immaginando erroneamente che la natalità sarebbe stata sempre elevata e che la speranza di vita si sarebbe assestata intorno ai settant’anni. Si pensava, quindi, che la pensione sarebbe durata al massimo dieci anni, in media, mentre abbiamo superato i venti. Da qui la terza iattura: la path dependence, ovvero la dipendenza dal percorso.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Nel campo della tecnologia si fa l’esempio della tastiera QWERTY che sopravvive in barba alla sua irrazionalità, mentre il nostro sistema pensionistico rischia di non sopravvivere alle sue promesse perché è impossibile abbandonare la ripartizione e non si vuole accettare i pregi della corrispettività, alla base del calcolo contributivo. Inoltre, si fa troppo poco per incrementare la previdenza integrativa. Per questo si deve tornare ai principi e ripercorrere la storia degli istituti, per discuterne con pacatezza e competenza, trasformando, se possibile, il problema in una soluzione.

Il cambiamento possibile: responsabilità e consapevolezza nel presente

Questo, mentre attorno a noi sono spesso le soluzioni adottate a far persistere i problemi. Se vogliamo produrre un cambiamento concentriamoci sul come, invece che sul perché, come ci ha insegnato Paul Watzlawick. Chiediamoci: “che cosa avviene qui e ora che perpetua il problema?”. Il caso, le condizioni economiche e culturali, o le scelte del passato, giocheranno sempre un ruolo importante, ma sono e saranno le nostre reazioni a essere determinanti. Ciò che conta è ciò che facciamo, o non facciamo, “qui e ora”. In questo senso il destino è ancora nelle nostre mani. La nostra prima responsabilità è di rendercene conto. A suo modo, anche questa sarebbe una bella innovazione.  



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Aste immobiliari

l’occasione giusta per il tuo investimento.