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BASILICATA, DOVE IL FUTURO NON DEVE PIÙ ATTENDERE


I n Arabia Saudita, le compagnie petrolifere creano isole artificiali e portano il mare là dove non c’è. Letteralmente. Muovono sabbia, spostano acqua, plasmano coste e paesaggi a proprio piacimento. Lo fanno investendo miliardi, pianificando il futuro, lasciando dietro di sé strutture faraoniche e visioni che pretendono di durare nel tempo. Più che aziende, sono imperi industriali con ambizioni geopolitiche. Creano città come NEOM, centri hightech in mezzo al nulla, con l’ossessione di dimostrare che dove c’è volontà e denaro, anche la natura può piegarsi alla tecnologia. Ora chiediamoci: e in Basilicata, che succede? Qui, le stesse compagnie, multinazionali come ENI e Total, scavano nel nostro suolo, prelevano ricchezza in forma liquida, la raffinano altrove e lasciano indietro territori feriti, paesi impoveriti, comunità in bilico. Per ogni barile estratto, la Basilicata in- cassa briciole. Sì, qualche compensazione, qualche royalty, qualche progetto sociale sporadico. Ma nulla che abbia la forza, la visione, l’ambizione di diventare un autentico motore di sviluppo duraturo. Quello che manca non sono solo i soldi, che comunque ci sono, e non pochi, ma è soprattutto il rispetto. Il rispetto per una terra che, pur nella sua bellezza aspra e periferica, continua a essere trattata come una colonia interna. Un territorio da sfruttare finché conviene, da dimenticare quando smette di produrre utili. È questa l’ingiustizia più profonda: una ricchezza trasformata in debolezza, un’opportunità ridotta a rendita passiva. Ma la Basilicata non è un luogo vuoto. Al contrario. Qui convivono realtà potenzialmente esplosive, in senso buono. C’è l’Università degli Studi della Basilicata, una delle istituzioni accademiche italiane con la crescita più costante negli ultimi anni, capace di formare giovani menti che troppo spesso sono costrette a fuggire per vedere riconosciuto il proprio valore. C’è il Centro Ricerche ENEA di Rotondella, una struttura scientifica di livello nazionale e internazionale, con competenze avanzatissime in ambito energetico, ambientale, tecnologico. C’è lo stabilimento Stellantis di Melfi, uno dei poli industriali più importanti del Mezzogiorno, con una filiera che potrebbe beneficiare enormemente delle potenzialità dell’intelligenza artificiale applicata all’automotive. Eppure, questi attori, università, ricerca, industria, continuano a viaggiare in compartimenti stagni, separati da logiche burocratiche, da un certo provincialismo culturale, e soprattutto dall’assenza di una cabina di regia capace di unire i fili. È come avere a disposizione una potente orchestra di professionisti e lasciare che ciascuno suoni da solo, senza spartito comune, senza direzione. Così il concerto non nasce, o peggio ancora si trasforma in rumore. Il punto non è solo la lamentazione. Non si tratta di dire, ancora una volta, che il Sud è abbandonato, che la Basilicata è dimenticata, che le multinazionali fanno il bello e il cattivo tempo. Questi sono dati di fatto. Il punto è un altro: perché non pretendiamo qualcosa di più alto, più lungimirante, più giusto? Perché non esigere, con la forza della ragione e della visione, che chi trae profitto dal nostro territorio restituisca qualcosa che non sia solo una mancia per tappare qualche buca o ristrutturare un’aula scolastica? Perché non pro- porre, con determinazione e lucidità, un grande piano regionale per la ricerca e l’applicazione dell’intelligenza artificiale, sostenuto proprio da quei soggetti che oggi sfruttano la nostra ricchezza sotterranea? È questo il cuore della riflessione. È tempo che si compia un cambio di paradigma: dalla Basilicata del petrolio alla Basilicata dell’intelligenza. Non si tratta di slogan, ma di concretezza. Non servono nuove cattedrali nel deserto, ma investimenti mirati e coerenti. Occorre una regia forte, istituzionale, regionale, capace di coinvolgere attori pubblici e privati, ricercatori, imprese, professionisti, studenti, esperti internazionali. Immaginiamo, per una volta, che la Basilicata diventi il cuore di un laboratorio nazionale sull’intelligenza artificiale applicata al monitoraggio ambientale. Immaginiamo che grazie alla collaborazione tra Università, ENEA e Stellantis, si sviluppino progetti capaci di monitorare, prevenire e correggere gli impatti dell’attività estrattiva, creando nuovi posti di lavoro e nuove professionalità. Immaginiamo che i fondi che oggi si disperdono in mille rivoli, vengano incanalati in un centro di eccellenza aperto all’Europa e connesso alle reti globali della ricerca. Questo non è un sogno. È una possibilità reale. Una scelta politica, culturale, economica. Che però, per diventare realtà, ha bisogno di coraggio e visione. Ha bisogno di cittadini che si attivino, di istituzioni che non abbassino la testa, di università che si aprano alla società, di imprese che vedano nel cambiamento un’opportunità e non una minaccia. L’intelligenza artificiale non è una moda passeggera. È una trasformazione profonda che cambierà il modo in cui produciamo, consumiamo, curiamo, insegniamo, costruiamo relazioni. Nessuna regione può permettersi di rimanerne fuori. Tantomeno una terra come la Basilicata, che ha bisogno di rigenerarsi, di ripensarsi, di superare la logica dell’assistenzialismo e della subalternità. Oggi ci troviamo davanti a un bivio. Continuare sulla strada dell’estrazione cieca e della rendita di posizione, oppure aprire un nuovo ciclo, in cui le risorse servano non a svuotare la terra, ma a riempirla di senso, conoscenza, valore. Serve un nuovo patto tra i soggetti che operano in Basilicata. Un patto di responsabilità e di visione. Serve una Fondazione o un’Agenzia pubblico-privata dedicata esclusivamente alla transizione tecnologica del territorio. Serve che le compagnie petrolifere, italiane e straniere, comprendano che non possono più limitarsi a “compensare”: devono co-investire nello sviluppo del territorio che le ospita. Serve anche,e soprattutto, che la politica regionale smetta di essere marginale e inizi a pretendere il rispetto che merita. Che si faccia promotrice di una legge quadro regionale sull’innovazione, sull’intelligenza artificiale, sulla ricerca scientifica applicata ai territori. Non possiamo continuare a subire. Dobbiamo costruire. Questo appello è rivolto a tutti: ai cittadini, perché ritrovino fiducia e orgoglio; alle istituzioni, perché osino; alle imprese, perché credano nella cooperazione; ai giovani, perché non fuggano ma si sentano protagonisti. Senza un disegno comune, restano solo frammenti. Ma se colleghiamo i punti, se mettiamo in rete energie, se costruiamo ponti tra sapere, lavoro e impresa, allora davvero potremo dire che la Basilicata ha imboccato la strada giusta. Non vogliamo più essere una terra di passaggio, né una terra saccheggiata. Vogliamo essere una terra che pensa, che progetta, che costruisce. Una terra dove l’estrazione si trasformi in creazione. Chi estrae ricchezza da un luogo deve anche contribuire alla sua rigenerazione. Questa non è un’utopia, è una necessità. Una questione di etica, di giustizia, ma anche di lungimiranza economica. Perché nessuna compagnia può prosperare su un territorio che si spegne. Perché il futuro, anche per loro, dipende da quanto sapranno costruire assieme a chi oggi li ospita. In Arabia Saudita, le compagnie costruiscono isole nel mare. In Basilicata, noi chiediamo di costruire isole di sapere, ponti di ricerca, città della conoscenza. Non è troppo. È il minimo per ricambiare ciò che ogni giorno viene prelevato. Il tempo del silenzio è finito. Il tempo della richiesta cortese ha lasciato il posto alla necessità impellente. Non possiamo più permetterci il lusso della rassegnazione. Se non ora, quando?

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Tanino Fierro




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