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Gaza: assalto totale | ISPI


Israele assumerà “il controllo totale” della Striscia di Gaza mentre le forze armate intensificano l’offensiva sull’enclave devastata dalla guerra, lanciando raid aerei ed emettendo nuovi ordini di evacuazione per la popolazione civile. L’esercito ha intimato a tutti i residenti della città meridionale di Khan Younis, la seconda più grande dell’enclave, di spostarsi a ovest nella cosiddetta “zona umanitaria” di Al-Mawasi, prima di quello che è stato definito un “attacco senza precedenti” alla città. “Da questo momento, il governatorato di Khan Younis sarà considerato una pericolosa zona di combattimento” si legge nel comunicato diffuso ai residenti. I precedenti ordini di evacuazione forzata, emessi durante i 19 mesi di guerra, hanno costretto la maggior parte della popolazione di Gaza a spostarsi più volte. Molti civili sono stati nuovamente bombardati dopo essere fuggiti nelle cosiddette “zone sicure” designate da Israele, tra cui al-Mawasi. Obiettivo dell’escalation è di “prendere il controllo di tutto il territorio di Gaza” e sconfiggere completamente Hamas ha spiegato il primo ministro Benjamin Netanyahu, annunciando al contempo la ripresa di consegne di aiuti “minimi” per motivi “politici e diplomatici”. In un video pubblicato sui social media, Netanyahu ha affermato che “non possiamo arrivare a un punto di carestia, per ragioni pratiche e diplomatiche” aggiungendo che “anche i più intimi amici di Israele al mondo” gli hanno detto di essere incrollabili nel loro sostegno, ma di non poter “gestire immagini di carestia di massa”. Intanto, il bilancio totale delle vittime della guerra all’interno di Gaza ha superato quota 53mila, la maggior parte delle quali donne e bambini.

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Una goccia nell’oceano?

Dallo scorso 2 marzo, nella Striscia di Gaza non entra più niente. Israele ha bloccato l’ingresso di cibo, carburante e aiuti dopo aver rotto il cessate il fuoco di otto settimane con Hamas, imponendo sulla Striscia l’assedio più lungo dall’inizio della guerra. Ieri, in seguito alle pressioni americane e dopo che gli Stati Uniti avevano garantito l’ingresso di aiuti a Gaza se Hamas avesse rilasciato l’ostaggio israeliano americano Edan Alexander, come poi avvenuto, il gabinetto di guerra ha autorizzato l’ingresso di 9 camion. “Una goccia nell’oceano” ha commentato Tom Fletcher di Ocha in un’intervista alla BBC che non farà alcuna differenza significativa nella crisi che attanaglia 2,1 milioni di palestinesi. Gli esperti di sicurezza alimentare hanno lanciato l’allarme per la carestia a Gaza, descrivendo l’embargo alla popolazione civile come uno strumento di punizione collettiva, una violazione del diritto internazionale e un crimine di guerra. In proporzione, durante l’ultimo cessate il fuoco erano circa 600 i camion di aiuti umanitari che entravano a Gaza ogni giorno. Questa mattina Jens Laerke, portavoce dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite, ha inoltre annunciato che Israele ha dato il via libera all’ingresso di ulteriori 100 camion di aiuti nelle prossime ore.  

Sanzioni contro Israele?

La decisione i Netanyahu di inasprire ulteriormente la stretta sul territorio palestinese ha suscitato la dura condanna da parte di Regno Unito, Francia e Canada che, per la prima volta, minacciano ripercussioni se Israele non farà marcia indietro. In un comunicato congiunto, i tre paesi hanno dichiarato: “Non resteremo a guardare mentre il governo Netanyahu persegue queste azioni atroci. Se Israele non cessa la rinnovata offensiva militare e non revoca le restrizioni sugli aiuti umanitari, adotteremo ulteriori misure concrete in risposta”. I firmatari hanno contestato anche “i tentativi di espandere gli insediamenti in Cisgiordania” invitando Israele a bloccarli, minacciando in caso contrario: “Non esiteremo ad adottare ulteriori misure, comprese sanzioni mirate”. Nel pomeriggio, l’ambasciatore israeliano a Londra è stato convocato dal governo per colloqui sulla guerra a Gaza. Ad annunciarlo il ministro degli Esteri britannico David Lammy, ribadendo con forza che è “ora di porre fine al blocco” degli aiuti umanitari. Netanyahu ha definito il messaggio dei tre paesi un “premio enorme” per Hamas e ha ribadito la sua ferma intenzione di andare avanti “fino alla vittoria”. Critiche nei confronti del premier si sono levate però anche dall’opposizione: “Israele è sulla buona strada per diventare uno stato paria, come lo fu il Sudafrica, se non torniamo a comportarci come un paese sano di mente” ha affermato Yair Golan già vice capo di stato maggiore dell’esercito. “E un paese sano di mente – ha aggiunto – non combatte contro i civili, non uccide bambini per hobby e non si pone l’obiettivo di espellere popolazioni”.

Trump fermerà Netanyahu?

Le decisioni che il governo israeliano prenderà nelle prossime ore definiranno il futuro non solo dei palestinesi ma anche dei rapporti tra Israele e Stati Uniti, il suo più stretto alleato. Nel suo tour nei paesi del Golfo Persico, in cui spiccava l’assenza di una tappa in Israele, Trump ha ricordato che “molte persone muoiono di fame” a Gaza. E Netanyahu è stato colto di sorpresa dalla decisione americana di avviare colloqui con l’Iran sul programma nucleare e dalla decisione di porre fine alla campagna di bombardamenti contro gli Houthi in Yemen, nonostante i loro continui attacchi missilistici contro Israele. In Arabia saudita poi, Trump ha incontrato il nuovo presidente siriano, Ahmed al Sharaa, e ha annunciato la rimozione delle sanzioni americane dalla Siria: una decisione che Israele aveva contestato. L’amministrazione Trump– pur avendo concesso a Israele carta bianca – sembra ora aspettarsi una rapida fine del conflitto: Steve Witkoff, inviato della Casa Bianca per la regione, ha esortato Netanyahu a stringere un accordo per la liberazione degli ostaggi in cambio di un accordo di pace. L’insofferenza per il protrarsi della guerra sarebbe anche il motivo per cui il vicepresidente J.D. Vance, che aveva in programma una visita in Israele questa settimana, avrebbe deciso di annullarla. Oggi fonti del Washington Post riferiscono che i collaboratori di Trump avrebbero chiaramente minacciato Netanyahu di “abbandonarlo” se non porrà fine alla guerra. Un compromesso dell’ultimo minuto dipenderà quindi dalla reale pressione che gli Stati Uniti saranno disposti a esercitare su Israele. In caso contrario, le prossime settimane si annunciano cupe. E anche la ‘visione’ di un Medio Oriente “governato dal commercio e dalla prosperità, anziché dal caos”, come lo ha descritto Trump nel suo discorso al Forum degli investitori di Riad, rischia di sciogliersi come neve al sole.

Il commento

Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre

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“Meglio tardi che mai, l’Europa inizia a fare sentire la sua voce di condanna di fronte alla catastrofe umanitaria di Gaza, dove fame e distruzione sono una drammatica realtà e i pochi camion di aiuti consentiti negli ultimi giorni sono solo una piccolissima goccia nell’oceano. Per la prima volta Francia e Regno Unito, insieme al Canada, hanno minacciato “azioni concrete” contro Israele, quali la revisione dell’Accordo di associazione dell’Unione europea con Tel Aviv, in riposta alla nuova offensiva militare nella Striscia. Parole dure sono arrivate anche dal leader spagnolo Pedro Sanchez, intervenuto al summit della Lega araba lo scorso 17 maggio dove la Spagna ha annunciato che chiederà alla Corte internazionale di giustizia di pronunciarsi sul blocco israeliano di Gaza. Segnali importanti, ma per essere efficaci occorre un unico e assordante coro europeo”.



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