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Nuove violenze in Siria: la questione drusa e il ruolo di Israele


Tutti i nodi, alla fine, vengono inevitabilmente al pettine. Negli ultimi giorni la Siria è stata teatro di una nuova ondata di violenze nel governatorato meridionale di Suwayda, dove si concentra la minoranza drusa. Dopo giorni di scontri armati con alcuni gruppi beduini, che nella zona rappresentano una minoranza, c’è stato l’intervento diretto del governo di transizione guidato da Ahmed al-Sharaa, salito al potere nel paese arabo dopo la caduta di Bashar al-Assad a dicembre 2024. Dopo il dispiegamento delle forze di Damasco, affiancate da milizie semi-autonome nate nell’ex fronte anti-Assad, le parti hanno raggiunto un accordo per far cessare le ostilità, ancora non pienamente rispettato. Ciononostante, dall’analisi di quanto accaduto si possono trarre almeno due conclusioni: il controllo delle nuove autorità siriane sul territorio e sulle forze centrifughe interne non è ancora perfettamente consolidato; l’esito del confronto militare segna inoltre un caso emblematico delle relazioni tra Siria e Israele, attore regionale strettamente coinvolto nella questione drusa e nei rapporti, in via di ridefinizione, con il vicino siriano.

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Drusi, una storia antica…

Per comprendere lo scenario occorre partire da una domanda centrale: chi sono i drusi e che ruolo hanno nel mosaico sociopolitico siriano. I drusi sono un gruppo etno-religioso sincretico nato dall’islam sciita ismailita, ma da esso ormai completamente distinti. La loro fede, esoterica e chiusa agli estranei, accomuna 700mila fedeli in Siria, 250mila in Libano, 120mila in Israele (principalmente in Galilea e sul Golan), 20mila in Giordania e alcune migliaia sparsi in Iraq e Turchia. In Siria sono concentrati principalmente nella provincia di Suwayda (Jabal al-Duruz) e in sobborghi di Damasco come Jaramana. Durante la lotta per l’indipendenza dai francesi, i drusi del Jabal al-Duruz, sotto la guida dell’eroe nazionale druso Sultan al-Atrash, si ribellarono al mandato di Parigi (1925-1927). Nella Siria indipendente, i drusi sono stati spesso oggetto di violenze e soprusi. Sotto il regime di Adib Shishakli (1949-1954), che li accusava di tradimento, subirono una violenta repressione: i loro villaggi vennero bombardati, occupati e il regime diffuse testi religiosi falsificati per alimentare l’odio settario. Lo stesso Shishakli, non a caso, fu assassinato nel 1964 da un druso in cerca di vendetta.

…ma molto attuale

Durante la guerra civile siriana (2011-24), i drusi sono rimasti in gran parte neutrali. I capi religiosi della comunità temevano persecuzioni da parte dei ribelli, in gran parte sunniti, e in particolare dello Stato Islamico, che li considera a tutti gli effetti dei kuffàr (eretici). Per proteggersi, i drusi hanno formato negli anni milizie armate che ancora oggi mantengono una fetta di potere e di controllo del territorio, facendo capo a singoli leader. Gruppi drusi, come la Brigata al-Jabal, hanno partecipato alle offensive del 2024 che hanno portato alla caduta Assad (dicembre 2024), contribuendo alla conquista di Suwayda e Daraa. Questo ha permesso ai drusi di consolidare una certa autonomia di fatto nella regione di Suwayda, pur senza uno status formalmente indipendente. A maggio scorso, Suwayda aveva raggiunto un accordo con Damasco che prevedeva principalmente l’integrazione delle forze di difesa druse nell’esercito siriano. L’intesa, mai effettivamente implementata, mirava a garantire il riconoscimento e l’unità della comunità drusa all’interno delle strutture statali, promuovendo una collaborazione contro il settarismo.

Come sono iniziati gli scontri?

I resoconti su come sia effettivamente iniziata l’ultima ondata di violenza in Siria sono ancora incerti, anche a distanza di giorni. Due le versioni principali. Nel fine settimana un gruppo armato locale, presumibilmente beduino, avrebbe rapito un membro della comunità drusa, spingendo il Consiglio militare affiliato a Hikmat al-Hijri, uno dei principali leader drusi in Siria, a rapire per rappresaglia 10 membri di alcune tribù beduine. Secondo un altro resoconto, c’è stata un’aggressione ai danni di un ortolano di Suwayda, che tornava da Damasco a bordo del suo furgone. L’uomo sarebbe stato picchiato, bersagliato da insulti settari, torturato e abbandonato in una zona impervia a 5 chilometri dalla strada principale. Quale che sia l’origine, la situazione è degenerata rapidamente, provocando decine di vittime su entrambi i lati della barricata in poche ore.

L’intervento del governo

Nella giornata di lunedì, il ministero della Difesa siriano ha annunciato il dispiegamento delle forze governative, insieme a quelle della Sicurezza generale legate al ministero dell’Interno. Dopo un’avanzata rapida e regolare nei villaggi e nelle città minori del governatorato, le truppe governative sono entrate a Suwayda, dove alla popolazione era stato imposto il coprifuoco, concludendo nella mattinata di martedì un accordo per un cessate il fuoco tra le parti. L’esercito dovrebbe ritirarsi, lasciando solo le forze di sicurezza a gestire la situazione, ma si registrano notizie di saccheggi, esecuzioni e violenze incontrollate a danno dei civili, che in parte hanno già iniziato a fuggire dalla zona. Il governo di al-Sharaa ha mobilitato anche milizie come Ahrar Ash-Sharqiyah, arabi sunniti tribali di Deir Ez-Zor, considerate tra i responsabili dei massacri di alawiti avvenuti sulla costa a marzo scorso. I drusi, che ben ricordano le violenze subite nella storia – ad esempio durante il regime di Shishakli – mal sopportano iniziative simili, che vedono a tutti gli effetti come ingerenze esterne.

Israele interviene?

Anche se i dettagli non sono ancora noti, l’ingresso delle forze governative a Suwayda è stato possibile grazie a negoziati dietro le quinte tra il governo di Al-Sharaa e i leader drusi più inclini al dialogo, isolando invece le frange separatiste, che avevano sperato in un sostegno diretto da parte di Israele. Hikmat Al-Hijri, considerato la voce più filoisraeliana tra i leader locali, ha diffuso poco dopo l’annuncio della tregua un video in cui rinnegava l’intesa, estorta a suo dire con la forza, invitando i drusi alla resistenza contro le forze filogovernative. Poco dopo, in una dichiarazione congiunta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz hanno annunciato di aver ordinato alle Forze di difesa israeliane (IDF) di colpire le forze siriane, dicendo di agire “per proteggere le comunità druse, alla luce dei profondi legami tra i cittadini drusi di Israele e i loro fratelli siriani”. Raid dell’IDF hanno colpito convogli militari siriani che stavano entrando Suwayda (dopo l’annuncio della tregua), prendendo di mira sia mezzi pesanti che unità della Sicurezza generale. Già ieri alcuni tank delle forze di Damasco erano stati distrutti dall’IDF, in quello che a tutti gli effetti era un primo avvertimento, ed elicotteri israeliani hanno sorvolato le zone degli scontri per tutto il tempo.

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Cambio di rotta, all’ombra di Trump

Da mesi Israele sta flirtando in modo piuttosto esplicito con i drusi siriani, nell’ottica della sua ‘politica periferica’, ma fino a questa mattina il suo coinvolgimento negli scontri era stato piuttosto limitato. Sebbene si tratti di un episodio estremamente locale, la spiegazione va ricercata nel più ampio contesto internazionale. Riavvolgendo il nastro: a maggio Donald Trump ha incontrato al-Sharaa nel Golfo; a giugno ha sospeso le sanzioni contro la Siria; a luglio ha rimosso Hayat Tahrir As-Sham (HTS) dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Il tutto, poi, mentre si moltiplicano le indiscrezioni di stampa su un possibile storico accordo tra Israele e Siria, che potrebbe addirittura portare alla normalizzazione delle relazioni, con il beneplacito dell’amministrazione americana. Alla luce di questo contesto, si può ipotizzare che in questo momento Israele non possa (e non voglia) spendersi troppo per i drusi, rischiando di andare allo scontro diretto con Damasco. Inoltre, secondo fonti stampa, leader drusi israeliani avrebbero chiesto al governo di impedire alle forze siriane di riprendere Suwayda, e di disarmare le milizie. Tuttavia, l’esecutivo di Netanyahu avrebbe risposto gli era stato detto di non intervenire, chiedendo alle IDF di limitarsi ad azioni circoscritte. Il messaggio, secondo quanto si apprende, arrivava direttamente da Washington.

La situazione è dunque ancora incerta. Le autorità di Damasco predicano moderazione, ma sui social sono circolati video e immagini di violenza settaria (ad esempio miliziani filo-Damasco che radono i baffi a cittadini drusi, in modo da avere solo la barba in conformità allo stile sunnita-salafita). Uno tra i primi convogli inviati dal governo per sedare gli scontri è stato oggetto di un’imboscata da parte delle milizie druse: i militari sono stati spogliati e costretti a camminare in fila indiana sulla strada asfaltata con addosso solo le mutande. L’esito della nuova ondata di violenza dipenderà molto da Israele, che secondo un funzionario della difesa di Tel Aviv vede questa fase come “un test della sua politica di smilitarizzazione della Siria meridionale”. Continuerà a fare pressione su Al-Sharaa, o deciderà che la normalizzazione con Damasco vale più dei drusi?



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