Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Lavoratori nei CdA: tra ruolo della contrattazione collettiva e autonomia delle parti


Il contributo si sofferma sull’attuazione dell’art. 4 della recente L. 76/2025, relativamente alla partecipazione gestionale dei lavoratori alle scelte strategiche dell’impresa, con particolare riferimento alla partecipazione degli stessi al Consiglio di Amministrazione (CdA), e al ruolo della contrattazione collettiva nella regolamentazione attuativa.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 


Il 26 maggio scorso è stata pubblicata la legge n. 76/2025 che ha introdotto un nuovo quadro normativo disciplinante la partecipazione dei lavoratori alla vita, alla gestione e agli utili delle imprese. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore a far data dal 10 giugno 2025.

Tale iniziativa legislativa – di impulso popolare (CISL) – si pone l’obiettivo primario di dare piena attuazione all’art. 46 della Costituzione (nel rispetto dei princìpi e dei vincoli derivanti dagli ordinamenti sovranazionali), disciplinando la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende ed individuandone le relative modalità. L’ulteriore ratio sottostante all’iniziativa legislativa, ancor valevole dal punto di vista sociale, è rappresentata dall’intento di “rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, di preservare e incrementare i livelli occupazionali e di valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale“.

Diverse sono dunque le forme di partecipazione previste:

  • Partecipazione Gestionale (forme di collaborazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell’impresa). Nelle imprese il cui l’amministrazione e il controllo siano affidati a un consiglio di gestione e ad un consiglio di sorveglianza (sistema dualistico ex 2409-octies, ss. cc.), gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti ai suddetti organi; allo stesso modo, nelle imprese che non adottano tale sistema dualistico, gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione al CdA di uno o più rappresentanti gli interessi dei lavoratori dipendenti. Tali rappresentanti saranno individuati dai lavoratori dipendenti della società sulla base delle procedure definite dai contratti collettivi e dovranno, chiaramente, essere in possesso dei necessari requisiti di indipendenza nonché di onorabilità e professionalità previsti dallo statuto della società.
  • Economica e finanziaria (partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell’impresa, anche tramite forme di partecipazione al capitale, tra cui l’azionariato). L’art. 5 della legge in commento prevede che, per l’anno 2025, in caso di distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10% degli utili complessivi, effettuata in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81/2015, il limite dell’importo complessivo soggetto all’imposta sostitutiva è elevato a € 5.000 lordi (in luogo dei € 3.000).
  • Organizzativa. Le aziende possono promuovere l’istituzione di commissioni paritetiche, composte in eguale numero da rappresentanti dell’impresa e dei lavoratori, finalizzate alla predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro. Inoltre, le imprese possono proprio prevedere in organigramma figure referenti per tematiche legate alla formazione, al welfare, politiche retributive, qualità dei luoghi di lavoro, tematiche legate alla genitorialità nonché alle diversità ed all’inclusione.
  • In aggiunta a quanto sopra, v’è anche un ulteriore rafforzamento delle funzioni consultive preventive già diffusamente previste – sia dalla legge sia dai Ccnl – in capo ai rappresentanti dei lavoratori in relazione a numerose tematiche afferenti alle scelte e visioni aziendali. Ciò attraverso commissioni paritetiche le cui modalità di composizione (nonché le regole attinenti alle consultazioni ed al raggio d’azione) sono affidate ai contratti collettivi.

L’intero impianto normativo è stato – sin da subito – al centro di dibattiti e riflessioni. Ad una prima (e corretta) lettura, gran parte della novella risulta caratterizzata – in gran parte – dall’inesigibilità (o “imprescrittibilità” giuridica) diretta degli obblighi previsti. Infatti, per ogni forma di partecipazione, v’è sempre un rimando ad uno strumento istitutivo diverso dalla legge in commento, come le previsioni di statuti e Ccnl.

Sorge spontaneo, dunque, l’interrogativo su come rendere efficace (o, effettivo) tale intervento legislativo. Apprezzando la portata culturale e politica della novella, ci troviamo dinanzi a un nuovo quadro normativo tutto caratterizzato da un comune denominatore: la valorizzazione e l’affidamento di un ruolo assolutamente primario alla contrattazione collettiva.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Risulta necessario comprendere, però, quali siano le concrete vie d’attuazione.

Senza dubbio, il tema più annoso è quello della partecipazione gestionale in quanto caratterizzato da una portata nuova e dirompente nel mercato imprenditoriale italiano.

Al contrario, le ulteriori forme di partecipazione (come quella economica, organizzativa e consultiva) vedono molti e significativi precedenti già in vigore su cui non ci si dilungherà per via degli innumerevoli contributi già offerti (si pensi, agli strumenti finanziari partecipativi, al welfare, alle funzioni informative e consultive tra aziende e sindacati già previste in vari Ccnl e molto diffuse nella pratica).

Tornando alla nostra analisi più specifica sulle vie d’attuazione, l’art. 4 disciplina nel dettaglio la “partecipazione al consiglio di amministrazione“.

Può osservarsi che il comma 1 della norma prevede che “gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione al consiglio di amministrazione e, altresì, al comitato per il controllo sulla gestione di cui all’articolo 2409-octiesdecies del codice civile, ove costituito, di uno o più amministratori, rappresentanti gli interessi dei lavoratori dipendenti“. Segue il comma 2 con la seguente statuizione “gli amministratori di cui al comma 1 sono individuati dai lavoratori dipendenti della società sulla base delle procedure definite dai contratti collettivi“.

Dalla lettura della norma, emergono due aspetti principali (e fondamentali):

  • al comma 1, è prevista soltanto la “possibilità” per gli statuti societari di prevedere tali forme di partecipazione e solo se ciò sia disciplinato (previamente, aggiungerei) dai “contratti collettivi“;
  • al comma 2, nessun riferimento ulteriore agli statuti ma soltanto ai “contratti collettivi“, deputati quale unico strumento idoneo a definire le procedure per individuazione dei rappresentanti lavoratori (nei CdA).

La medesima analisi può ripetersi con riferimento, ad esempio, all’art. 3 (partecipazione nei sistemi dualistici). Lo schema è il medesimo.

Qual è, dunque, il ruolo della contrattazione collettiva e che spazio è riservato ad eventuali ulteriori strumenti? Dalla suddetta analisi, emerge che il “deus ex machina” per una concreta attuazione del “progetto” (non solo) normativo (ma anche culturale, del lavoro) dovrà essere il contratto collettivo cui spetterà l’arduo compito di rendere concretamente applicabile quanto teorizzato dalla legge in commento. A questo, infatti, è rimesso l’onere (ed il potere) di disciplinare nello specifico le regole per (i) prevedere specifiche norme partecipative all’interno degli statuti aziendali o per l’individuazione dei rappresentanti dei lavoratori, (ii) la composizione delle commissioni, (iii) consultazioni preventive, etc.

La tua casa è in procedura esecutiva?

sospendi la procedura con la legge sul sovraindebitamento

 

In questo momento storico “primordiale” rispetto all’entrata in vigore del testo normativo in commento, dovrebbero ritenersi escluse altre forme (autonome e “private”) di regolamentazione attuativa (come regolamenti/policy aziendali) al di fuori del perimetro di contrattazione collettiva come specificamente tracciato dalla norma.

Inoltre, sembrerebbe doversi escludere anche la possibilità di regolamentazione autonoma direttamente da parte degli statuti societari. Infatti, la legge è chiara nel prevedere che gli statuti “possono” prevedere regole solo “qualora” ciò sia previsto dai Ccnl.

Quali sono i contratti collettivi di riferimento richiamati dalle norme di legge? Sul punto, ci viene in aiuto stesso l’art. 2 della legge in commento ove si specifica che per contratti collettivi, s’intendono “i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81“.

La legge è chiara. Il perimetro di riferimento è quello della contrattazione collettiva stipulata – ai vari livelli (nazionale, aziendale etc.) – sempre nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Quest’ultima, è una nozione misuratrice della rappresentatività sindacale che, dalla fine degli anni 90, ha gradualmente sostituito la precedente forma di misurazione rappresentata dalla mera “maggiore rappresentatività”.

La ragione della “sostituzione” trae origine dal diffondersi di contratti collettivi (che spesso proponevano tutele meno forti e trattamenti economici inferiori per i lavoratori e, per questo, definiti anche contratti “pirata”) sottoscritti da associazioni sindacali che, seppur formalmente dotate di struttura confederale, erano presenti solo in pochi settori del mondo del lavoro e/o in pochi territori.

La complicazione nell’individuazione dei sindacati (e Ccnl) comparativamente più rappresentativi è insita, però, nel fatto che il legislatore non ha fornito indici utili ad attribuire tale qualificazione: infatti, ai fini dell’individuazione dei sindacati comparativamente più rappresentativi ci si continua a riferire ai medesimi parametri originariamente elaborati per i sindacati maggiormente rappresentativi: i.e. consistenza numerica degli iscritti, diffusione territoriale sul piano nazionale, partecipazione effettiva (attività negoziazione contratti collettivi), equilibrata estensione nei diversi settori produttivi etc.

Pertanto, soltanto i sindacati (e contratti collettivi) che siano comparativamente (rispetto a tali indici) più rappresentativi potranno realizzare l’attività giuridica necessaria prevista dalla normativa in commento.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

In base alla loro storia, nessun dubbio si appaleserebbe sulla possibilità per CGIL, CISL e UIL; fatta eccezione per questi “pilastri”, nell’odierno mondo economico, caratterizzato da una sempre più esasperata settorialità e pluralità di soggetti attori, in assenza di ulteriori regole chiare e definite, la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali rischia di divenire un nodo di sempre più difficile risoluzione.

In ogni caso, e qui subentrano gli aspetti culturali e politici della riforma, non può che auspicarsi che le aziende ed i rappresentanti sindacali dei lavoratori (a tutti i livelli) diano vita ad una nuova “era” di concertazione e si mostrino proattivi anche nel colmare – se possibile – eventuali vuoti interpretativi e/o difficoltà che potrebbero appalesarsi nel processo d’attuazione pratica (stimolando, ove necessario, anche nuovi interventi legislativi correttivi).

Ad esempio, in assenza di alcuna esperienza pratica ad oggi, nonostante l’accertata funzione primaria affidata alla contrattazione collettiva dalla legge in commento, ci si domanda se vi sarà l’effettiva possibilità (o forza concertativa) di imporre alle imprese di modificare (o strutturare in un determinato modo) gli statuti societari attraverso la sola norma di derivazione collettiva. Inoltre, prendendo spunto dall’annoso dibattito sulla compatibilità tra i ruoli di amministratore e dipendente in capo al medesimo soggetto (ed i relativi limiti dell’uno e dell’altro ruolo), s’intravede – sul piano operativo – l’esigenza prospettica di definire meglio il ruolo di rappresentanti dei lavoratori nell’ambito degli assetti gestori (e.g. CdA), quali saranno i poteri (e i loro limiti), i diritti e quali saranno le tutele per garantire l’effettività del ruolo ricoperto.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Source link

 

Prestiti aziendali immediati

anche per liquidità