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Egitto: tra ripresa economica e instabilità regionale


Dopo quasi 24 mesi di turbolenze economico-finanziarie che hanno a lungo fatto temere per la stabilità politica e sociale del paese, l’Egitto ha registrato negli ultimi mesi delle buone performance grazie al rispetto delle condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale (Fmi), soprattutto in ambito valutario, riuscendo così ad avviare una fase di gestione della crisi più ordinata e meno convulsa. Sul piano internazionale, invece, persistono numerose difficoltà e minacce che continuano a ostacolare il processo di stabilizzazione interna. Il conflitto tra Israele e Hamas, la drammatica situazione umanitaria a Gaza, le incertezze legate alla ripresa del traffico commerciale nel Canale di Suez e le potenziali conseguenze a lungo termine della guerra tra Tel Aviv e Teheran rischiano di compromettere la ripresa economica dell’Egitto ed esporre il paese a nuovi fattori di instabilità.

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Quadro interno

Il piano interno egiziano si mostra in continuità con gli ultimi mesi. A dominare lo scenario nazionale sono soprattutto la gestione della crisi economico-finanziaria e i tentativi del governo di affrontare la situazione attraverso iniziative volte a migliorare il quadro macroeconomico interno e a mitigare gli impatti delle tensioni politiche regionali.

Le prospettive economiche dell’Egitto seguono una traiettoria ascendente, con una crescita prevista del Pil del 3,8% nell’anno fiscale 2025-2026. La performance è alimentata, soprattutto, dal deprezzamento del tasso di cambio, dall’aumento dei tassi d’interesse e dal calo dell’inflazione, che hanno stimolato un maggiore volume di investimenti diretti esteri nel paese (pari a 46,1 miliardi di dollari nell’anno fiscale in corso) in settori vitali come turismo, costruzioni e infrastrutture. La stabilizzazione del quadro complessivo potrebbe consentire un allentamento rispetto alle misure stringenti adottate da governo e istituzioni finanziarie nazionali in materia di politica monetaria, ma senza una ripresa dei consumi privati di famiglie e cittadini (il motore tradizionale dell’economia egiziana) tale passaggio potrebbe non avvenire nel breve e medio periodo. In tal senso, molto dipenderà dal mantenimento di un clima di conciliazione e collaborazione tra istituzioni egiziane e internazionali, soprattutto per ciò che riguarda la promozione di riforme in grado di stravolgere l’attuale sistema-paese come previsto dall’attivazione dell’Extended Fund Facility (Eff), un programma di assistenza finanziaria da 8 miliardi di dollari, firmato dal governo del Cairo con il Fondo monetario internazionale nel 2022, e successivamente aggiornato nel 2024[1].

Infatti, dalla pandemia di Covid-19 del 2020 a febbraio 2024, il paese ha attraversato gravi e numerose difficoltà economico-finanziarie sfiorando vari default tecnici, evitati soltanto grazie a un salvataggio internazionale da 57 miliardi di dollari, guidato da Fmi e investitori esteri. Il programma Eff, revisionato durante lo scorso anno, dovrebbe concludersi nell’ottobre 2026 ma è altamente probabile che venga esteso almeno fino al 2027 per volontà congiunta di Fmi ed Egitto. Questa estensione si rende necessaria a causa dei ripetuti ritardi accumulati nelle revisioni periodiche e nei trasferimenti di fondi, ma anche per l’approccio esitante del governo egiziano nell’attuare le riforme economiche richieste dalle istituzioni internazionali, anche quelle minime, che sarebbero fondamentali per superare l’attuale ciclo di crisi e promuovere uno sviluppo più solido[2].

Dal 2016 in poi l’agenda di riforme guidata dal Fmi ha cercato di aprire l’economia egiziana al mercato, ridurre la presenza dello stato e attrarre capitali stranieri. Nonostante alcuni miglioramenti negli indicatori macroeconomici (come la riduzione dell’inflazione che è passata dal 38% del settembre 2023 al 16,8% del maggio 2025), il quadro generale rimane precario e fortemente diseguale. Molte misure previste, in particolare sulla privatizzazione degli asset pubblici (a eccezione della cessione totale di Telecom Egypt e del 30% di Bank of Egypt) e sulla riduzione del controllo statale in economia, non sono state attuate. Anche riforme considerate cruciali, come la transizione a un tasso di cambio più flessibile, hanno prodotto risultati modesti poiché necessitano di migliore implementazione. I benefici della stabilizzazione si sono concentrati su settori limitati (come il bancario), favorendo solo le fasce sociali più benestanti, mentre i tagli alla spesa pubblica – soprattutto nei sussidi alimentari ed energetici – hanno aggravato le condizioni delle categorie più vulnerabili. Ne sono derivati un aumento della povertà (che oggi colpisce un terzo della popolazione totale), un’espansione del lavoro informale e un’accentuazione delle disparità territoriali, segni evidenti dell’incapacità del modello adottato di garantire uno sviluppo inclusivo[3].

Tuttavia, il contesto interno resta fortemente esposto a nuove instabilità, alimentate da shock esterni. Tra le principali preoccupazioni si annoverano le tensioni legate al conflitto a Gaza, la crisi umanitaria nell’enclave palestinese, l’insicurezza dei traffici commerciali nel Canale di Suez dovuta agli attacchi degli houthi nel Mar Rosso e l’incertezza geopolitica crescente nell’area mediorientale, accentuata dalla guerra tra Israele e Iran. A ciò si aggiunge la vulnerabilità dell’Egitto per la sua forte dipendenza dalle importazioni alimentari ed energetiche, aggravata quest’ultima dalla temporanea chiusura dei giacimenti offshore israeliani Tamar e Leviathan, cruciali per la produzione di energia elettrica e industriale del paese nordafricano[4]. Di fatto, l’escalation militare tra Israele e Iran potrebbe sconvolgere i piani economici dell’Egitto, costringendo il governo a prepararsi a scenari complessi riguardanti il futuro energetico del paese e il potenziale impatto sulle riserve strategiche di materie prime. Anche in questa prospettiva, le istituzioni finanziarie internazionali monitorano con attenzione la situazione, suggerendo una continuità nelle linee politiche finora adottate. Cresce, quindi, la preoccupazione per una possibile ripresa dell’inflazione, la riduzione dei consumi e l’adozione di politiche monetarie emergenziali. Per questi motivi, viene esercitata una forte pressione sull’Egitto affinché mantenga un approccio prudente e continui a beneficiare dei programmi di assistenza del Fmi, sottoponendosi a una supervisione attenta delle proprie politiche economiche interne che hanno contribuito al persistente disavanzo nazionale[5].

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Consapevole di queste fragilità, il Cairo cercherà di mantenere un equilibrio diplomatico con le istituzioni internazionali, mostrando un atteggiamento pragmatico e prudente. Al contempo, però, rafforzerà il proprio controllo interno, cercando di prevenire qualsiasi forma di dissenso che possa minacciare la stabilità politica. La repressione si è intensificata, soprattutto nel contesto mediorientale attuale: sono vietate manifestazioni a sostegno della popolazione palestinese sin dal 7 ottobre 2023 e sono state represse anche manifestazioni di solidarietà verso il nuovo governo siriano o proteste contro l’aumento del costo della vita. Nella percezione delle autorità egiziane, l’obiettivo resta quello di impedire il riemergere di dinamiche di protesta simili a quelle che portarono alle Primavere arabe del 2011. In questo clima si è incrinato anche il contratto sociale tra stato e cittadini, storicamente basato sulla redistribuzione delle risorse dall’alto in cambio della fedeltà politica della popolazione. Il latente malcontento, in particolare tra i giovani e i lavoratori urbani, ha generato una sfiducia diffusa nelle istituzioni che potrebbe mettere a rischio la coesione sociale[6], proprio mentre il potere politico rafforza la presa autoritaria per impedire proteste o manifestazioni di carattere socioeconomico che si possano legare in qualche modo anche al piano politico. Essendo così pervasivo, questo controllo rende, almeno nel breve termine, poco probabile un indebolimento del regime nelle sue fondamenta ma lo espone a una pericolosa rabbia sociale[7].

Relazioni esterne

Se sul fronte interno l’Egitto sembra seguire un percorso di cauta stabilizzazione, la situazione internazionale continua a destare preoccupazione, soprattutto per le molteplici minacce che gravano sulla sicurezza nazionale. Il paese si trova, infatti, a dover affrontare sfide geopolitiche e strategiche complesse, provenienti da più direzioni, alcune delle quali hanno avuto un impatto diretto sulla stabilità politica egiziana. Le tensioni nel Mar Rosso, la gestione dei confini, gli sviluppi in Africa orientale e i conflitti di Israele a Gaza e in Iran pongono interrogativi significativi sul futuro del paese, senza che si intravedano segnali di svolta positiva nel medio termine.

Da un punto di vista strategico, uno degli aspetti più preoccupanti riguarda le forti perdite economiche causate dalla drastica riduzione del traffico commerciale nel Mar Rosso, a causa degli attacchi degli houthi. Il passaggio marittimo da Bab al-Mandeb al Canale di Suez rappresenta per l’Egitto una fonte cruciale di entrate, pari a circa 9 miliardi di dollari l’anno, ovvero quasi il 10% del Pil nazionale. Prima della guerra tra Israele e Hamas, il Mar Rosso e il Canale di Suez ospitavano circa il 30% del traffico globale di container, il 7-10% del petrolio e l’8% del gas naturale liquido: valori che oggi risultano più che dimezzati[8]. Oltre all’aspetto economico, questo snodo è fondamentale per il ruolo geostrategico dell’Egitto in Africa orientale. Il Mar Rosso è un’infrastruttura critica per il traffico internet, poiché circa il 90% dei dati globali transita attraverso cavi sottomarini che collegano Asia, Africa ed Europa – che fanno capo a colossi come Amazon, Google e Meta –, rendendo l’Egitto uno snodo digitale centrale[9]. Non meno rilevanti sono i fattori infrastrutturali: dopo anni di annunci e smentite, le autorità egiziane hanno confermato il completamento della fase di pianificazione di un ponte sul Mar Rosso, che collegherà l’Egitto all’Arabia Saudita tramite le isole di Sanafir e Tiran, cedute nel 2017 al regno saudita in base a un memorandum strategico bilaterale, con l’obiettivo di sviluppare il turismo e la logistica, in sinergia con il mega-progetto Neom[10]. Pertanto, alla luce dei considerevoli interessi geo-strategici presenti in una regione tanto instabile quanto centrale per la sicurezza nazionale egiziana, il Cairo punta a mitigare le tensioni attraverso un’apertura diplomatica verso l’Iran, coinvolgendolo nella gestione della crisi nel Mar Rosso. La strategia egiziana si fonda su alcune convinzioni chiave: in primo luogo, la Repubblica islamica potrebbe esercitare un’influenza sugli houthi per attenuare gli attacchi contro il traffico navale; in secondo luogo, un riavvicinamento tra il Cairo e Teheran potrebbe contribuire a stabilizzare la situazione nell’area; infine, tale dinamica favorirebbe una più ampia de-escalation delle tensioni nel contesto regionale in trasformazione. Tuttavia, vista l’elevata probabilità che l’insicurezza marittima si protragga nel medio-lungo periodo, il conseguente calo delle entrate economiche continuerà a gravare negativamente sui conti pubblici egiziani. A ciò si aggiunge la crescente instabilità alimentata dagli sviluppi recenti in Medio Oriente, in particolare l’escalation del conflitto tra Israele e Iran, che rischia di produrre effetti duraturi e destabilizzanti sull’intero equilibrio regionale[11].

In risposta all’evolversi della situazione, l’Egitto ha istituito un comitato di crisi di massima allerta per presidiare e attenzionare qualsiasi implicazione diretta che tale sviluppo potrà avere sul Mar Rosso, ma anche e soprattutto nei confronti del conflitto a Gaza, ritenuto primario per la sicurezza nazionale egiziana. Il fallimento della tregua dello scorso marzo ha acuito le frizioni tra Egitto e Israele, con reciproche accuse di violazione degli accordi militari sul Sinai che limitano la presenza di truppe nei pressi delle rispettive frontiere. In aprile, infatti, il governo egiziano aveva autorizzato lo schieramento di carri armati Patton e Abrams nella zona D della Penisola sinaitica, vicino al confine con Israele e Gaza, in aperta violazione del trattato di pace del 1979. Tel Aviv ha reagito duramente chiedendo l’immediato ritiro dei mezzi, ma le autorità cairote hanno risposto dichiarando che il paese avrebbe difeso la propria sicurezza e sovranità nel caso di un’invasione da parte delle truppe israeliane[12]. Quel che gli egiziani imputano a Tel Aviv è che, secondo il disengagement plan da Gaza del 2005, non dovrebbe essere consentita la concentrazione di forze armate di alcuna delle due parti lungo la frontiera dell’enclave palestinese, che dovrebbe invece rimanere un’area smilitarizzata[13]. In tale prospettiva, il controllo esclusivo del corridoio Philadelphi lungo la frontiera con l’Egitto, la rioccupazione del 75% di Gaza e i progetti israeliani di consolidamento del controllo sull’area, che in maniera verosimile potrebbero divenire permanenti, rischiano di alimentare nel Cairo una percezione distorta di minaccia diretta alla sua sicurezza nazionale. Questa situazione ha inevitabili ripercussioni sui rapporti bilaterali. Le recenti campagne mediatiche e diplomatiche israeliane ostili verso l’Egitto, unite all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, hanno acuito il dissidio politico con la leadership cairota. Queste dinamiche rischiano di mettere in discussione le fondamenta della fragile “pace fredda” tra i due paesi. Pur non profilandosi uno scontro diretto, il rischio di un’escalation non può essere completamente escluso. Ciò che frena tale evoluzione è la cooperazione pragmatica in settori strategici come energia, commercio, sicurezza e intelligence, oltre al ruolo determinante degli Stati Uniti quale garante degli accordi di Camp David (1978) e del trattato di pace tra Egitto e Israele (1979). Nonostante le frizioni recenti con entrambi, Washington continua a considerare i due paesi partner regionali essenziali, mantenendo, specie nei confronti egiziani, un ruolo di costante supporto militare e politico. Una rottura con Israele indebolirebbe fortemente la posizione del Cairo agli occhi americani, con conseguenze difficilmente sostenibili[14].

Parallelamente al fronte mediorientale, quello africano si presenta come uno scenario di crescente interesse e attenzione per la politica estera egiziana. Particolare rilevanza assumono i rapporti con Sudan ed Etiopia. Nel primo caso, l’Egitto è interessato a sostenere la fazione militare guidata dal generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan nella nuova fase di guerra civile che imperversa nel paese dall’aprile dello scorso anno. A guidare gli interessi del Cairo sono essenzialmente ragioni di sicurezza, come il controllo dei flussi migratori irregolari ma anche la necessità di bilanciare l’influenza etiope in Corno d’Africa. La questione della gestione del Nilo, e in particolare la controversia con Addis Abeba sulla Grande diga del rinascimento (Gerd) continua a generare forti tensioni. L’Egitto reclama un accordo vincolante con meccanismi di controllo esterni e, in assenza di progressi, ha adottato una linea più assertiva volta all’isolamento diplomatico e al rafforzamento di alleanze strategiche con i principali rivali geopolitici dell’Etiopia nell’area. Dall’Eritrea al Sud Sudan, fino alla Somalia, il Cairo ha messo in campo una complessa rete diplomatica e militare tesa a rafforzare la propria influenza e a isolare Addis Abeba sul piano regionale[15].


[1] International Monetary Fund, “IMF Staff Completes Review Mission to Egypt”, Press Release, 25/163, 27 maggio 2025.

[2]IMF’s support for Egyptian economy to remain a priority, Georgieva says”, Arab News, 17 febbraio 2025.

[3] Economist Intelligence Unit, One Click- Report: Egypt, maggio 2025.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

[4] S. el-Wardany, “Egypt Seeks Fuel Supplies as Mideast Crisis Cuts Israel Gas Flow”, Bloomberg, 16 giugno 2025.

[5] A. Hafez, “Egypt faces energy strain as Israel and Iran escalate conflict”, Arab Weekly, 15 giugno 2025.

[6] A. Mazarei, “Egypt’s Economic Crisis May Not Be Over”, Project Syndicate, 29 gennaio 2025.

[7] Per una maggiore comprensione sull’evoluzione dell’idea di stato e governo in Egitto, si veda, Y. Sayigh, “The Second Republic: Remaking of Egypt Under Abdel-Fattah el-Sisi”, Carnegie Endowment for International Peace, 12 maggio 2025.

[8] L. Hargreaves, “What Does Red Sea Disruption Mean for Trade?”, Supply Chain Digital Magazine, 17 marzo 2025.

[9] G. Dentice, “L’Egitto e il multipolarismo mediorientale nelle nuove geografie del potere”, Aspenia online, 6 giugno 2025.

[10] A. Emam, “Economics trumps politics: Egypt and Saudi Arabia plan to build first high-speed rail link”, The New Arab, 4 giugno 2025.

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[11] M. el-Said, “Egypt, Iran explore closer ties amid escalating regional tensions”, The Daily News Egypt, 2 giugno 2025.

[12]Egypt deploys Patton, Abrams tanks in central Sinai, media reports claim”, Middle East Monitor, 9 aprile 2025.

[13]Israel’s disengagement from Gaza in 2005“, Encyclopedia Britannica, 2005.

[14] M.N. el-Bendary, “Egypt’s Delicate Balance: Maintaining US Support While Confronting Gaza Challenges”, Stimson Center, 18 aprile 2025.

[15] F. Donelli, “Egypt’s Growing Role in Somalia: Implications for Red Sea Security and Regional Balance”, Radban Security & Defence Institute, 14 maggio 2025.



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