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Confartigianato Imprese Rieti, il sistema penitenziario italiano – Focus sul carcere di Rieti e sul ruolo delle imprese nel reinserimento sociale – Format Rieti


Il sistema penitenziario italiano continua a vivere una crisi strutturale ormai cronica, contraddistinta da sovraffollamento, carenza di personale e difficoltà nel garantire percorsi efficaci di rieducazione e reinserimento. L’art. 27 della Costituzione indica chiaramente che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, ma la realtà quotidiana delle carceri italiane si discosta spesso da questo principio.

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Un segnale d’allarme evidente è arrivato proprio negli ultimi giorni: il 10 luglio 2025, il carcere di Rieti è stato teatro di una violenta rivolta interna, culminata nell’incendio della sala ricreativa e nel ricovero di sei agenti di polizia penitenziaria, uno dei quali aggredito fisicamente. Il tutto si è verificato in un istituto che ospita quasi 500 detenuti a fronte di 295 posti regolamentari, e che da tempo soffre una grave carenza di organico.

In questo contesto di criticità strutturale e tensioni crescenti, questo studio – promosso da Confartigianato Imprese Rieti – intende porre l’accento su una realtà locale troppo spesso trascurata nel dibattito pubblico. I dati ufficiali dimostrano che Rieti non è un’eccezione virtuosa, bensì un esempio emblematico delle criticità del sistema penale nazionale e regionale.

Secondo i dati ufficiali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), aggiornati al 30 aprile 2025, la situazione nel carcere di Rieti è la seguente:

  • Capienza regolamentare: 295 posti
  • Posti effettivamente disponibili: 289 posti
  • Detenuti presenti: 485
  • Tasso di sovraffollamento: 167,8%
  • Numero detenuti stranieri: 270
  • Percentuale detenuti stranieri: 55,67%

Fonte: DAP, Tabella regionale aggiornata al 5 maggio 2025

Questi numeri pongono il carcere di Rieti tra gli istituti più affollati del Lazio, in una regione che già registra tassi di affollamento superiori alla media nazionale. Il dato sulla presenza straniera è significativo e richiede attenzione: oltre la metà dei detenuti proviene da paesi terzi o comunitari. Questo non deve essere letto in chiave stigmatizzante, ma come una sfida per la gestione interculturale delle relazioni, dei bisogni sanitari e dei percorsi trattamentali.

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Il tasso di affollamento a Rieti supera di oltre il 67% la capienza ufficiale. Una condizione del genere rende estremamente difficile garantire:

  • adeguate condizioni igienico-sanitarie;
  • la separazione dei detenuti per circuito (alta sicurezza, media sicurezza, );
  • attività trattamentali continuative e personalizzate;
  • accesso al lavoro e alla formazione

In un carcere sovraffollato, anche la gestione quotidiana diventa più complessa: i tempi di attesa per visite mediche, colloqui o attività scolastiche si allungano, aumentando la tensione tra i detenuti. Inoltre, il personale, già carente, è costretto a operare in condizioni di stress continuo, riducendo l’efficacia del controllo e della relazione educativa.

Il XX Rapporto Antigone (2024) rileva come Rieti presenti uno dei più alti rapporti detenuti/agente di polizia penitenziaria a livello nazionale: 3,9 detenuti per agente, contro una media italiana di 1,96.

Fonte: Antigone, “Nodo alla gola”, XX Rapporto 2024

Come sottolineato nel XX Rapporto Antigone e dai dati DAP, i detenuti stranieri rappresentano una componente importante della popolazione carceraria italiana. Al 31 marzo 2024 erano 19.108 su un totale di circa 61.000 detenuti, pari al 31,3%.

Nel carcere di Rieti, la percentuale è molto più alta: 55,67%. La gestione di una popolazione detenuta composta in larga misura da persone straniere comporta alcune complessità specifiche: la necessità di mediazione linguistica, l’accesso alle informazioni giuridiche e amministrative, la difficoltà nel mantenere legami familiari e sociali, la scarsità di reti territoriali. Inoltre, i detenuti stranieri accedono con maggiore difficoltà alle misure alternative, con un impatto negativo sul loro percorso rieducativo.

Queste sfide richiedono risorse dedicate, competenze interculturali da parte del personale e un rafforzamento dei servizi sociali e di formazione.

Meno del 33% dei detenuti italiani lavora, e solo il 15,5% è assunto da cooperative o imprese esterne. Il resto svolge attività interne (scolastiche, di cucina, manutenzione, lavanderia) per l’Amministrazione Penitenziaria. Questo dato è confermato sia dal Rapporto Antigone sia dall’inchiesta di Vita.it (maggio 2025).

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Inoltre, gli educatori penitenziari in servizio sono 939, a fronte di 993 previsti. Una carenza che incide direttamente sulla qualità dei percorsi trattamentali e di reinserimento.

Secondo la stessa fonte, i percorsi di reinserimento fondati su lavoro, formazione e affidamento in prova ai servizi sociali producono tassi di recidiva inferiori al 19%, mentre la recidiva resta superiore al 65% per chi non accede a nessuna misura trattamentale.

La Legge Smuraglia (n. 193/2000) prevede incentivi fiscali per le imprese che assumono detenuti. Secondo la legge, le imprese che assumono detenuti all’interno degli istituti penitenziari o lavoranti all’esterno, ai sensi dell’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, possono ottenere un credito d’imposta per ogni

lavoratore assunto di 520 euro mensili, mentre quelle che assumono semiliberi possono ottenere un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto di 300 euro mensili.

Tuttavia, queste misure sono spesso ostacolate da eccessi burocratici e carenze di infrastrutture adeguate nei penitenziari. L’inchiesta della rivista Vita sottolinea come tali strumenti risultino oggi parzialmente inadeguati rispetto alle necessità e potenzialità del reinserimento lavorativo.

Non si tratta di un tema nuovo per il territorio reatino. Già nel 2021, il tema dell’impiego della manodopera detenuta era stato affrontato con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa, che mirava a valorizzare il potenziale formativo e professionale dei detenuti degli istituti del Lazio, anche in riferimento ai cantieri per la ricostruzione post-sisma. Il protocollo prevedeva percorsi di formazione per figure professionali richieste nel comparto edile (muratori, elettricisti, carpentieri, manutentori aree verdi, idraulici, ecc.), da svolgere sia all’interno degli istituti che in collaborazione con il mondo produttivo locale. Inoltre, contemplava il successivo inserimento lavorativo dei detenuti formati, anche attraverso strumenti digitali come la piattaforma BLEN.it – Borsa Lavoro Edile Nazionale. Purtroppo, quell’iniziativa non ha trovato seguito, evidenziando ancora una volta quanto sia necessario il supporto attivo di tutte le componenti del territorio – imprese, enti locali, istituzioni penitenziarie – per passare dalle intenzioni ai risultati concreti.

Il lavoro è il principale fattore di prevenzione della recidiva. Le piccole imprese e gli artigiani possono giocare un ruolo cruciale nel promuovere percorsi di reinserimento reale e duraturo.

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La carenza strutturale di artigiani in molti settori chiave – come l’edilizia, l’impiantistica, la falegnameria o la manutenzione – rappresenta un paradosso rispetto al potenziale di forza lavoro inutilizzato all’interno delle carceri.

Secondo l’Ufficio studi della CGIA (Mestre), in Italia si è passati da 1.867.000 artigiani nel 2012 a circa

1.457.000 nel 2023, una perdita di oltre 410.000 professionisti. Questo declino, ormai costante da oltre un decennio, rischia di far sparire mestieri fondamentali come idraulici, elettricisti, fabbri, calzolai, falegnami, carpentieri e pittori.

In provincia di Rieti, secondo i dati Unioncamere-Excelsior 2023, le imprese artigiane segnalano una crescente difficoltà nel reperire manodopera specializzata nei settori edile, impiantistico e della manutenzione. Professioni come l’idraulico, l’elettricista, il piastrellista o il carpentiere risultano tra le più richieste, ma anche tra le più difficili da coprire a causa della mancanza di candidati formati e disponibili.

“In questo scenario, realtà associative come Confartigianato Imprese Rieti possono fungere da veicolo per mettere in contatto i bisogni delle imprese locali con percorsi di formazione e riqualificazione destinati ai detenuti. Questo approccio consente non solo di favorire il reinserimento sociale delle persone private della libertà, ma anche di rispondere a concreti fabbisogni professionali del territorio” – afferma Maurizio Aluffi Direttore di Confartigianato Imprese Rieti.

“La detenzione, infatti, non può e non deve essere solo contenimento. Deve diventare occasione di riscatto, attraverso un coinvolgimento attivo e responsabile della società civile e del mondo produttivo”, ribadisce il Presidente dell’associazione reatina, Franco Lodovici.

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Il carcere di Rieti rappresenta una realtà emblematica delle criticità del sistema penitenziario italiano. Le condizioni di sovraffollamento, la forte presenza straniera e la scarsità di personale rendono difficile realizzare una pena a vocazione rieducativa. Tuttavia, il coinvolgimento delle imprese e delle associazioni del territorio può innescare un cambiamento culturale e pratico, capace di trasformare il carcere in uno strumento di reintegrazione e non di esclusione.

 

16_07_2025



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