Economista, docente e direttore di Dock Startup Lab, Andrea Dal Piaz guida ogni anno 100 talenti nella creazione di startup ad alto impatto. In questa intervista, ci parla dell’approccio del programma, dell’importanza del Demo Day e del futuro dell’imprenditorialità tra formazione, inclusione e visione globale
Alessandra D’Amato: Andrea, è un piacere averti qui con noi! Partiamo da Dock Startup Lab: cosa distingue questo programma da altri percorsi di incubazione o accelerazione?
Andrea Dal Piaz: Quello che rende unico Dock Startup Lab è il nostro approccio ‘founder-first’. A differenza degli altri incubatori e acceleratori, noi non selezioniamo progetti imprenditoriali, ma persone. Ragazzi e ragazze con le capacità e la voglia di cambiare il mondo. La ricetta segreta è metterli tutti insieme e renderli complici del successo l’uno dell’altra. Nella prima parte del programma, i 100 partecipanti sono chiamati a scegliere le persone con cui lavorare alla definizione e allo sviluppo di un’idea imprenditoriale. Dedichiamo un intero mese a questa fase, perché la scelta dei co-founder è forse l’aspetto più importante (e spesso più sottovalutato). L’idea cambierà molte volte, ma i soci in linea di massima rimarranno quelli.”
Alessandra D’Amato: Il Demo Day di oggi, 16 luglio rappresenta il culmine del percorso. Cosa ti aspetti da questa edizione?
Andrea Dal Piaz: Questa è l’ottava edizione di Dock Startup Lab. Nel corso degli anni, man mano che la nostra iniziativa è diventata più conosciuta, è aumentata la competitività della selezione in ingresso e, di conseguenza, la qualità dei progetti di startup. A questo si aggiunge il fatto che l’AI e i tanti tool no-code hanno permesso di velocizzare enormemente le possibilità di realizzare prodotti digitali, dunque i team sono stati in grado di fare più cicli di validazione del solito e fare anche più di un pivot durante i quattro mesi di programma. Mi aspetto quindi un Demo Day con soluzioni più avanzate, seppure appena nate (anzi, ancora in gestazione), dove gli investitori e le aziende presenti inizieranno a contendersi le startup più promettenti.”
Alessandra D’Amato: Dock si definisce una “bussola” per le startup in fase iniziale. Qual è, secondo te, la qualità più importante che un fondatore dovrebbe sviluppare per mantenere la rotta?
Andrea Dal Piaz: Capacità di ascolto, determinazione, ottimismo e metodo. Capacità di ascolto verso i bisogni dei clienti, verso i feedback di altri imprenditori ed esperti, e verso gli altri componenti del proprio team. Determinazione, per tenere la barra dritta durante le intemperie. Ottimismo, perché altrimenti non ci si imbarca proprio in un’avventura con scarse possibilità di riuscita… Infine, il metodo: durante il nostro programma, implementiamo cicli di prototipazione e feedback estremamente rapidi. I fondatori che mantengono la rotta sono quelli che non si accontentano di ipotesi: ogni assunzione deve essere testata sul campo. Creiamo una cultura dove sperimentare e fallire rapidamente è un vantaggio competitivo, non una debolezza. La bussola più affidabile è quella che combina velocità di esecuzione con solidità delle fondamenta.
Alessandra D’Amato: Ogni anno selezionate 100 talenti da centinaia di candidature. Quali sono i criteri più importanti per voi nella selezione? E cosa rende un team davvero promettente?
Andrea Dal Piaz: Ogni anno raccogliamo circa 300 CV e lettere motivazionali, li leggiamo uno a uno e selezioniamo i più motivati e i più competenti nel loro ambito. Per quanto possibile, cerchiamo di identificare anche alcune soft skill, come la capacità di lavorare in gruppo, la curiosità, la motivazione ad apprendere rapidamente e la propensione a mettere in discussione le proprie assunzioni. Il mix di competenze, culture ed esperienze crea un terreno estremamente fertile per lo scambio e la rapida evoluzione delle idee.
Un team promettente per noi è quello che parte da problemi reali e quantificabili. Non visionari astratti che vogliono “migliorare la sostenibilità”, ma team che sanno dire “ridurre del 30% il tempo per produrre una certificazione di sostenibilità” o “ottimizzare del 70% il tempo di rendering delle esportazioni 3D”, per citare due team di questa edizione. La differenza sta nella concretezza e nella capacità di misurare l’impatto fin dall’inizio.
Alessandra D’Amato: Il tuo percorso ha un forte imprinting internazionale e sociale: da Douala in Camerun, a iniziative per rifugiati, fino al lavoro sulla microfinanza. In che modo queste esperienze influenzano oggi il tuo lavoro con Dock e con Unfold Tomorrow?
Andrea Dal Piaz: Il filo conduttore alla base del mio percorso è rimasto sempre lo stesso: il riscatto sociale. Chiaramente, tra i rifugiati, il passaggio dalla fuga dal proprio Paese a costruirsi una propria realtà e assumere delle persone qui in Italia era dirompente. Ma anche dare a studenti e ricercatori competenti e motivati (di qualsiasi estrazione sociale) la prospettiva e le possibilità di poter costruire i propri sogni e proporre una nuova visione del mondo, basata sui propri valori, è un passaggio che può portare con sé un enorme cambiamento.
Alessandra D’Amato: Il concetto di “contaminazione” tra profit e non profit, tra Nord e Sud del mondo, è un tema ricorrente nella tua visione. Pensi che oggi l’ecosistema startup stia andando verso una maggiore ibridazione di modelli?
Andrea Dal Piaz: Personalmente, vivo da sempre al confine tra profit e no-profit (non a caso la mia società è una società benefit). Tante volte la distinzione è meno netta di quella che si può immaginare. Se si riuscisse veramente a mettere a sistema la metodicità del primo e la passione del secondo, si potrebbero fare grandi cose.
Per quanto riguarda Nord e Sud del mondo, è una fase di enormi trasformazioni geopolitiche. Penso che il declino degli Stati Uniti d’America come potenza egemone, l’ascesa tecnologica ed economica della Cina, la spinta demografica dell’Africa in netto contrasto con l’invecchiamento dell’Occidente ridisegneranno i contorni dei nostri modelli, compreso quello delle startup.
Alessandra D’Amato: Parliamo di educazione: sei docente all’Università Roma Tre. Quanto è importante oggi introdurre l’imprenditorialità come disciplina universitaria? Qual è la risposta degli studenti?
Andrea Dal Piaz: Sogno un’università – anzi un sistema scolastico – dove si possano applicare le conoscenze acquisite mentre si studia. Anzi, che favorisca l’apprendimento anche tramite la pratica, le sfide, la creatività, il gioco. L’acquisizione delle competenze imprenditoriali è uno dei migliori esempi di come la teoria da sola è sterile; il ciclo della lean startup parte invece dalla pratica: costruzione e ricerca, misurazione dei risultati e apprendimento.
La risposta degli studenti è molto gratificante, all’inizio sembrano indispettiti dal fatto di dover mettere alla prova i propri progetti con clienti reali, dovendo fare continuamente interviste, incontri e anche pre-vendite delle proprie soluzioni. Ma poi ci prendono gusto, e cambiano completamente approccio allo studio, con molta più proattività e positività.
Alessandra D’Amato: Cosa consiglieresti a uno studente o ricercatore che vuole intraprendere un percorso imprenditoriale ma non sa da dove iniziare?
Andrea Dal Piaz: Il primo consiglio è: non iniziare dall’idea, inizia dal problema. Troppi aspiranti imprenditori si innamorano di una soluzione prima di aver capito se il problema esiste davvero. Inizia conducendo interviste con potenziali utenti, progetta esperimenti di mercato, costruisci primi prototipi funzionali.
Secondo: trova il tuo team complementare il prima possibile. L’accelerazione vera di una startup nasce dalla formazione di team con competenze tecniche diverse, ma soprattutto con personalità e approcci che si bilanciano. Non è questione di lavorare di più, ma di lavorare con maggiore consapevolezza e passione, circondati da persone positive.
Alessandra D’Amato: Valeria Sassi, CEO di Innovatech e managing partner di Accelera Hub, sarà tra i giurati del prossimo Demo Day. Quanto è importante per i giovani innovatori confrontarsi con figure che rappresentano il ponte tra startup, capitale e mercato?
Andrea Dal Piaz: È cruciale. La nostra giuria è composta da investitori, partner industriali ed esperti che vedono centinaia di pitch ogni anno e sanno riconoscere gli elementi che rendono scalabile un’idea. Avere Valeria Sassi in giuria significa offrire ai nostri team uno sguardo diretto su cosa cerca davvero il mercato degli investimenti.
La mentorship per ogni team è una fase cruciale della validazione. I nostri mentor, provenienti da venture capital, aziende e università, aiutano i team a identificare i punti critici e li guidano verso una validazione sempre più concreta. Quando una startup esce da Dock, non è solo un’idea brillante – è un progetto con una value proposition chiara, un business model pre-testato e un team che sa come muoversi nel mondo degli investimenti.
Alessandra D’Amato: Unfold Tomorrow si propone come network globale per supportare lo sviluppo internazionale delle startup. Qual è la vostra visione a lungo termine?
Andrea Dal Piaz: Unfold Tomorrow ha sviluppato un ecosistema che accompagna i founder dall’idea iniziale fino alle prime fasi di maturazione delle startup. Oltre a Dock, abbiamo i nostri Sprint Program intensivi di 4-6 mesi per startup che hanno già superato la validazione iniziale, stiamo creando strumenti finanziari per facilitare l’accesso ai capitali pre-seed e conduciamo ricerca continua sull’educazione all’imprenditorialità.
La visione a lungo termine è rendere totalmente fluido il percorso di supporto alle startup, dalla nascita allo sviluppo, passando per il fundraising, il venture clienting e un network industriale sempre più esteso e integrato.
Alessandra D’Amato: In un mondo in continua trasformazione, qual è, secondo te, il ruolo che un incubatore dovrebbe avere nei prossimi dieci anni?
Andrea Dal Piaz: Gli incubatori del futuro dovranno essere catalizzatori di ecosistemi, non solo acceleratori di singole startup. Il nostro ruolo sarà creare ambienti dove l’innovazione possa nascere in tutte le sue forme, fornendo agli imprenditori gli strumenti, le risorse e il supporto necessari per competere a livello globale.
La chiave sarà mantenere quell’approccio che integra tutte le iniziative: dalla pre-incubazione ai programmi di crescita, dagli strumenti finanziari alla ricerca educativa. I nostri alumni rimangono parte della famiglia Dock anche dopo il programma – è questa continuità che permette di costruire un ecosistema maturo che sa che fare startup non è solo avere un’idea, ma è un mestiere che si perfeziona nel tempo.
Alessandra D’Amato: Una domanda personale: qual è la sfida più grande che hai affrontato come imprenditore e formatore? E quella che ti ha dato maggiore soddisfazione?
Andrea Dal Piaz: Tecnicamente, imprenditore lo sono diventato solo lo scorso anno, quando – insieme ai miei soci – ho dato vita a Unfold Tomorrow Società Benefit. La prima grande sfida, quella che condivide ogni imprenditore, è stata portare Dock Startup Lab sul mercato. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare partner lungimiranti, attenti all’innovazione e con un’ottica di sistema come Joule (la scuola di Eni per l’impresa), TP Italia, Sapienza Università di Roma e Università Roma Tre. È grazie a loro che è stata possibile l’edizione 2025 di Dock Startup Lab. Ma soprattutto è con loro che stiamo iniziando a mettere a sistema le tante intersezioni, per generare innovazioni a cui non avremmo mai pensato un anno fa.
La sfida più grande come formatore è rimanere sempre aggiornato e adattare i metodi didattici a studenti in grado di acquisire informazioni e sintetizzare concetti complessi chattando con un’AI. La facilità di reperimento delle informazioni può facilmente illuderci di conoscere e saper applicare, mentre stiamo solo riportando conoscenze ed esperienze di altri (magari nemmeno persone reali).
La soddisfazione maggiore viene dalle visite che ricevo da chi ha partecipato a Dock negli scorsi anni, e mi racconta che quella che era un’idea ora è diventata una realtà strutturata, con decine di persone che ci lavorano e prospettive di evoluzione sempre più interessanti. È leggere il messaggio dei founder di una delle startup che mi dicono che hanno preso un investimento che permette loro di lasciare il lavoro e dedicarsi full time alla startup. È vedere la crescita umana e professionale di ragazzi che, dopo aver abbandonato la propria idea, tornano a ringraziarmi perché le competenze acquisite durante Dock gli hanno fatto trovare il lavoro che avevano sempre desiderato.
Alessandra D’Amato: Se potessi trasmettere un solo principio ai giovani che si affacciano oggi al mondo delle startup, quale sarebbe?
Andrea Dal Piaz: Viaggiate, andate a scoprire culture diverse, lasciatevi sorprendere dalla diversità e dalla meraviglia, sperimentate e fallite senza paura di dover trovare subito la strada giusta. Imparare a fallire rapidamente è un enorme vantaggio competitivo. Molti ragazzi pensano che per fare startup bisogna aspettare l’idea perfetta dal primo momento, quasi un’illuminazione. Meglio invece partire subito, sperimentare rapidamente le ipotesi, cambiare direzione quando i dati lo richiedono, tenendo sempre sott’occhio la bussola dei propri valori.
Alessandra D’Amato: Grazie, Andrea, per aver condiviso con noi la tua visione e il lavoro che ogni giorno porti avanti con passione. Un in bocca al lupo per il Demo Day e per tutti i futuri viaggi di innovazione targati Dock!
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