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Bianchi pedala verso la crescita: nuova strategia industriale, più export e sogni tricolori


di
Alessia Cruciani

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Lo storico brand, che nel 2025 celebra i suoi primi 140 anni, è stato affidato al nuovo ceo Alberto Cavacchioni: «Abbiamo due missioni: costruire la migliore azienda al mondo e fare le migliori bici al mondo»

Nel 1885 il giovane Edoardo Bianchi, cresciuto tra le mura dell’orfanotrofio dei Martinitt di Milano — lo stesso in cui anni dopo sarebbe passato Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica — apre una piccola officina in via Nirone 7. Riparava strumenti chirurgici e costruiva velocipedi. Da lì parte la leggenda della bicicletta celeste. Una leggenda fatta di innovazione, passione e di eroi come Fausto Coppi, Felice Gimondi, Marco Pantani. Oggi, a 140 anni di distanza, il testimone è nelle mani del Cavaliere Salvatore Grimaldi, proprietario del marchio dal 1997 che controlla attraverso la sua società svedese Grimaldi Industri AB, e del nuovo amministratore delegato Alberto Cavaggioni, manager milanese con esperienze in Saint-Gobian, Iveco, Alfa Romeo, Maserati e Rina. La missione è chiara: fare di Bianchi la più grande azienda di biciclette al mondo.

Cavaggioni, da 4 mesi alla guida del marchio, ha definito Bianchi una «boutique industriale».
«Quando ho visto il nostro impianto di Treviglio, ho capito di trovarmi in un luogo unico. È la struttura più moderna ed avanzata al mondo nel settore, capace di produrre fino a 500 bici a turno. Ma accanto alla tecnologia, c’è il tocco umano, artigianale, italiano. Per questo parlo di “boutique industriale”: un posto dove si coniugano innovazione e cura del dettaglio, creatività e il saper fare italiano».




















































Grimaldi ha un obiettivo preciso: tornare i numeri uno. Come riuscirci?
«Abbiamo due missioni: costruire la migliore azienda al mondo e fare le migliori bici al mondo. Il primo passo è già stato fatto, con il nuovo stabilimento 5.0 di Treviglio. Ora tocca al prodotto. Bianchi ha investito molto sull’elettrico, ma ha l’obbligo di presidiare il segmento che rispecchia il suo dna: le bici muscolari e da corsa. A giugno abbiamo rilanciato in grande stile, con nuovi modelli endurance, e-city-bike e una nuova bici aero da corsa per il World Tour. Senza dimenticare segmenti chiave come il gravel e la Mtb. Il 2027 sarà l’anno della svolta, con una gamma completatamente rinnovata e una customer experience completamente senza pari».

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Nel 2024 avete chiuso con 124 milioni di euro di fatturato, in crescita rispetto all’anno precedente (120 milioni). Vista la sua esperienza internazionale, avete intenzione di crescere ancora di più, puntando soprattutto sull’estero?
«Il mercato globale della bicicletta vale circa 60 miliardi di euro e cresce a un tasso medio annuo del 6%. Bianchi genera oggi l’85% del suo volume d’affari in Europa, con l’Italia che pesa poco più del 30%. C’è un’enorme opportunità di espansione. Puntiamo molto su Germania, Austria, Svizzera, Francia e Benelux, ma anche sugli Stati Uniti, che seguirò personalmente, avendoci vissuto e lavorato a lungo. Guardiamo anche all’Asia-Pacifico, a Giappone e Cina».

In Italia, invece, il mercato sembra essersi stabilizzato. I dati Ancma parlano di 1,3 milioni di pezzi venduti nel 2024, -0,7% sull’anno precedente. La produzione è cresciuta dell’1,2%, le esportazioni vanno bene e il settore vale 2,6 miliardi di euro.
«L’Italia resta una culla del ciclismo e un punto di riferimento manifatturiero. Ma se vogliamo far crescere davvero la cultura della bici, servono infrastrutture: piste ciclabili sicure e continue. Con cinque euro per ogni cittadino si potrebbero investire 300 milioni in piste ciclabili. Oggi la bici è il mezzo più green che esista ma anche uno stile di vita».

E sul fronte forniture, tra dazi e dipendenza da componenti asiatici, siete preoccupati?
«Come tutta l’industria, anche noi abbiamo fornitori consolidati in Asia, per gruppi, telai e altri componenti. Cerchiamo sempre partner italiani ogni volta che è possibile senza compromessi su qualità e innovazione, come nel caso del gruppo Campagnolo per la “Specialissima RC”, edizione limitata per celebrare le vittorie al Giro e Tour di Pantani nel 1998. Riguardo ai dazi, oggi siamo poco esposti negli Usa, e non temiamo particolari impatti. Il nostro posizionamento ci permette di offrire valore tecnico a prezzi coerenti».

Quali sono le fasce di prezzo?
«Abbiamo bici da città muscolari da 1.500 euro, e-city-bike tra i 2.700 e i 3.300 euro, fino ad arrivare alla “Pantani” da 15 mila euro. Inoltre, abbiamo appena lanciato il programma “Officina Edoardo Bianchi”, per restaurare e personalizzare bici d’epoca e realizzare telai su misura, anche per competizioni. Un modo per legare la nostra storia a un’esperienza contemporanea e unica».

Bianchi ha un dna fortemente sportivo. Avete già trovato il vostro nuovo campione italiano?
«Siamo già nel World Tour con il team Arkéa-B&B. Vogliamo continuare a essere protagonisti, costruendo una squadra interna all’azienda, che segua in modo dedicato la parte sportiva. Il sogno? Vincere di nuovo un grande Giro con un ciclista italiano. Abbiamo avuto Coppi, Gimondi, Pantani. Il prossimo? Ci stiamo lavorando».

E per i 140 anni del marchio?
«Lavoriamo a nuovi modelli per ogni segmento chiave, stiamo rivoluzionando l’esperienza nei nostri negozi e sviluppando un ecosistema di servizi e innovazioni per il cliente. Non celebriamo solo un anniversario: vogliamo scrivere il futuro».

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