BiblHuB Sapienza, la biblioteca delle imprese e delle organizzazioni, è una realtà unica e preziosa, che raccoglie il patrimonio editoriale che le aziende hanno prodotto segnando la storia degli ultimi due secoli. Circa 3600 le monografie conferite alla Sapienza da più di 800 organizzazioni private, pubbliche e non profit di tutta Italia. L’iniziativa è nata nel segno di Adriano Olivetti e Franco Ferrarotti; al sociologo legato a doppio filo alla storia dell’Istituto, l’Eurispes ha dedicato il Rapporto Italia. Valentina Martino, Professore Associato de La Sapienza, docente di Comunicazione Organizzativa e di Corporate, è responsabile del progetto.
Prof.ssa Martino, le pubblicazioni di pregio raccolte e custodite dall’Ateneo più grande d’Europa sono ancora poco conosciute dal grande pubblico. Quali sono le ragioni di questo “gap” conoscitivo?
Stiamo organizzando più momenti di incontro ed eventi per far comprendere l’importanza di un patrimonio che connota l’imprenditorialità non solo italiana. BiblHuB Sapienza dal 2018 raccoglie, conserva e valorizza, nelle sue molteplici espressioni, il patrimonio librario edito per iniziativa diretta di imprese e organizzazioni. Si tratta di testimonianze importanti, purtroppo ancora poco studiate e spesso effimere, attraverso cui è possibile leggere la storia industriale del ’900. Stiamo cercando di rendere fruibile da parte di un pubblico di studenti, studiosi, addetti ai lavori e appassionati questo patrimonio, che merita di essere consultato. Molte tesi di laurea hanno cominciato a utilizzare queste fonti, e credo che in futuro questa attenzione sia destinata a crescere.
Quale ventaglio di tematiche vengono affrontate dalle opere che avete raccolto?
Gli argomenti sono molto vari, non riguardano, come si potrebbe essere portati a pensare tematiche esclusivamente economiche o organizzative. Nella tradizione di questa pubblicistica, l’azienda promotrice amava spaziare nel campo delle arti figurative, della creatività, della letteratura proprio nell’ottica di produrre qualche cosa di unico, fuori dai canoni. Dobbiamo, inoltre, pensare che molte delle pubblicazioni che il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale de La Sapienza sta catalogando e conservando non erano destinati alle biblioteche, perché di prassi seguivano percorsi diversi. Alcuni volumi aziendali di tipo per esempio celebrativo non erano neanche catalogati con il codice universale identificativo (ISBN: International Standard Book Number, n.d.r.) che viene ufficialmente utilizzato in tutto il mondo per la registrazione degli scritti editi. Altri, pensiamo ai “libri strenna”, venivano donati alle grandi istituzioni e ai grandi clienti, altri ancora rientravano nei percorsi di comunicazione interna, e come tali non erano destinati alla fruizione del pubblico. Per queste ragioni i materiali che abbiamo recuperato erano destinati all’oblio, mentre proprio la “Terza missione” ci spinge a intrecciare un rapporto sempre più forte con la cultura d’impresa al fine di rendere più completa l’offerta formativa dell’Ateneo.
Quello che sta prendendo corpo si può definire come “museo dinamico della cultura di impresa”, che vede coinvolte diverse aree geografiche e molteplici attori della ricerca e dell’imprenditoria?
Il lavoro di ricognizione, catalogazione e raccolta, cui facevo prima riferimento, non è fine a se stesso, perché di fatto sta spingendo le intelligenze imprenditoriali, da Nord a Sud a confrontarsi e a dialogare. Abbiamo in Italia testimonianze importanti di vita e cultura d’azienda che costituiscono delle best practices in grado di fare scuola. Franco Ferrarotti (padre della sociologia italiana scomparso il 13 novembre del 2024, n.d.r.) offre una testimonianza preziosa sul valore del libro nella società digitale, che esprime in maniera perfetta il DNA di BiblHuB.
Soffermiamoci su questo passaggio. Franco Ferrarotti quando scrive di sociologia industriale fa riferimento alla figura di Adriano Olivetti, per cui ha anche lavorato nei primi anni della carriera. L’imprenditore di Ivrea era un innovatore autentico, credeva che il lavoro dovesse essere la prima fonte di benessere integrale della persona e credeva nella cultura come motore dell’economia. Che cosa rimane di quell’insegnamento?
Credo sia di un’attualità stupefacente. Ferrarotti lo ha recentemente spiegato in un reportage che abbiamo curato insieme a Marco Stancati. «Personalità complessa, Olivetti viveva il rispetto per il libro e la venerazione per la scrittura. Credeva nella parola scritta, era un uomo biblico non solo dal punto di vista teorico, perché anche nella prassi riteneva che all’operaio non era sufficiente limitarsi a pagare lo stipendio, occorreva preoccuparsi della sua formazione e del suo sviluppo interiore», non saprei dirlo meglio di Ferrarotti, perché è proprio questa la sensibilità che il management sia pubblico che privato deve acquisire ed esercitare, per affermare quella che Vittorio Foa definiva “la libertà dentro il lavoro”.
Nel suo saggio Olivetti e il libro, storia di un’impresa che diventa cultura emerge molto bene il nesso che deve legare etica ed economia. Siamo maturi per comprendere il significato reale di questo binomio inscindibile?
Non sta a me dare delle valutazioni di merito. Mi limito a dire che il ricordo di grandi figure deve fare da stimolo concreto per investire nella cultura d’impresa. Olivetti operò in questa direzione, allarmando anche gli azionisti di riferimento, comprensibilmente preoccupati del valore dei dividendi, più che della cultura. Non è facile comprendere che il salario deve contenere una componente immateriale, dalla connotazione morale, intellettuale. Per questa ragione il sapere, e il libro in particolare, devono essere accessibili a tutti. A Ivrea la biblioteca e i servizi sociali facevano parte delle strutture aziendali, cosa che dovrebbe succedere anche oggi nella società che, con molta enfasi, definiamo della conoscenza.
Quelle sperimentate nel canavese negli anni olivettiani si possono considerare forme di welfare avanzato?
Certamente, e aggiungerei che lo sarebbero anche nella contemporaneità. Tornare a frequentare le biblioteche, farsi prendere dalla logica del libro e della lettura, curare il silenzio, la solitudine della concentrazione, riducendo il potere ipnotico dell’immagine che crea rumore, servirebbe a tutti noi. Sono pratiche positive che ci aiuterebbero a recuperare l’interesse per il passato, mentre viviamo in una sorta di eterno presente, schiacciati sull’attualità. Abbiamo perso il gusto per leggere gli antefatti, per capire la ragione profonda dei fenomeni, siamo portati ad esaltare quella che Emanuele Severino chiamava “la cieca volontà di Potenza della tecnica”, dimenticando che il valore della tecnologia ha una natura strumentale. Consapevoli di questi rischi il nostro impegno di docenti, educatori e manager dovrà essere quello di curare questa sorta di Alzheimer collettivo in cui tutti stiamo cadendo.
Lei è prorettrice con delega per la ricerca e innovazione, due termini chiave cui non diamo quasi mai lo spazio che meriterebbero. Quali sono le ragioni di una miopia difficilmente giustificabile?
Dobbiamo ricordarci che non siamo niente senza memoria, ce lo hanno insegato grandi storici degli Annales, alla celebre frase di Fernand Braudel: “essere stati è la condizione per essere”. Olivetti si è mosso su quella scia, collocandosi alla confluenza tra la tradizione ebraica salvifica messianica e la tradizione valdese, protestante, fatta di etica vissuta. Non sono discorsi astratti, ricordiamoci che agire secondo questi principi vuol dire fare innovazione. Senza memoria e cultura non siamo niente, siamo destinati a non comprendere l’uomo nella sua essenza, che è un’impresa mai finita, un progetto aperto alle relazioni con l’altro. Ricerca e innovazione devono trovare la spinta nella lettura dei classici che alimentano il dialogo tra le generazioni. Il libro, che per questo rimane il punto focale del nostro progetto, esercita una spinta “messianica” verso il cambiamento, perché trasporta i significati oltre il tempo effimero, rendendo perennemente vivo l’insegnamento degli spiriti magni, che tracciano, ieri come oggi, la strada del nostro futuro.
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