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Affidamento diretto, come funziona e cos’è


Il settore degli appalti pubblici è in continua evoluzione. Le regole del procurement pubblico sono diventate più leggere e lasciano ai funzionari pubblici molta più libertà e discrezionalità rispetto al passato ma ci sono vincoli sulla trasparenza e sulla correttezza dell’operato. Sono finalmente cambiati i principi che abbandonano la diffidenza in favore della correttezza dell’azione degli Enti e delle Imprese invitando implicitamente i tribunali a fare altrettanto dimenticando la precedente giurisprudenza basata sul principio che quanto non previsto espressamente dalla legge fosse vietato.

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L’obiettivo che si sta raggiungendo è portare i funzionari pubblici a superare la paura della firma e ad abbandonare la burocrazia difensiva. Vediamo che cosa è cambiato negli ultimi anni e che cosa ci riserva il futuro.

Procurement pubblico e affidamento diretto: vantaggi e rischi

Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione – ANAC nel presentare alla Camera dei deputati la Relazione annuale al Parlamento sull’attività svolta nel 2024 dall’Autorità ha rilevato che gli affidamenti diretti continuano ad essere troppi, circa il 98% degli affidamenti totali di servizi e forniture. ANAC è infatti preoccupata per la crescente concentrazione degli affidamenti diretti a ridosso della soglia massima di 140.000 euro, più che triplicata rispetto al 2021, quando il limite per eseguire un affidamento diretto senza gara era di appena 75.000 euro e afferma che “le imprese scelte senza confronto competitivo non sono le più veloci nella realizzazione e, soprattutto, non sono quelle che garantiscono maggiore qualità”. Comprendo chi deve esprimersi così in ossequio al proprio nome (ANAC), ma non riesco a comprendere questo atteggiamento di sfiducia nel Codice e nelle Persone.

Se il Codice dei Contratti Pubblici consente di eseguire un affidamento diretto anche senza consultare più operatori economici per appalti fino a 140.000 euro, in circostanze ordinarie e senza addurre alcuna giustificazione come urgenza o imprevisti, non vedo perché dovremmo stupirci del ricorso massivo a tale procedura. Se sulla tangenziale di Milano elevassero il limite di velocità da 90 a 110 Km/h, non dovremmo stupirci se la maggior parte degli automobilisti attestasse l’andatura a ridosso del nuovo limite.

L’elevamento del limite economico per eseguire l’affidamento diretto e la maggiore libertà nel progettare un appalto pubblico sono accompagnati dal principio della fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei funzionari pubblici e delle Imprese che ha il fine di valorizzare l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, superando la cosiddetta paura della firma o la burocrazia difensiva.

A questa discrezionalità concessa a un Ente nell’eseguire un affidamento diretto fa da contrappeso il rafforzato principio di rotazione dei fornitori che impedisce due affidamenti consecutivi allo stesso operatore economico.

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Se vogliamo individuare problemi e aree di miglioramento, dobbiamo cercare altrove, lontano dagli affidamenti diretti.

I tempi tecnici deall’affidamento diretto

Gli affidamenti diretti, così tanto stigmatizzati per la presunta mancanza di trasparenza e di qualità degli appalti, non solo sono perfettamente legittimi in quanto voluti dal Codice dei Contratti Pubblici D. Lgs. 36/2023 ma portano a Enti e Imprese indubbi benefici che dobbiamo trovare il coraggio di riconoscere, quali la rapidità e l’economicità della procedura di affidamento del contratto.

Mettendo da parte i pregiudizi, chiediamoci che importanza una impresa può attribuire alla presentazione di una Offerta per una piccola gara di cui conoscerà l’esito tra tanti mesi e per un contratto che in caso di aggiudicazione potrebbe dover onorare anche dopo un anno. Oggi le imprese per essere competitive devono ripianificare gli obiettivi e le strategie trimestralmente se non addirittura mensilmente, quindi è difficile che siano seriamente attratte da un appalto pubblico che ha tempi di affidamento lunghissimi. Il Codice degli Appalti ha posto l’enfasi sulla necessità di ridurre i tempi anche delle gare, ma ha previsto una durata massima di nove mesi per le gare aperte e di quattro per le gare sotto soglia comunitaria. Avete letto bene, mesi, non settimane… Con questi tempi, partecipare alle gare pubbliche è un investimento per il futuro, incerto e non esente da rischi, quindi è ancora indispensabile fare tanto per velocizzare i tempi di completamento delle gare.

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Tetti economici degli affidamenti diretti

La volontà del Legislatore negli anni è evoluta dal considerare l’affidamento diretto da eccezione a strumento ordinario, passando in qualche decennio ad elevare progressivamente il limite economico in cui è consentito da 20.000 Euro agli attuali 140.000 Euro per forniture e servizi e 150.000 Euro per lavori. E non si tratta di un adeguamento al costo della vita o all’inflazione, ma di una volontà precisa del Legislatore di privilegiare la rapidità e l’economicità dell’affidamento rispetto alla proceduralizzazione dell’affidamento. Se il Codice prevede l’affidamento diretto senza gara, oggi è ragionevole che il funzionario pubblico si senta più in dovere di giustificare perché sostiene i costi e i tempi per gestire una gara anziché eseguire il semplice affidamento diretto previsto da legge. E per “favorire la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei evitando il consolidarsi di rapporti esclusivi con alcune imprese” (cit. ANAC) il Codice ha rafforzato gli obblighi di trasparenza, pubblicità e rotazione tali da bilanciare la elevata discrezionalità con cui l’Ente pubblico affida il Contratto.

Stigmatizzare l’affidamento diretto è ormai anacronistico in ragione dei principi di fiducia e del risultato su cui è basato il Codice degli Appalti; sarebbe un po’ come chiedere ai nostri figli di non uscire di casa perché potrebbe essere pericoloso.

Le conseguenze

Chiediamoci se sia più pericoloso un affidamento diretto con trasparenza, pubblicità e rotazione o una gara legittima affidata con criteri di valutazione ampiamente discrezionali che non solo prevedono mesi di lavori per valutare le offerte, ma conferiscono un elevato potere discrezionale nel decidere a chi affidare la commessa e spesso valutano non la qualità delle forniture e dei servizi che si acquisteranno ma caratteristiche del concorrente difficilmente verificabili e che hanno molto poco a che vedere con l’effettiva qualità che riceveremo. Ancora così oggi sono gestite la maggior parte delle gare pubbliche in Italia, e questo nuoce gravemente alla trasparenza, alla qualità di esecuzione degli appalti, ai tempi di aggiudicazione, alla crescita delle Imprese.

L’evoluzione dei criteri di valutazione dei fornitori

In passato stavamo anche peggio, quando l’insindacabile giudizio della commissione giudicatrice decideva a chi affidare l’appalto addirittura senza neanche che i criteri di valutazione fossero ben documentati, quando per cercare di garantire l’imparzialità e prevenire fenomeni corruttivi la legge prevedeva che i criteri di valutazione fossero dettagliati dopo aver ricevuto le Offerte ma prima di visionarle.

Ad esempio il tipico bando di una gara per il servizio di manutenzione ascensori prevedeva l’attribuzione di 30 punti alla qualità del servizio di manutenzione programmata, 20 punti al servizio di assistenza tecnica su chiamata, 20 punti alle metodologie impiegate. E il bando finiva qui, senza fornire altri dettagli. Eventuali dettagli su come valutare le Offerte erano semmai definiti dalla commissione di gara ma non erano noti ai concorrenti alla gara. Con un bando di questo tipo era assai probabile che vincesse la gara chi scriveva il miglior tema di fantasia indipendentemente dall’effettiva qualità dei servizi offerti ed erogati. Lentamente si è compreso che è necessario che i criteri di valutazione di una gara siano estremamente dettagliati e che sia esplicitato anche il criterio che motiva l’attribuzione di un punteggio maggiore o minore ad ogni caratteristica.

Ma ancora oggi è frequente trovare gare con criteri di valutazione non dettagliati, confusi, ripetuti, annidati uno nell’altro e senza ponderazione per importanza e di questa situazione è complice il Codice che lascia libertà agli Enti, confermando che non sempre ridurre le regole è cosa buona.

Un cambio di paradigma sui criteri di valutazione è importante per la trasparenza, per la competitività delle gare e anche nell’interesse pubblico perché se i concorrenti alla gara sono ben informati su quali caratteristiche saranno valutate ed apprezzate potranno effettivamente presentare offerte che incontrano le effettive esigenze e aspettative degli Enti pubblici massimizzando il valore del denaro pubblico speso.

 

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L’oggettività dei criteri di gara negli affidamenti diretti

In questa navigazione nell’incertezza e nel buio, un faro è la possibilità di impiegare criteri di valutazione non più discrezionali ma di tipo oggettivo, ossia criteri dove il punteggio è attribuito tramite una formula applicata a un parametro che qualifica il servizio o dove il punteggio è predeterminato in ragione delle opzioni alternative che il concorrente può offrire. Un esempio di criterio di valutazione oggettivo per il servizio di assistenza tecnica su chiamata prevede una formula lineare che attribuisce tanti più punti quanto minore è il tempo in cui l’appaltatore garantisce di risolvere un guasto oppure un punteggio attribuito a ciascuna delle opzioni che il fornitore può offrire, ad esempio 6 punti se il ripristino è garantito entro 30 minuti, 3 punti se è garantito entro 60 minuti o 0 punti se è garantito entro 90 minuti.

Non su tutte le merceologie sono applicabili tali criteri oggettivi, ma laddove sono applicabili i benefici sono innegabili perché i tempi di completamento della gara si riducono di mesi, la valutazione delle offerte avviene con la massima trasparenza (quest’ultima intesa come prevedibilità, replicabilità e tracciabilità), viene valutata l’effettiva qualità vincolata dal contratto anziché valutare promesse non riscontrabili o caratteristiche dell’Impresa solo potenzialmente riconducibili alla qualità e il concorrente alla gara conosce quali prestazioni sono maggiormente apprezzate e premiate dall’Ente.

Questa scelta è la via maestra per il futuro e il cambiamento è già iniziato: i criteri di valutazione oggettivi sono già impiegati nelle gare, sebbene ancora in abbinamento a criteri discrezionali ancora orientati a valutare promesse non controllabili o caratteristiche dell’Impresa anziché la qualità dei beni e servizi oggetto dell’appalto.

L’evoluzione è lenta perché nonostante il principio della fiducia sancisca che è lecito tutto quello che non è vietato dal Codice, in troppi pur ritenendo apprezzabili i criteri di valutazione oggettivi hanno ancora paura che un TAR ne ritenga illegittimo l’uso massivo.

Che cos’è il massimo ribasso

Nulla è migliorato purtroppo in tema di gare aggiudicate al prezzo più basso, siamo in piena bufera. L’opinione pubblica e la stampa generalista sono ancora convinti che la principale causa di insuccesso di un appalto pubblico, dalla mancanza di qualità fino agli incidenti sul lavoro, sia l’aggiudicazione dell’appalto al prezzo più basso, spesso detto “massimo ribasso” per enfatizzare in ottica horror la paura di offerte azzardate, sotto costo o di qualità scadente.

Ma è una visione gravemente semplicistica ed errata, un luogo comune per eccellenza, infatti se la qualità è scadente il problema è altrove, e paradossalmente la gara al prezzo più basso può garantire la qualità più di quella dove si valuta prezzo e qualità. Vediamo perché.

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Quando la qualità è molto importante, la si prescrive come obbligatoria nel Capitolato Tecnico e nel Contratto, la si garantisce con procedure di controllo, penali e rimedi all’inadempimento e quindi la gara può essere efficacemente e aggiudicata al prezzo più basso. L’alternativa sarebbe abbassare la soglia della qualità minima richiesta e valutare le migliorie nella qualità e il prezzo proposti dai concorrenti. E paradossalmente proprio in questo caso, valutando prezzo e qualità, sussiste il rischio che vinca la gara una offerta di qualità minima ma estremamente competitiva sul piano economico che è proprio quello che si vorrebbe evitare quando la qualità è importante.

La valutazione della qualità dell’offerta

È invece indispensabile valutare la qualità offerta dai concorrenti solo quando l’oggetto dell’appalto non è standardizzabile, ad esempio nel caso di servizi di formazione o consulenza, e quindi la qualità non può essere imposta dall’Ente nel Capitolato Tecnico e nel Contratto a meno di predisporre un identikit del fornitore gradito che renderebbe non legittima la gara. Quindi se in taluni appalti vi è carenza di qualità o inadempimento, la principale causa è la scarsa qualità del Capitolato Tecnico e del Contratto, mal scritti per mancanza di tempo o di competenze.

Purtroppo questo pregiudizio e questo equivoco sono radicati così profondamente che ci è scivolato anche il Legislatore, quando nel Codice dei Contratti Pubblici ha scritto che le gare per alcune merceologie dove sono importanti la qualità e la tutela della manodopera debbano essere obbligatoriamente aggiudicate valutando prezzo e qualità. Purtroppo la valutazione della qualità, laddove non necessaria, non solo introduce una pericolosa discrezionalità nella valutazione ma paradossalmente può consentire ai concorrenti di offrire una qualità molto bassa a fronte di sconti elevati.

Sebbene oggi la necessità sia migliorare la qualità di capitolati tecnici e contratti, il Codice degli Appalti ha preferito rimettere alla discrezionalità della Commissione Giudicatrice la valutazione della qualità, anziché imporla come requisito obbligatorio nero su bianco nei bandi di gara.

Affidamenti diretti per la crescita economica

Sono più efficaci ai fini della crescita economica i soldi regalati a pioggia alle Imprese o un appalto pubblico affidato a prezzi congrui, con tempi rapidi e certi, rotazione per avvicendare i Fornitori e sanzioni certe in caso di inadempimento? Quest’ultimo caso non è utopia, non è fortuna, è solo una gara progettata bene.

Dopo anni di incentivi a pioggia alle Imprese di dubbia efficacia e di norme pubbliche declinate in un minaccioso elenco dei divieti, il Codice degli Appalti ha finalmente mosso i primi passi per poter collocare gli appalti pubblici tra gli strumenti di politica industriale crescita economica, ma occorre competenza e volontà da parte del Governo per portare avanti questa strategia e un cambiamento culturale da parte di tutti, Tribunali inclusi. La spesa pubblica è finalmente considerata una spesa non solo necessaria per il funzionamento della Pubblica Amministrazione ma “buona” perché porta valore alle Imprese che agiscono correttamente e onorano gli impegni.

Se l’affidamento diretto senza gara velocizza gli affidamenti distribuendoli tra operatori economici qualificati, per gli appalti di importo maggiore le gare devono diventare sempre più accessibili nei requisiti e la discrezionalità della valutazione deve essere sempre più limitata fino a scomparire ove possibile, sia per velocizzare l’affidamento sia per evitare che sia valutata la reputazione e il potenziale dell’Impresa anziché l’effettiva qualità offerta nello specifico appalto. Riducendo i tempi per aggiudicare una gara a poche settimane e scegliendo gli appaltatori in base all’effettiva qualità che sarà fornita, gli Enti potranno contare su una maggiore tempestività ed efficacia dell’appalto e l’appalto stesso diventerà uno strumento di sviluppo delle Imprese.

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Abbiamo bisogno che gli organi costituzionali, i partiti politici e i Sindacati comprendano che il settore degli appalti pubblici può avere un ruolo importantissimo per la crescita del Paese e pertanto debba essere gestito come una opportunità anziché un problema.



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