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L’efficienza energetica può aiutare l’automotive a risollevarsi


L’industria automotive è storicamente uno dei pilastri dell’economia italiana, con oltre 2.100 aziende attive, 170mila addetti e un fatturato che nel 2023 ha superato i cinquantotto miliardi di euro.  Eppure, i primi mesi del 2025 restituiscono un quadro in chiaroscuro, segnato da dati contrastanti, pressioni geopolitiche, transizione ecologica e sfide strutturali.

 

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Secondo l’ultimo report di Anfia, le immatricolazioni in Italia sono diminuite dello 0,6 per cento nel primo quadrimestre del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, attestandosi a 583.038 unità. Tuttavia, si registra un importante segnale positivo: le auto elettriche sono aumentate del 79,4 per cento, conquistando una quota di mercato del 5,1 per cento. 

Meno incoraggiante il dato sulla produzione nazionale: solo il dodici per cento delle auto immatricolate in Italia nei primi quattro mesi dell’anno è stato prodotto sul territorio nazionale, segno di una debolezza strutturale che affligge il comparto manifatturiero interno. Ne è un esempio il Gruppo Stellantis, che pur mantenendo la leadership di mercato (30,6 per cento), ha registrato un calo dell’otto per cento delle immatricolazioni.

In un momento di grande incertezza, arriva una novità rilevante da Bruxelles: il Parlamento europeo ha allentato le regole sulle emissioni di CO₂ per auto e furgoni, modificando una delle misure più rigorose del Green deal. La proposta della Commissione è stata approvata con un’ampia maggioranza e introduce più flessibilità per i costruttori. Cosa cambia? Se in precedenza i produttori dovevano rispettare ogni anno una riduzione del quindici per cento rispetto ai livelli del 2021, ora potranno calcolare la media delle emissioni sul triennio 2025-2027, evitando sanzioni immediate e guadagnando margine per pianificare la transizione.

Dietro questa mossa c’è la consapevolezza di una crisi latente: la diffusione dell’elettrico procede lentamente, la concorrenza cinese avanza e i dazi statunitensi imposti da Donald Trump rischiano di penalizzare ulteriormente l’export europeo. I dati parlano chiaro. Stellantis: ricavi netti in calo del quattordici per cento, a 35,8 miliardi di euro; Mercedes-Benz: vendite giù del 3,6 per cento, ricavi a -5,7 per cento; Volkswagen: di 19,1 miliardi di euro, in calo del quindici per cento rispetto ai 22,5 miliardi dell’anno precedente. 

Un quadro talmente incerto da spingere molti marchi a ritirare le stime annuali. La flessibilità concessa dall’Ue rappresenta dunque una boccata d’ossigeno, ma resta da capire se sarà sufficiente a invertire il trend.

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Accanto alle difficoltà industriali, pesa un altro fattore strategico: la dipendenza europea dalle terre rare, cruciali per la produzione di batterie e componentistica high-tech. L’Unione europea importa quasi la totalità di questi materiali, con la Cina in posizione dominante a livello globale e responsabile del cento per cento delle forniture di terre rare pesanti per l’Ue. Una vulnerabilità che espone l’intero comparto a potenziali crisi di approvvigionamento e a crescenti tensioni geopolitiche.

Per rispondere a questa vulnerabilità, l’Unione ha adottato il Critical raw materials act, entrato in vigore a maggio 2024, che fissa obiettivi ambiziosi da raggiungere entro il 2030: almeno il dieci per cento del consumo annuo di materie prime strategiche dovrà essere estratto all’interno dell’Ue, almeno il quaranta per cento lavorato sul territorio europeo e almeno il venticinque per cento provenire da attività di riciclo.

Nel frattempo, un’altra urgenza emerge con chiarezza: l’automotive è tra i settori più energivori. Secondo l’ultimo rapporto Ispra 414/2025, nel 2023 le industrie manifatturiere e delle costruzioni – comparto in cui rientra anche la produzione automobilistica – hanno contribuito per il tredici per cento alle emissioni totali di gas serra in Italia. A questi dati si sommano le emissioni indirette legate all’uso dei veicoli, che rientrano nel settore dei trasporti, responsabile del 28,3 per cento delle emissioni complessive. Ecco perché l’efficienza energetica si configura come leva strategica per coniugare competitività e sostenibilità.

Le linee produttive dell’automotive – dalla fusione dei metalli alla pirolisi – richiedono un intenso consumo di energia termica ed elettrica, concentrato in particolare nel Nord Italia. L’aumento dei costi energetici e le normative europee (Fit for 55, Csrd, Cbam) spingono le imprese a ripensare i propri modelli produttivi. Molte aziende stanno infatti adottando soluzioni di efficienza energetica che consentono di ridurre i consumi – con risparmi oltre il trenta per cento –, contenere i costi e avvicinarsi agli obiettivi climatici. 

Tra le tecnologie più diffuse troviamo sistemi per il recupero del calore dai fumi esausti di centrale termica, impiegato per preriscaldare l’acqua utilizzata nei processi industriali, abbattendo così la domanda di energia primaria. Altri interventi riguardano l’installazione di inverter per il controllo di macchine centrifughe quali pompe e ventilatori, che permettono di adeguare la potenza dei macchinari al reale fabbisogno ed interventi di recupero termico sui forni di verniciatura.

Importanti anche le tecniche di evaporazione sottovuoto, che riducono il volume dei reflui industriali, limitando i costi di smaltimento e recuperando energia termica. La manutenzione e ottimizzazione delle linee di distribuzione del vapore, attraverso l’installazione di scaricatori di condensa ad alta efficienza, permette di migliorare il rendimento degli impianti e ridurre le dispersioni. 

Un altro ambito spesso sottovalutato è quello dell’aria compressa, che rappresenta in media il dieci-quindici per cento del consumo elettrico di uno stabilimento, e il recupero dei cascami termici da forni per essiccazione e pirolisi: interventi mirati possono garantire notevoli risparmi.

Nonostante l’esistenza di soluzioni tecnologiche mature e tempi di ritorno dell’investimento contenuti, molte aziende italiane – soprattutto tra le Pmi – non hanno ancora avviato un percorso strutturato di efficientamento. Le barriere sono spesso economiche, legate all’accesso al credito e alla priorità data ad altri investimenti, ma anche tecniche, per via dell’assenza di competenze interne, e organizzative, per la mancanza di una figura dedicata alla gestione dell’energia. Tra gli ostacoli principali, il trentacinque per cento delle aziende segnala una scarsa cultura su questi temi, il trentatré per cento i costi elevati delle materie prime, il trenta per cento considera gli investimenti eccessivi, mentre il ventuno per cento lamenta la mancanza di incentivi.

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Eppure, qualcosa si muove: secondo l’Osservatorio CleanTech 2024 promosso da Innovatec e Circularity, il sessantaquattro per cento delle Pmi e grandi imprese italiane ha effettuato investimenti in sostenibilità. Di questi investimenti, ben il sessantotto per cento si è concentrato su interventi di efficientamento energetico. L’adozione di un piano di sostenibilità si sta inoltre diffondendo sempre più: il settantacinque per cento delle aziende dichiara che i principali stakeholder a richiederlo sono i clienti, consumatori e acquirenti.

In questo scenario, il ruolo delle politiche industriali e degli incentivi pubblici sarà decisivo per accompagnare le imprese nel percorso di transizione, così come lo sarà la capacità degli operatori di filiera di collaborare in ottica sistemica. Il quadro che emerge è quello di un settore sotto pressione, stretto tra competitività globale, vincoli normativi, transizione ecologica e crisi energetica. Tuttavia, proprio in questa complessità si annidano le leve del rilancio: l’efficienza energetica, se integrata in una visione strategica, può tradursi in risparmio, innovazione e vantaggio competitivo. 

Servono però strumenti adeguati, accesso al credito, competenze specifiche e una governance che metta la sostenibilità al centro delle strategie industriali. L’obiettivo non è solo ridurre i consumi o migliorare le performance ambientali, ma anche rendere il comparto più competitivo e resiliente, in grado di affrontare con efficacia le sfide del mercato.

*Alessandro Brizzi è General Manager di Renovis



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