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Le armi uccideranno welfare e ambiente? / Armi Nucleari / Guerra e Pace / Guide / Home


Come annunciato da mesi, a fine giugno i Paesi membri della NATO si sono impegnati a portare le spese militari al 5% del Pil (3,5% per la difesa, 1,5% per la sicurezza) entro il 2035. Come ha ricordato la Rete Italiana Pace e Disarmo lanciando la campagna Fermiamo il riarmo “Si tratta di un obiettivo sproporzionato e inutile, come ha prontamente denunciato il premier spagnolo Pedro Sánchez, tanto che lo stesso Donald Trump non intende raggiungerlo nemmeno per gli USA. Per la nostra campagna “Ferma il riarmo” anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe dovuto prendere le distanze da questa scelta gravissima e senza alcun senso (nemmeno militare e di sicurezza), imposta dagli USA agli alleati (in particolare all’Europa), che all’Italia costerà circa 100 miliardi di euro extra ogni anno per il prossimo decennio”. Secondo la Presidente Meloni l’impegno è “necessario e sostenibile” e “neanche un euro” verrà tolto “dalle altre priorità del governo”, ma l’italica coperta già tirata dal Patto di stabilità e crescita e dai prestiti del Next Generation EU è molto corta e i soldi che saranno impiegati per l’incremento delle spese militari saranno con buona probabilità tolti da settori già gravemente sotto finanziati come il welfare, la protezione ambientale e la sanità, minando così la vera sicurezza delle persone. Sicurezza “Che, – ricorda Rete Italiana Pace e Disarmo – non si tutela con le armi, ma con i diritti e la transizione ecologica. Le nostre organizzazioni lo denunciano e sottolineano da tempo, ma tale avvertimento è di recente venuto anche dal Fondo Monetario Internazionale e dall’ultimo Rapporto Eurispes”.

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Tra gli aspetti critici del piano di riarmo europeo c’è, come abbiamo accennato, anche la sostenibilità ambientale, come ha recentemente messo nero su bianco anche l’analisi condotta dall’Osservatorio conflitto e ambiente (CEBOS), rivelando come “Ogni punto percentuale di Pil in più destinato alla difesa comporta un aumento delle emissioni nazionali compreso tra lo 0,9 per cento e il 2 per centoSolo per i Paesi Nato (esclusi gli Stati Uniti), un incremento di due punti percentuali equivarrebbe a un’aggiunta di 87-194 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, con un costo climatico stimato in 264 miliardi di dollari”. Di fatto, oltre al danno c’è anche la beffa, visto che ogni miliardo investito in armamenti è un miliardo sottratto all’azione climatica. Cercando una “sicurezza immediata” nelle armi con uno scopo più di volano economico che di reale scudo militare, l’Europa si impegna economicamente a scapito del cambiamento climatico futuro, che con ogni probabilità genererà nuovi conflitti. “Difendersi oggi per rendere il mondo invivibile domani: un capolavoro di miopia strategica” ha evidenziato il Cebos, ricordandoci che la questione non è stata affrontata solo recentemente. Già nel “Pact for the future”, adottato dall’Assemblea generale Onu nel settembre 2024, gli Stati membri hanno espresso la loro preoccupazione per il potenziale impatto che l’aumento globale delle spese militari potrebbe avere sugli investimenti per lo sviluppo sostenibile e il mantenimento della pace. A tal fine l’Assemblea generale ha chiesto al segretario generale di “fornire un’analisi dell’impatto dell’aumento globale delle spese militari sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro la fine della settantanovesima sessione”.

Il risultato? Una dettagliata analisi realizzata per le Nazioni Unite sempre dal Cebos che ha evidenziato come l’aumento globale delle spese militari abbia conseguenze di vasta portata, “Con un impatto negativo su molteplici Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), e in primis sulle implicazioni per l’SDG 13, l’Azione per il clima, fortemente a rischio a causa dell’aumento delle spese militari”. Purtroppo mai come in questa occasione è vera la locuzione latina errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Al netto di quanto recentemente stabilito dai paesi Nato su impulso del presidente Usa Donald Trump, il mondo ha segnato un decennio di aumento delle spese militari, con un totale globale che ha raggiunto la cifra record di 2.700 miliardi di dollari all’anno. Per il Cebos “L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha provocato un drastico aumento della spesa militare dell’Unione europea e, tra il 2021 e il 2024, la spesa militare totale degli Stati membri dell’Ue è aumentata di oltre il 30%. La stima per il 2024 è stata di 326 miliardi di euro, circa l’1,9% del Pil dell’Ue, e questo quando l’obiettivo Nato era del 2%, ora più che raddoppiato fino a raggiungere il 5%”. Il Ceobs ci fa notare anche che al di là dei conflitti in corso, c’è da tenere in considerazione un fatto: “Per come sono strutturate, le forze armate sono di per sé grandi consumatori di energia e le loro emissioni di gas serra contribuiscono in modo significativo alla crisi climatica”. Avevamo già approfondito l’argomento in alcuni Dossier dell’Atlante della guerra e dei conflitti del Mondo dimostrando come l’impatto ambientale del comparto militare fosse ampiamente sottovalutato. Infatti per il Cebos “I Paesi non registrano e segnalano sistematicamente le loro emissioni militari, per cui la quota reale di questa fonte di emissioni rimane poco chiara” tanto che “L’attività militare quotidiana potrebbe essere responsabile di circa il 5,5% delle emissioni globali, il che significa che se le forze armate del mondo fossero un Paese, sarebbero il quarto emettitore mondiale”.

Il Ceobs sottolinea anche che più o meno tutti i governi dei Paesi sviluppati hanno già tagliato gli aiuti e i bilanci per lo sviluppo per alimentare l’aumento delle spese militari. Ad esempio, il governo britannico ha recentemente annunciato che ridurrà la spesa per gli aiuti dello 0,2% del PIL per finanziare l’aumento delle spese militari, una decisione che Bond, la Rete britannica di organizzazioni che si occupano di sviluppo internazionale e assistenza umanitaria, ha definito “Una decisione sconsiderata che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone emarginate in tutto il mondo”. Già sotto il precedente Governo, Londra aveva destinato un miliardo di sterline di aiuti militari all’Ucraina rinunciando ai finanziamenti per il clima e agli aiuti esteri non spesi, sottraendo così fondi al programma di finanziamento internazionale per il clima e al bilancio dell’Aiuto pubblico allo sviluppo Official Development Assistance del Regno Unito. Se come sembra la scelta di oltre Manica non rimarrà isolata “Le spese per il riarmo si ripercuoteranno inevitabilmente sulla capacità dei Paesi di rispettare gli impegni assunti in materia di finanziamenti per il clima”, ha concluso il Ceobs. Non solo. Come ha ricordato la Rete italiana pace e disarmo “L’aumento della spesa militare è la risposta sbagliata alle crisi internazionalitutti gli indici che misurano il tasso di conflittualità mondiale ci dicono che negli ultimi 20 anni di crescita dei bilanci della difesa, il livello di pace globale si è drasticamente deteriorato. Più armi non ci rendono più sicuri e non aumentano la crescita economica del Paese: garantiscono solo più profitti alle aziende della difesa.

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Sono Alessandro, dal 1975 “sto” e “vado” come molti, ma attualmente “sto”. Pubblicista, iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell’Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori”, leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.





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