In un contesto economico e normativo in costante evoluzione e con regole fiscali progressivamente più articolate, le piccole e medie imprese sono chiamate a elaborare strategie di pianificazione fiscale sempre più sofisticate. L’obiettivo? Ridurre il carico tributario in modo legittimo, massimizzare la competitività e reinvestire risorse in innovazione e crescita, senza compromettere la compliance tributaria.
Ne abbiamo parlato con il professor Filippo Cicognani, docente di Diritto Tributario all’Università di Bologna, esperto di fiscalità d’impresa, operazioni straordinarie e contenzioso tributario.
5 punti chiave:
- Equilibrio tra ottimizzazione fiscale e compliance
Le imprese italiane devono puntare a ridurre il carico tributario entro i limiti di legge, ma senza esporsi a contestazioni o sanzioni. La chiarezza normativa e una governance fiscale solida sono strumenti indispensabili per bilanciare risparmio e rischio.
- Riforma del sistema tributario e semplificazione
La riforma fiscale in corso punta a razionalizzare e semplificare la normativa attraverso Testi Unici di settore e, in prospettiva, un Codice unico dei tributi, con l’obiettivo di ridurre incertezze interpretative e favorire la certezza del diritto.
- Ruolo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale
La nuova disciplina valorizza strumenti digitali per valutare il rischio fiscale e anticipare il confronto tra contribuenti e amministrazione finanziaria, promuovendo l’adempimento collaborativo e il concordato preventivo biennale.
- Sfide della fiscalità internazionale per le Pmi
Per operare all’estero, le Pmi devono affrontare norme diverse, interazioni tra sistemi fiscali nazionali e diritto UE, nonché la disciplina IVA e doganale. La pianificazione preventiva e la scelta di strutture giuridiche adeguate sono fattori critici di successo.
- Incentivi fiscali per ricerca, sviluppo e innovazione
Il legislatore punta sempre di più su crediti d’imposta e agevolazioni per attività di R&S, innovazione tecnologica ed efficienza energetica. Tuttavia, serve una programmazione accurata per cogliere i benefici evitando errori interpretativi.
OTTIMIZZAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO FISCALE
La prima questione riguarda l’equilibrio tra riduzione legittima dell’onere fiscale e gestione del rischio di contestazioni. Secondo il professor Cicognani, «considerando “ottimizzazione fiscale” il desiderio di ogni impresa di ridurre l’onere tributario alla minore misura legalmente possibile, per rischio fiscale può intendersi un’imprevista contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria con la richiesta di maggiori imposte oltre a ingenti sanzioni per aver violato la legge o per aver operato in contrasto con i principi e le finalità del diritto tributario. Su queste premesse, il bilanciamento dell’ottimizzazione fiscale con la gestione del rischio tributario dipende innanzitutto da una legislazione fiscale chiara che riduca le divergenze interpretative favorite dagli opposti interessi economici delle parti in gioco, come ad esempio i contribuenti e l’Agenzia delle entrate».
Raggiungere un equilibrio tra semplificazione normativa e complessità delle dinamiche economiche non è un compito semplice, come spiega lo stesso Cicognani, sottolineando che «tale obiettivo dipende dalla formulazione e dalla omogeneità del corpus normativo, ma è reso difficile dalla naturale complessità di un sistema nel quale le attività economiche sono soggette simultaneamente ad almeno tre imposte (Irpef o Ires, Iva e Irap) e che deve regolare realtà imprenditoriali sempre più complesse ed in evoluzione che operano senza limiti territoriali (basti pensare alle imprese del web, ai token e alle cripto valute, ma anche solo alle imprese che operano nella realtà materiale)».
Ma qualcosa si può fare, «perché – osserva – la riforma in corso di attuazione da parte del Governo dovrebbe attuare le direttive del Parlamento di razionalizzare e semplificare le leggi tributarie, rendendole più chiare e conoscibili formando Testi Unici riferiti a specifici settori con l’obiettivo finale di racchiuderle in un codice contenente l’intera disciplina dei tributi».
GOVERNANCE FISCALE E STRUMENTI DI COMPLIANCE
In questo contesto di evoluzione normativa e tecnologica, diventa fondamentale per le imprese adottare pratiche avanzate di gestione del rischio fiscale e sfruttare appieno le opportunità offerte dagli strumenti digitali.
«Venendo alle best practice aziendali – evidenzia Cicognani – la riforma del 2024 valorizza l’uso di tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale nella valutazione delle pericolosità fiscale dei contribuenti, attraverso le quali intende accrescere la certezza dei rapporti tributari con strumenti che, pur non riducendo le imposte dovute, anticipano il confronto fra le imprese e l’amministrazione finanziaria favorendo certezza applicativa ed effetti premiali».
A tal fine, il legislatore ha potenziato il regime dell’adempimento collaborativo e ha introdotto il concordato preventivo biennale. «Il primo anticipa e facilita il confronto fra l’amministrazione finanziaria e le imprese che adottano un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale certificato da un professionista indipendente; il secondo anticipa la definizione del rapporto tributario sulla base di una ricostruzione algoritmica del reddito dichiarato negli anni precedenti – precisa il professore – Tutto ciò evidenzia l’importanza non solo quantitativa della variabile fiscale nelle dinamiche delle imprese italiane e suggerisce una specifica attenzione alla governance fiscale partendo sempre da un’accurata valutazione preventiva del quadro normativo per evitare errori che, se pure fanno parte del rischio d’impresa, possono generare oneri tributari imprevisti che mettono a dura prova lo sviluppo aziendale».
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE: OPPORTUNITÀ E COMPLESSITÀ
L’apertura verso nuovi mercati esteri rappresenta un’opportunità di crescita strategica per molte Pmi italiane, ma comporta anche un inevitabile aumento della complessità fiscale e amministrativa. Operare oltre i confini nazionali richiede infatti di destreggiarsi tra normative diverse e di pianificare con attenzione ogni fase dell’investimento. Sul tema, il professor Cicognani chiarisce quali sfide principali devono affrontare le imprese che scelgono di espandere la propria attività all’estero.
«La complessità del quadro normativo è in qualche modo fisiologicamente correlata alla complessità delle attività economiche e quindi deve essere messa in preventivo da chi esercita attività d’impresa. Per le imprese che operano in ambito internazionale la difficoltà è ancora maggiore perché la loro attività interessa contemporaneamente le leggi fiscali degli Stati nei quali operano, comportando complesse interazioni normative che devono essere valutate nel business plan dell’investimento estero tenendo conto, inoltre, del diritto dell’Unione Europea».
A ciò si aggiungono l’articolata disciplina dell’Iva nei rapporti internazionali e la complessa legislazione doganale. La chiave è pianificare con attenzione: «Anche per queste imprese la vera sfida è ottimizzare l’onere fiscale dell’attività internazionale attraverso una preventiva valutazione del quadro normativo vigente nei vari Stati, sia con riguardo alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi che ne caratterizzano l’attività (si pensi alla disciplina del transfer price), sia con riguardo alle strutture più adeguate nelle quali organizzarsi a seconda che l’attività all’estero riguardi singole operazioni, oppure una prima localizzazione esplorativa oppure ancora avvenga attraverso una società appositamente costituita».
In questa direzione, la riforma italiana prevede strumenti come la Global minimum tax e il regime di consolidato mondiale, per agevolare la tassazione unitaria dei gruppi multinazionali. «Nei gruppi multinazionali tali problematiche sono accresciute dalla difficoltà a superare la plurisoggettività giuridica dei centri operanti nelle singole giurisdizioni fiscali al fine di tenere conto che in sostanza si tratta di un’unica impresa sia pure territorialmente articolata. Sotto questo profilo – evidenzia Cicognani – nella riforma fiscale in corso il Parlamento ha chiesto espressamente al Governo di conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale. Per i gruppi societari, ciò è avvenuto introducendo la Global minimun tax che si affianca al regime del consolidato mondiale al quale si può ricorrere per la tassazione unitaria dei redditi delle controllate estere in capo alla controllante residente in Italia».
RICERCA E SVILUPPO: INCENTIVI DA USARE CON CONSAPEVOLEZZA
Un altro pilastro delle strategie fiscali è rappresentato dagli incentivi per ricerca e sviluppo. «Negli ultimi anni il legislatore ha fatto sempre più ricorso agli incentivi fiscali per favorire le attività di ricerca e sviluppo – considera il professore – Tali incentivi si affiancano alle altre forme di sostegno finanziario facendo leva su una riduzione delle imposte sul reddito per le imprese che svolgono tali attività, ritenute sempre più fondamentali per sviluppare le imprese tenendole costantemente al passo con l’evoluzione del sistema economico nel comune obiettivo di combinare l’interesse dell’imprenditore con l’interesse statale alla competitività del sistema paese».
La misura si inserisce nelle indicazioni dell’Unione europea che ne esclude la natura di aiuto di Stato in quanto favoriscono attività ritenute essenziali per gli obiettivi del Trattato. «Oltre al credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo, la legge fiscale prevede incentivi all’innovazione tecnologica, design e ideazione estetica, agli investimenti in start up innovative e in Pmi innovative, il credito d’imposta per gli investimenti nella riduzione dei consumi energetici e nel recente passato ricordiamo il patent box e l’iperammortamento per le imprese che investono in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi».
Nel panorama delle politiche di sostegno all’innovazione, «l’esperienza dei crediti d’imposta per favorire le attività di ricerca e sviluppo risale a circa quindici anni fa – ricorda Cicognani – ma ha scontato la difficoltà del legislatore a delineare efficacemente misure stabili, effettivamente incentivanti e formulate in modo coerente con gli obiettivi attendibili dalle attività di ricerca svolte da imprese private. La situazione ha comportato contrasti interpretativi e dispersioni nel raggiungimento degli obiettivi, ma ha evidenziato la crescente sensibilità del legislatore tributario per tali attività come strumento di sviluppo, non solo delle imprese private, ma dell’intero sistema economico nazionale».
Pertanto, anche la programmazione degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo non può prescindere da una profonda e tempestiva valutazione del quadro normativo quasi a suggerire, in taluni casi, di riservare a tale profilo una figura aziendale specializzata nel team dedicato alla pianificazione strategica.
UN SISTEMA FISCALE AL SERVIZIO DELLO SVILUPPO
Per rispondere ai futuri scenari fiscali, il professor Cicognani invita a considerare il sistema tributario come strumento strategico di sviluppo. «Un sistema fiscale efficiente non dovrebbe avere come unico obiettivo il finanziamento della spesa pubblica, ma rappresenta uno strumento essenziale per lo sviluppo dell’economia. In tale prospettiva, oltre all’entità quantitativa dell’onere tributario, rilevano le economie che potrebbero essere favorite dalla sensibilità del legislatore per concrete razionalizzazioni e semplificazioni operative e le incertezze evitate grazie alla qualità delle norme fiscali».
Un messaggio chiaro: la fiscalità, se governata con lungimiranza e trasparenza, non è solo un costo, ma un fattore abilitante per la crescita sostenibile e l’innovazione. «Ciò spiega come debba essere interesse comune che le imprese, il legislatore e l’amministrazione finanziaria debbano collaborare con reciproca fiducia a costruire un sistema fiscale moderno che favorisca lo sviluppo del Paese con applicazione responsabile di una legislazione adeguata che riduca al minimo i contrasti e le dispersioni da entrambe le parti – conclude – Dal lato delle imprese questo obiettivo potrebbe essere favorito da una profonda e costante valutazione di ogni progetto d’investimento alla luce del quadro normativo che determina la variabile fiscale», affinché la strategia fiscale resti un motore di competitività, innovazione e crescita sostenibile. Paola Mattavelli
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