Immaginate di poter catturare l’anidride carbonica, o se volete la formula chimica CO₂. E immaginate un numero che sia alto, nel senso di ambizioso, e pragmatico allo stesso tempo, perché c’è da fare i conti con una tecnologia che, al di là delle narrazioni, non ha registrato finora grandi successi. Forse vi interesserà sapere che la stima dell’Unione Europea al 2030 è di conferire ogni anno 50 milioni di tonnellate di CO₂ sotto terra, o sott’acqua (ci torneremo). Vi sembra un numero adeguato?
Secondo una recente stima (qui lo studio) del Corporate Europe Observatory, una delle più apprezzate ong a livello europeo, attualmente nei 27 Stati membri dell’Unione Europea si catturano circa 1 milione di tonnellate di CO₂. In appena quattro anni e mezzo, dunque, l’UE intende aumentare tale quota di ben 50 volte. Un salto in avanti portentoso, ulteriormente degno di nota se si considera che Bruxelles mira a una capacità di 450 milioni di tonnellate all’anno entro il 2050.
L’obiettivo delle 50 milioni di tonnellate di CO₂ era già stato annunciato nel Net Zero Industrial Act (NZIA), il regolamento che tra le altre cose mira a creare un mercato dell’UE per la CO₂. Al di là degli annunci, adesso si fa sul serio. Entro il 30 giugno 2025 i produttori obbligati dovranno presentare alla Commissione un piano dettagliato che spieghi come intendono contribuire all’obiettivo di stoccaggio fissato dal NZIA. Ogni piano, dunque, dovrà garantire non solo la capacità di iniezione da qui al 2030 ma anche i metodi e gli obiettivi intermedi che i produttori useranno per raggiungere questo obiettivo.
Inoltre a partire dal 30 giugno 2026 dovranno riferire annualmente alla Commissione i progressi verso gli obiettivi di stoccaggio, con la Commissione che da parte propria si impegna a rendere pubbliche queste relazioni. Basterà affidarsi all’ottimismo della volontà per far decollare una tecnologia finora altalenante?
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Le indicazioni dell’UE per lo stoccaggio della CO₂ al 2030
Come già accennato, sullo stoccaggio della CO₂ l’atto a cui guardare è il regolamento Net Zero Industrial Act, adottato nel 2024. Più recentemente la Commissione Europea ha aperto una nuova pagina di informazioni dettagliate relative esclusivamente all’immagazzinamento dell’anidride carbonica. Ed è la stessa Commissione a ricordare che nel NZIA i progetti per la cattura della CO₂ devono essere “ riconosciuti e sostenuti come progetti strategici a zero emissioni netti negli Stati membri”.
C’è però da fare un distinguo. L’obiettivo delle 50 milioni di tonnellate è stato fissato l’anno scorso, come abbiamo ricordato, quando la Commissione europea ha raccomandato una riduzione del 90% delle emissioni nette di gas a effetto serra dell’UE entro il 2040, rispetto ai livelli del 1990. “Questa raccomandazione – scrive la Commissione – si basa su una valutazione d’impatto che modelli le future esigenze di stoccaggio di CO₂, stimando che circa 250 milioni di tonnellate di CO₂ catturati annualmente nell’UE richiederanno lo stoccaggio permanente entro il 2040. Lo sviluppo di almeno 50 milioni di tonnellate di capacità di iniezione di CO₂ entro il 2030 nell’UE è visto come un primo passo per garantire un accesso sufficiente alla capacità di iniezione per le industrie hard to abate”, cioè le industrie pesanti come le acciaierie o i cementifici.
Nel frattempo, però, la riduzione del 90% delle emissioni di gas serra al 2040 è messa in discussione da molti Stati membri (come abbiamo raccontato qui). E se tale limite dovesse essere abbassato, cosa ne sarà dell’obiettivo parallelo della cattura della CO₂? Al momento la Commissione assicura che le industrie con le emissioni difficili da abbattere “possiedono le competenze e le risorse necessarie per sviluppare questi siti. Ad esempio, possono convertire i giacimenti esauriti o in fase di esaurimento di petrolio e gas nell’UE in siti di stoccaggio di CO₂”.
L’ottimismo della Commissione garantisce inoltre che “gli Stati membri dispongono di informazioni sulle potenziali aree di sviluppo dei siti di stoccaggio all’interno del loro territorio”. E dovranno proprio essere gli Stati membri a garantire che “tutti i dati geologici raccolti durante l’esplorazione e la produzione di idrocarburi siano resi pubblici non appena il sito di produzione pertinente sarà notificato per la disattivazione”.
Annotazioni che sembrano essere scritte su misura per l’Italia.
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Per raggiungere gli obiettivi di stoccaggio della CO₂ l’Italia si affida (solo) a Eni e Snam
Dei dubbi a raggiungere gli obiettivi di stoccaggio della CO₂ in Italia aveva scritto tra le prime l’associazione A Sud già nel 2023 (qui). Non sorprenda il fatto che il report dell’ong ambientalista sia incentrato sul progetto di Eni a Ravenna, perché è lo stesso governo Meloni a farne l’architrave dei propri obiettivi di decarbonizzazione. Era già avvenuto col PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, ed è avvenuto lo stesso più recentemente. Da dicembre 2024, infatti, secondo l’art.21 del regolamento Net Zero Industrial Act gli Stati membri sono tenuti a presentare una relazione annuale alla Commissione. La relazione deve specificare i progetti in corso di cattura, stoccaggio e trasporto di CO₂ nei rispettivi territori, accanto alle corrispondenti esigenze di capacità di iniezione e di stoccaggio. Inoltre gli Stati membri dell’UE devono comunicare eventuali misure di sostegno nazionali, strategie e obiettivi che sono stati o saranno adottati per quanto riguarda la cattura dell’anidride carbonica.
Tra gli Stati che hanno assolto a questo compito c’è anche l’Italia. Nelle 9 pagine del documento inoltrato alla Commissione, in realtà, il governo si limita a ripetere quanto detto in più occasioni. Dopo aver riportato le principali fonti di emissioni in Italia – soprattutto la Pianura Padana e alcuni importanti distretti industriali costieri del Sud e delle Isole – il governo ricorda che i progetti principali di cattura dell’anidride carbonica sono situati a Ferrara, Ravenna, Brescia e Marghera, in prossimità di importanti concentrazioni industriali. Ma al momento si conta un unico progetto in stato reale di avanzamento, cioè quello di Ravenna, gestito in tandem da Eni e Snam.
“In Italia – si legge nel documento inoltrato alla Commissione – grazie alla storica e continua attività di esplorazione ed estrazione di gas naturale nell’Alto Adriatico, nell’area di Ravenna sono presenti diversi giacimenti esauriti o in via di esaurimento attualmente gestiti da Eni che possono essere convertiti in siti di stoccaggio geologico per la CO2, con una capacità di stoccaggio complessiva che può superare i 500 milioni di tonnellate. Il primo sviluppo del progetto CCS di Ravenna include i campi offshore di Porto Corsini Mare Ovest e Porto Garibaldi/Agostino, situati di fronte alla costa di Ravenna. Il progetto CCS di Ravenna svolgerà un ruolo chiave per il raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali ed europei, consentendo inoltre all’Italia di allinearsi al PNEC italiano aggiornato e agli obiettivi europei stabiliti nella strategia di gestione del carbonio industriale e nel Net Zero Industry Act, consentendo alle industrie di catturare e stoccare permanentemente le proprie emissioni di processo intrinseche in siti di stoccaggio geologico, in conformità con la Direttiva 2009/31/CE. Il progetto CCS di Ravenna sarà gestito a pieno regime come infrastruttura ad accesso aperto, offrendo alle industrie e alle centrali elettriche difficili da abbattere situate sia in Italia che nell’Europa meridionale (regione del Mediterraneo) una soluzione di decarbonizzazione tempestiva ed economicamente vantaggiosa, trasparente e non discriminatoria”.
Una prospettiva decisamente ottimista, quella del governo. Che fa riferimento all’ottimismo di Eni e Snam, che indicano il sito di Ravenna come il più grande impianto di ccs (carbon caption and storage) al mondo, almeno a livello di potenzialità, capace da solo di catturare, al massimo delle proprie potenzialità, 50 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno. Praticamente da solo l’impianto di Ravenna potrebbe catturare la quantità richiesta dall’intera UE al 2030! Sono cifre che però, ripetiamo, sono molto distanti dai livelli attuali. Come ricorda ECCO, il think italiano per il clima, attualmente “circa 40 impianti commerciali di cattura della CO₂ sono operativi a livello globale, catturando annualmente 45 milioni di tonnellate di CO₂, equivalenti allo 0,12% delle emissioni globali del 2022 legate all’energia”.
Servirà, dunque, uno sforzo industriale e finanziario enorme. Che potrebbe essere destinato a soluzioni più pratiche, già diffuse e già ampiamente testate per ridurre le emissioni: l’economia circolare, l’efficienza energetica, le energie rinnovabili.
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