Approfondimento sui possibili reati nell’ambito dell’espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani tra appropriazione indebita e peculato.
Lo status giuridico dell’addetto al centro comunale di raccolta dei rifiuti urbani (cd. “Isola ecologica”)
Il caso
Il caso approdato dinanzi alla Corte di cassazione muove da un’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli. Quest’ultimo aveva confermato la pronuncia, emessa in data 26 settembre 2024, dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale, applicativa della misura degli arresti domiciliari, eseguita dal personale della Polizia Metropolitana di Napoli nei confronti di più addetti al centro comunale di raccolta, essenzialmente in relazione al reato di peculato finalizzato al compimento di atto contrario alla loro funzione.
Nello specifico, i ricorrenti, dipendenti della società aggiudicataria dell’appalto comunale per la gestione dei rifiuti nel Comune di Giugliano, in qualità di “addetti all’isola ecologica”, si erano impossessati sine titulo di rifiuti “nobili” (per lo più, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) ivi conferiti, illecitamente cedendoli a terzi in cambio di danaro.
Il devolutum verte sul tema della “qualifica soggettiva” rivestita dai ricorrenti, dirimente ai fini della configurabilità del reato di appropriazione indebita ex. art. 646 codice penale (punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire diecimila), in luogo di quello più grave di peculato ex art. 314 codice penale (punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi).
Secondo il difensore, il compito in concreto svolto dai ricorrenti consisteva nel prendere in consegna il rifiuto conferito in discarica, di inserirlo nell’apposito cassonetto e/o di restituirlo, di compilare la scheda secondo criteri prefissati. E, pertanto (sempre secondo il difensore), i ricorrenti non potevano essere equiparati ai “vigilanti”, quanto piuttosto ai meri uscieri o agli addetti all’ingresso di un pubblico ufficio, dovendo gli stessi solo verificare l’identità di chi accedeva all’area ecologica. Di qui la violazione di legge, in relazione all’articolo 358 cod. pen., per la qualifica rivestita di operatori ecologici e il mancato esercizio di attività di natura decisionale e/o valutativa, nella quale sarebbe incorsa il Tribunale del riesame.
Il verdetto
La Corte di cassazione, Sez. 6, 28 febbraio 2025, n. 8391, ha ritenuto infondato il ricorso.
La legge del 26 aprile 1990 n. 86 – nel riformulare il testo degli articoli 357 e 358, codice penale – ha superato la “concezione soggettiva” delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio: se ante legem veniva privilegiato il rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico, con la riforma del 1990 è stato positivizzato il criterio della disciplina pubblicistica dell’attività svolta e del suo contenuto.
La qualifica pubblicistica dell’attività prescinde, dunque, sia dalla natura dell’ente – in cui è inserito e all’interno del quale opera il soggetto – sia dalla natura pubblica del rapporto di impiego.
Ciò che rileva è la natura dell’attività svolta dall’ente e, laddove essa abbia caratteri pubblicistici, quale sia in concreto l’attività compiuta dal soggetto.
Carattere giuridico dell’attività di raccolta dei rifiuti urbani
Prevede, infatti, il novellato articolo 358 cod. pen. che «sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio», ovvero «un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
Pertanto, l’attività dell’incaricato di un pubblico servizio – al pari della pubblica funzione – è disciplinata da norme di diritto pubblico, ma – a differenza di questa – è priva di poteri autoritativi e certificativi: si tratta di un tipo di attività che si pone in rapporto di accessorietà nonché complementarità rispetto alle pubbliche funzioni e che è caratterizzata dallo svolgimento di compiti di rango intermedio tra queste ultime e le mansioni meramente esecutive (Corte di cassazione, Sez. Un. n 7959 del 27 marzo 1992).
Ebbene, se nella lettura della novella si sono registrate nella giurisprudenza della Corte di cassazione, oscillazioni con riferimento alla individuazione e perimetrazione della nozione di pubblico servizio, soprattutto nei casi di attività delegate e/o di attività di interesse pubblico, gestite da enti in regime di diritto privato, tuttavia nessuna incertezza esegetica è stata manifestata in relazione alla esclusione della qualifica di incaricato di pubblico servizio, laddove l’agente sia assegnatario di mere mansioni d’ordine ovvero presti un’opera meramente materiale (Corte di cassazione, Sez. lavoro, n. 3106 del 12/04/1990, Rv. 466637).
Conclusione
L’esegesi privilegiata dal Tribunale del riesame di Napoli, nell’ordinanza emessa in data 26 settembre 2024, è stata ritenuta dalla Corte di cassazione in linea con gli enunciati criteri ermeneutici.
Premesso che non era in contestazione la riconducibilità dell’attività ad un pubblico servizio, i Giudici di merito hanno invero congruamente rappresentato che i ricorrenti svolgevano mansioni di custodia e di vigilanza dell’area, nonché funzioni valutative in merito alla natura dei rifiuti conferiti: ai predetti – quali addetti all’isola ecologica – era riservata la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi, tra quelli destinati allo smaltimento e/o al successivo recupero, nonché era affidata la valutazione in ordine alla non conferibilità del rifiuto per la potenziale esposizione a pericolo della salute , dell’ambiente e della sicurezza degli operatori ed utenti.
Sotto tale profilo, le doglianze difensive sono risultate prive di pregio. La prospettata mancanza di poteri decisionali e/o l’assenza di qualsivoglia margine di discrezionalità si scontrano con la natura dei compiti affidati ai ricorrenti, che – come persuasivamente argomentato dai Giudici di merito – non era limitata al compimento di attività esecutive e materiali, come effettivamente può essere quella di riporre il rifiuto nel cassonetto e/o di compilare il modulo in esecuzione di prescrizioni impartite dai superiori gerarchici, ma presupponeva a monte una valutazione discrezionale in ordine alla tipologia e natura del conferimento e a valle l’autonoma decisione di non accettare il conferimento dei rifiuti non conformi alla normativa.
La Corte di cassazione, Sez. 6, 28 febbraio 2025, n. 8391, ha ritenuto, dunque, l’ordinanza emessa in data 14/10/2024 dal Tribunale di Napoli esente da vizi di manifesta illogicità e al contempo coerente con il dato normativo.
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