Domenico Rotondi
BOJANO (CB) – Il Parco Nazionale del Matese non è un freno, ma un’opportunità di sviluppo. Non un vincolo imposto dall’alto, bensì uno strumento di rilancio per un territorio che da decenni chiede visione, tutela e prospettiva. È quanto emerso dal confronto pubblico svoltosi a Bojano, città simbolo di questa lunga battaglia e indicata come sede amministrativa del futuro Ente.
L’incontro, organizzato dal circolo “Aldo Moro” del Partito Democratico insieme alla segreteria regionale del PD Molise, è stato introdotto da Micaela Fanelli, capogruppo in Consiglio regionale e figura di spicco a livello nazionale. Il sindaco Carmine Ruscetta ha ricordato il ruolo attivo dell’amministrazione comunale nell’accompagnare il percorso normativo, grazie a una delega specifica in Giunta. «L’obiettivo – ha dichiarato – è semplice quanto ambizioso: coniugare la tutela dell’ambiente con la difesa delle attività produttive, garantendo equilibrio e sviluppo sostenibile».
Un progetto, quello del Parco, che affonda le radici in oltre trent’anni di mobilitazione politica e culturale. Lucia Amatuzio, vice segretaria del circolo PD di Bojano, ha sottolineato la necessità di fare chiarezza e contrastare le narrazioni distorte che rischiano di alimentare paure infondate. «Il Parco – ha spiegato – non toglie, ma aggiunge: valore, strumenti, visione di lungo periodo».
A ribadirlo è stato anche Salvatore Tronca, dirigente regionale del PD, secondo il quale il coinvolgimento dei cittadini sarà decisivo per fare del Matese un modello nazionale. Sulla stessa linea Ovidio Buontempo, segretario regionale del partito, che ha parlato di «una battaglia identitaria», mettendo in guardia da chi strumentalizza le preoccupazioni locali. «Il Parco può generare lavoro, opportunità e una nuova centralità per le aree interne».
Andrea De Marco, presidente regionale di Legambiente, ha ripercorso l’iter legislativo, ricordando che l’istituzione dell’area protetta deriva dal recepimento di direttive europee. Al tempo stesso, ha posto l’accento sull’urgenza di affrontare il problema della fauna selvatica, in particolare la diffusione incontrollata dei cinghiali. «Senza interventi, si compromette non solo l’agricoltura, ma l’intera biodiversità».
Tema centrale anche quello delle cave. De Marco ha escluso ogni ipotesi di chiusura automatica: le concessioni in essere rimarranno attive fino alla scadenza. Sarà la Regione a definire una perimetrazione coerente con le esigenze ambientali e occupazionali.
A offrire uno sguardo più ampio è stato il naturalista Alessandro Aceto, che ha illustrato l’esperienza dell’Abruzzo, dove agricoltura e tutela ambientale convivono attraverso modelli di gestione integrata. Un esempio virtuoso che, a suo avviso, potrebbe ispirare anche il Parco del Matese.
Giuseppe Marzano, già presidente del Parco Nazionale del Circeo, ha evidenziato la necessità di strumenti operativi, come le aree contigue e i piani di abbattimento selettivo. «Oggi – ha detto – ci sono vincoli senza contropartite. Con una gestione attiva, possiamo costruire sviluppo e rafforzare le attività tradizionali». Concetti condivisi anche da Piernazario Antelmi (WWF Silentum) e Gianbenedetto Ghiurmino, veterinario esperto nella gestione della fauna. Entrambi hanno sottolineato l’urgenza di una governance stabile e competente, capace di valorizzare le risorse naturali e culturali dell’area matesina.
Di rilievo anche l’intervento di Gianni Marro, amministratore comunale ed ex dirigente della Consulta del Matese, il quale ha ricostruito con rigore le fasi della procedura in corso, richiamando i presenti a un forte senso di responsabilità.
Tra gli interventi del pubblico, particolarmente significative sono state le considerazioni espresse da diversi rappresentanti delle associazioni territoriali, i quali hanno ribadito il pieno sostegno alla candidatura di Bojano come sede dell’Ente, definendola il «cuore naturale del comprensorio molisano-sannita».
A chiudere i lavori è stato il senatore Giuseppe Lumia, già presidente della Commissione parlamentare Antimafia e oggi figura di rilievo della Fondazione Caponnetto. Nel suo intervento ha ricordato il lungo cammino delle forze democratiche e progressiste a favore del Parco, riconoscendo tuttavia all’attuale maggioranza governativa il merito di aver completato l’iter istitutivo. «Ora – ha affermato – è il momento di fare del Matese un esempio di legalità, sviluppo sostenibile e partecipazione. Il Parco non è una barriera, ma un volano per la rinascita del Mezzogiorno».
Una sfida che chiama in causa istituzioni, cittadini e imprese. Perché solo attraverso regole chiare, ascolto reale e responsabilità collettiva sarà possibile tenere insieme ambiente, lavoro e futuro.
INTERVISTA al dottor Giuseppe Marzano
“Nei Parchi si può coniugare tutela ambientale e sviluppo locale, ecco cosa insegna l’esperienza del Circeo e degli Aurunci”
Nel corso dell’incontro pubblico tenutosi a Bojano l’11 giugno, abbiamo raccolto il contributo di uno dei relatori più autorevoli nel campo della gestione delle aree protette in Italia, forte di un’esperienza maturata sia a livello nazionale che regionale. Ne è scaturita una riflessione articolata sul ruolo dei Parchi nella tutela della biodiversità e nello sviluppo dei territori.
Lei ha portato a Bojano l’esperienza maturata nella gestione dei Parchi. Su cosa ha concentrato il suo intervento?
Sono intervenuto per condividere la mia esperienza come gestore di aree naturali protette, sia a livello nazionale, come nel Parco Nazionale del Circeo, sia a livello regionale, come nel Parco dei Monti Aurunci, entrambi situati nel Lazio. Ho voluto offrire esempi concreti di come i Parchi possano svolgere un ruolo attivo nella gestione della fauna selvatica. In particolare, ho illustrato i piani attuati per il controllo dei cinghiali e dei daini al Circeo, e dei soli cinghiali negli Aurunci.
La differenza tra aree protette e non protette è evidente: laddove non siano presenti Parchi, il controllo degli ungulati in sovrannumero spesso non viene effettuato da alcuno. Al contrario, nelle aree protette si interviene da molti anni mediante catture e, laddove necessario, con abbattimenti selettivi. L’obiettivo resta sempre quello di tutelare la biodiversità nel suo complesso. Una specie che si riproduce in modo eccessivo rispetto alla capacità di carico del territorio rischia di compromettere la sopravvivenza delle altre.
Ha parlato anche delle ricadute economiche e sociali che un Parco può generare. In che modo?
Oltre alla gestione faunistica, ho evidenziato le potenzialità di sviluppo che un Parco può offrire. Esistono numerose opportunità per valorizzare i prodotti dell’agricoltura, della zootecnia e dell’artigianato, così come per incentivare la ricettività turistica. Un esempio concreto è la possibilità di istituire un Marchio del Parco, da attribuire a prodotti e attività di qualità: una certificazione che, associata all’immagine di naturalità del territorio, può offrire vantaggi commerciali significativi.
E per quanto riguarda il coinvolgimento delle comunità locali nella governance del Parco?
Ho sottolineato l’importanza del Piano Pluriennale Economico e Sociale, uno strumento fondamentale di cui ogni Ente Parco dovrà dotarsi per promuovere le attività compatibili con la tutela ambientale. Questo piano non è redatto da un’autorità esterna, bensì dalla comunità del Parco, ossia dai rappresentanti dei Comuni, delle Comunità Montane, delle Province e delle Regioni interessate.
Ciò significa che saranno gli stessi amministratori locali a farsi promotori dello sviluppo territoriale, dando vita a un processo realmente partecipato. È questa la vera forza dei Parchi: iniziative che nascono dai territori e non da decisioni imposte dall’alto.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link