Il Digital Networks Act (DNA) rappresenta una delle proposte legislative più ambiziose e controverse nel panorama europeo delle telecomunicazioni, un regolamento che promette di ridisegnare radicalmente l’architettura normativa del settore digitale continentale.
Sebbene non ci sia ancora un testo definitivo, la consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea, che si concluderà l’11 luglio, ha già innescato un acceso dibattito tra operatori di telecomunicazioni, piattaforme digitali, regolatori nazionali e associazioni di consumatori.
I tempi infatti sembrano essersi accelerati di colpo: la Commissione presenterà la proposta già quest’anno.
Digital Network Act: l’arduo compito di colmare il gap Ue nelle reti di nuova generazione
La posta in gioco è altissima: da un lato c’è chi paventa la fine del modello concorrenziale costruito faticosamente in tre decenni di liberalizzazione, dall’altro chi vede nel DNA l’unica via per colmare il gap infrastrutturale che separa l’Europa da Stati Uniti e Asia nel campo delle reti di nuova generazione.
La decisione della Commissione di aprire una consultazione pubblica prima della stesura formale del regolamento rappresenta un esercizio di trasparenza, ma anche una necessità pratica. Sottrarre competenze chiave agli Stati membri in materia di telecomunicazioni richiede un consenso ampio e documentato, dove ogni dato economico, ogni modello previsionale e ogni alternativa scartata devono rimanere tracciabili e verificabili. Questo approccio mira a prevenire accuse di pressioni lobbistiche o decisioni opache che potrebbero minare la legittimità del testo ancor prima della sua presentazione ufficiale al Parlamento Europeo e al Consiglio.
La genesi del DNA
Le radici del DNA affondano in anni di discussioni sul progressivo deterioramento della posizione competitiva europea nel settore delle telecomunicazioni e sulle asimmetrie regolatorie tra operatori tradizionali e piattaforme digitali che offrono servizi funzionalmente equivalenti. Il libro bianco della Commissione “How to master Europe’s digital infrastructure needs?” del 21 febbraio 2024 ha cristallizzato queste preoccupazioni, evidenziando come solo il 56% delle famiglie europee sia raggiunto da connessioni in fibra FTTH, percentuale che precipita al 41% nelle aree rurali. La copertura 5G standalone si ferma a un misero 20% del territorio, mentre il deficit di investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi di connettività gigabit e 5G completo viene stimato in 148 miliardi di euro, cifra che supera i 200 miliardi includendo l’infrastrutturazione digitale di corridoi stradali, ferroviari e vie navigabili.
Il labirinto burocratico che frena le tlc Ue
Il documento della Commissione non si limita a quantificare il gap finanziario, ma identifica nella frammentazione del mercato unico la causa strutturale del problema. L’esistenza di ventisette regimi di licenza delle frequenze diversi, ventisette procedure di asta per lo spettro radio e ventisette sistemi autorizzativi crea quella che il libro bianco definisce “frammentazione a specchio”, un labirinto burocratico che erode i margini operativi degli operatori e allunga drammaticamente i tempi di ritorno degli investimenti. Questa frammentazione non rappresenta solo un ostacolo tecnico-amministrativo, ma mina la capacità dell’Europa di attrarre capitali internazionali, di generare innovazione endogena e di garantire quella resilienza strategica divenuta cruciale in un contesto geopolitico sempre più instabile e multipolare.
Il rapporto Draghi e l’urgenza di integrazione sistemica
Il rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, pubblicato alla fine del 2024, ha ulteriormente rafforzato l’urgenza di un intervento sistemico. Draghi sottolinea come l’assenza di un mercato davvero integrato dei capitali e delle infrastrutture digitali stia deviando gli investimenti verso giurisdizioni più prevedibili e meno frammentate. Il DNA, in questa prospettiva, non mira semplicemente ad armonizzare regole tecniche, ma ambisce a ridefinire l’equilibrio di potere tra operatori infrastrutturali, piattaforme globali che monetizzano quelle infrastrutture e utenti finali che richiedono servizi sempre più sofisticati, economici e affidabili.
Opposizioni al digital networks act: rischi di concentrazione oligopolistica
L’opposizione al DNA, guidata da associazioni come l’Associazione Italiana Internet Provider AIIP), solleva preoccupazioni sul rischio di una concentrazione eccessiva del mercato.
Il timore è che il regolamento finisca per favorire un oligopolio di grandi incumbent dotati di reti proprietarie, riducendo drasticamente lo spazio competitivo per fornitori alternativi e operatori che hanno storicamente rappresentato il motore dell’innovazione tariffaria e di servizio. Queste preoccupazioni si basano sul fatto che è sempre più sfumato il confine tra il semplice “trasporto” di dati e l’ecosistema delle piattaforme digitali.
Senza un enforcement antitrust particolarmente vigile e proattivo, il DNA potrebbe effettivamente accelerare dinamiche di concentrazione già in atto.
Perché AIIP è contro il DNA
L’AIIP ha espresso ufficialmente la sua posizione sul Digital Networks Act (DNA), durante il suo convegno annuale e il 12 giugno ha pubblicato un comunicato.
Il presidente Giovanni Zorzoni, nel corso del convegno “30 anni di Libertà Digitale” tenutosi alla Camera, ha detto chiaramente che:
“Il Digital Networks Act è la più grande minaccia sistemica al mercato delle
telecomunicazioni che incombe su piccoli, medi e grandi operatori. […] sarà tabula rasa: addio servizi di qualità a costi contenuti, addio concorrenza vera. A rimanere in piedi saranno solo pochi giganti, con l’Italia che perderà totalmente il controllo della filiera digitale”
L’AIIP ha ribadito l’importanza di creare un “fronte politico compatto” per opporsi a una normativa europea che favorirebbe, di fatto, la formazione di oligopoli digitali, a danno di decine di operatori indipendenti e radicati sul territorio aiip.it.
Perché l’AIIP avversa il DNA
AIIP ritiene che il DNA favorisca i grandi operatori a discapito dei piccoli e medi provider, baratterebbe capacità locali e competenze con pochi colossi.
Il testo europeo, secondo AIIP, ridurrebbe notevolmente il controllo nazionale sulla rete, cedendo potere regolatorio a soggetti sovranazionali o spingendo verso concentrazione del mercato.
L’associazione chiede una risposta urgente da parte del Governo e del Parlamento per resistere all’avanzata del DNA, preservando un ecosistema digitalmente equilibrato.
Redazione
Verso un nuovo paradigma: licenze unificate e investimenti produttivi
Tuttavia, altri ribattono che lo status quo si è dimostrato insostenibile. L’Europa conta oltre duecento operatori mobili, ma nessuno di questi raggiunge la massa critica finanziaria dei giganti americani o asiatici. Il costo cumulativo delle aste per lo spettro 5G ha drenato decine di miliardi di euro che avrebbero potuto finanziare il deployment della fibra ottica o la ricerca sul futuro standard 6G. In questo contesto, il DNA propone un cambio di paradigma radicale: licenze di durata significativamente maggiore, condizioni operative omogenee a livello continentale e tempistiche coordinate per le aste dello spettro potrebbero eliminare le costose guerre competitive tra Stati membri e liberare risorse per investimenti produttivi.
Dal codice europeo delle comunicazioni elettroniche al regolamento: certezza giuridica europea
Un elemento centrale della proposta è la trasformazione del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche da direttiva a regolamento direttamente applicabile (come recentemente avvenuto ad esempio in ambito di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo), bypassando i recepimenti nazionali che hanno generato ventisette varianti interpretative.
Per i grandi investitori infrastrutturali, la certezza giuridica rappresenta il primo criterio di valutazione: sapere che le regole operative rimarranno identiche da Lisbona a Tallinn e che eventuali controversie seguiranno procedure standardizzate abbassa significativamente il rischio regolatorio e, conseguentemente, il costo del capitale. I fondi infrastrutturali globali hanno ripetutamente segnalato alla Commissione la loro preferenza per mercati dove licenze e framework regolatori mantengono stabilità almeno ventennale.
Switch-off del rame: dismissione coordinata delle reti obsolete
Il secondo pilastro strategico del DNA riguarda lo switch-off coordinato delle reti in rame. Le centrali DSL ancora attive in Europa consumano quantità enormi di energia elettrica e, aspetto ancora più critico, assorbono risorse umane e finanziarie che potrebbero essere reindirizzate verso tecnologie più efficienti come la fibra fino all’abitazione (FTTH) e il 5G standalone.
La proposta di stabilire una data indicativa per la dismissione completa del rame, ipoteticamente fissata al 2030, genera comprensibili timori: il rischio è quello di fissare un orizzonte temporale rigido in un contesto tecnologicamente fluido. Meglio, secondo molti, ragionare in termini di obiettivi di performance – come efficienza energetica, latenza, velocità simmetrica – a prescindere dalla soluzione tecnologica adottata.
Spettro mobile e licenze paneuropee per usi industriali
Sul versante mobile, il DNA introduce criteri unificati per l’assegnazione dello spettro e, innovazione particolarmente significativa, la possibilità per gruppi industriali transnazionali di ottenere licenze paneuropee per utilizzi verticali specifici.
Questa disposizione risponde direttamente alle esigenze di operatori industriali che necessitano di reti private 5G per applicazioni mission-critical in fabbriche, porti, miniere o siti di agricoltura di precisione distribuiti su più Stati membri. L’assurdità dell’attuale frammentazione diventa evidente considerando che queste aziende devono affrontare iter autorizzativi diversi in ogni paese per implementare sistemi software e di controllo che operano su scala globale. L’uniformazione di scadenze, requisiti tecnici e procedure amministrative potrebbe generare risparmi di tempo nell’ordine di anni, con benefici immediati sulla competitività del manifatturiero europeo.
Fair share: controversie sul finanziamento delle reti
La questione più controversa e politicamente sensibile riguarda il meccanismo di “fair share” per il finanziamento delle reti. Da anni, i grandi generatori di traffico dati – Netflix, YouTube, Meta, Amazon Prime Video, ma anche piattaforme di gaming cloud e servizi di videoconferenza – esercitano una pressione crescente sulle capacità di rete senza contribuire direttamente ai costi di mantenimento e potenziamento dell’infrastruttura. Il DNA non proporrebbe, almeno nella sua concezione attuale, una tassa di rete tout court, ma istituisce un meccanismo di risoluzione rapida delle controversie presso il BEREC (Body of European Regulators for Electronic Communications), che potrebbe portare, in casi estremi, all’imposizione di forme di compensazione economica. Sebbene formalmente distinte da un’imposta generalizzata, tali compensazioni possono assumere effetti simili e dovranno quindi essere attentamente calibrate per non sfociare in un onere strutturale o permanente per i fornitori di contenuti.
L’obiettivo dichiarato non è penalizzare l’innovazione digitale o creare barriere all’ingresso per nuovi servizi, ma garantire visibilità e sostenibilità ai flussi finanziari necessari per gestire l’aumento esponenziale del traffico dati. I critici che vedono in questa misura l’anticamera di un pedaggio digitale dimenticano che meccanismi analoghi esistono già in altri settori infrastrutturali: nel mercato elettrico, chi immette grandi quantità di energia nella rete partecipa ai costi di trasmissione e bilanciamento. La sfida sta nel calibrare il meccanismo in modo che non si trasformi in una rendita di posizione per gli incumbent, ma rimanga uno strumento di ultima istanza per risolvere squilibri manifesti e garantire investimenti sostenibili.
Sicurezza e resilienza: certificazione unificata nell’era geopolitica
Il capitolo dedicato alla sicurezza e resilienza delle reti merita particolare attenzione nel contesto geopolitico attuale. Le infrastrutture digitali sono diventate bersagli primari per attori statali e non-statali ostili: il sabotaggio di cavi sottomarini nel Baltico, gli attacchi a router backbone o la compromissione di elementi critici della rete 5G possono paralizzare intere economie nazionali. Il DNA integra e rafforza il framework del Cybersecurity Act proponendo un sistema di certificazione unificato per equipaggiamenti 5G e futuri 6G, spingendo gli Stati membri a convergere verso fornitori classificati come “a basso rischio” secondo criteri condivisi. Questa disposizione implica scelte industriali complesse e potenzialmente dolorose, dato che la filiera europea non copre l’intero spettro tecnologico necessario. Tuttavia, ridurre la dipendenza da equipment proveniente da giurisdizioni geopoliticamente problematiche rappresenta un imperativo strategico che va oltre le considerazioni puramente economiche.
Network-as-a-service: verso la virtualizzazione delle funzioni di rete
Un aspetto innovativo e potenzialmente rivoluzionario del DNA riguarda l’apertura al paradigma “network-as-a-service”. La disaggregazione delle funzioni di rete, la loro virtualizzazione e l’esposizione tramite API programmabili permetterebbe a startup, imprese verticali e persino alle grandi piattaforme di acquistare capacità di rete dedicate e personalizzate, pagando solo per l’utilizzo effettivo. Questo modello rappresenta un salto paradigmatico dal tradizionale approccio “silo”, dove l’operatore vende accesso fisico all’ingrosso, verso un ecosistema dove si commercializza capacità logica, latenza garantita e qualità del servizio differenziata. Il DNA, sancendo il principio di neutralità tecnologica e imponendo la pubblicazione di interfacce standardizzate e documentate, potrebbe catalizzare lo sviluppo di questo mercato. Non si tratta di un dettaglio tecnico minore: come evidenzia Draghi nel suo rapporto, la competitività europea dipende non solo dalla disponibilità di infrastrutture fisiche, ma dalla capacità di trasformarle in piattaforme abilitanti per i servizi del futuro – edge computing, intelligenza artificiale distribuita, Internet of Things industriale, realtà aumentata e metaverso.
Rischi di implementazione: culture regolatorie nazionali radicate
Sarebbe tuttavia intellettualmente disonesto ignorare i rischi sostanziali evidenziati dagli oppositori del DNA. Il primo e più immediato è che una regolazione formalmente uniforme non cancelli automaticamente ventisette culture regolatorie nazionali profondamente radicate. La storia dell’integrazione europea è costellata di direttive ambiziose che sono state recepite in modi divergenti, diluendo o addirittura snaturando l’intento originario. Il passaggio da direttiva a regolamento mitiga questo rischio, ma non lo elimina completamente: resta fondamentale il ruolo di coordinamento e vigilanza delle autorità europee, in particolare del BEREC, affinché l’applicazione sia effettivamente uniforme e non lasci margini a interpretazioni creative o deroghe opportunistiche a livello nazionale.
L’esempio delle tariffe di terminazione mobile dimostra che anche con un framework apparentemente unitario, persistono margini significativi per interpretazioni creative e deroghe opportunistiche. Il DNA dovrà quindi essere estremamente preciso nella definizione di tempistiche, soglie quantitative, procedure di enforcement e sanzioni, evitando formulazioni ambigue che possano essere sfruttate per perpetuare la frammentazione.
Effetti concorrenziali: bilanciamento tra efficienza e pluralismo
Il secondo ordine di preoccupazioni riguarda gli effetti sulla dinamica concorrenziale. Se il DNA dovesse effettivamente incentivare fusioni e acquisizioni tra operatori, specialmente nei mercati nazionali più piccoli, la Commissione e le autorità antitrust nazionali dovranno sviluppare un framework analitico sofisticato per bilanciare i guadagni di efficienza derivanti dalle economie di scala con la tutela del pluralismo di mercato e degli interessi dei consumatori.
Non esiste una formula algoritmica per questo bilanciamento: ogni caso dovrà essere valutato nel suo contesto specifico, ma con una bussola strategica chiara che metta al centro sia la sostenibilità degli investimenti infrastrutturali sia la preservazione di spazi competitivi per operatori wholesale-only, MVNO e nuovi entranti innovativi.
Governance trasparente del fair share: metodologie e accountability
Il terzo nodo critico riguarda la governance del meccanismo di “fair share”. Senza una metodologia di calcolo trasparente, pubblica e scientificamente robusta per quantificare l’impatto del traffico dati sulle reti e i costi incrementali associati, la discussione rischia di degenerare in uno scontro ideologico tra “free internet” e “chi usa paga”.
Il regolamento dovrebbe prevedere il coinvolgimento sistematico di esperti indipendenti, la pubblicazione integrale di dataset grezzi, modelli econometrici e assunzioni sottostanti, garantendo a tutti gli stakeholder – inclusa la società civile e le associazioni di consumatori – pieno accesso alle informazioni. Solo attraverso questo livello di trasparenza sarà possibile evitare che il meccanismo di fair share si trasformi in uno strumento di negoziazione opaco o, peggio, in una leva per estrarre rendite monopolistiche.
Digital divide culturale: competenze e domanda di servizi avanzati
Un aspetto frequentemente sottovalutato ma cruciale riguarda il gap di cultura digitale che affligge l’Europa. Investire centinaia di miliardi in reti gigabit e 6G risulterà sostanzialmente inutile se la domanda non evolve di pari passo. Le piccole e medie imprese che continuano a operare con connessioni da pochi megabit non sfrutteranno mai appieno le potenzialità della fibra simmetrica; cittadini con competenze digitali limitate potrebbero avere accesso alla rete più veloce del mondo ma non saprebbero tradurla in valore economico o sociale.
Il DNA, pur non affrontando direttamente il digital divide culturale, dovrebbe incentivare l’adozione di servizi avanzati e lo sviluppo di use case innovativi. In questo senso, sarà fondamentale l’integrazione con altre iniziative europee – come il Digital Education Action Plan – per stimolare la domanda e valorizzare il potenziale delle nuove reti presso PMI, cittadini e pubblica amministrazione. Come sottolinea Draghi nel suo rapporto, la competitività sistemica nasce dalla sinergia tra infrastrutture fisiche, capitale umano qualificato e un mercato dei servizi digitali maturo: il regolamento affronta direttamente solo il primo elemento ma può catalizzare gli altri due, a condizione che i governi nazionali utilizzino strategicamente le risorse liberate.
Dimensione industriale: dipendenze tecnologiche e sovranità digitale
La dimensione industriale e di politica industriale del DNA non può essere ignorata. L’Europa si trova in una posizione di debolezza strutturale nella catena del valore delle telecomunicazioni: dipende quasi interamente da fornitori extra-europei per chipset avanzati, da vendor asiatici per equipment di rete a costo competitivo e da piattaforme americane per servizi e applicazioni. Il DNA, pur non potendo miracolosamente creare campioni europei dal nulla, può almeno garantire che il mercato continentale sia sufficientemente grande, integrato e prevedibile da giustificare investimenti in R&D e capacità produttiva locale. L’interazione con altre iniziative strategiche come il Chips Act, il Digital Compass 2030 e i programmi Horizon Europe dedicati al 6G e alle tecnologie quantistiche sarà cruciale per massimizzare le sinergie e evitare duplicazioni.
Equilibrio tra armonizzazione e concorrenza nel futuro digitale europeo
In conclusione, il Digital Networks Act non dovrebbe essere interpretato come un ripudio dei principi concorrenziali che hanno guidato la liberalizzazione delle telecomunicazioni europee negli ultimi trent’anni, ma piuttosto come un tentativo di adattare quei principi a una fase storica radicalmente diversa, caratterizzata dalla necessità di investimenti massicci, dalla convergenza tra reti e servizi digitali e da sfide geopolitiche senza precedenti.
Il rischio di derive oligopolistiche o di cattura regolatoria è reale e deve essere gestito con strumenti antitrust rafforzati e meccanismi di accountability trasparenti. Tuttavia, il rischio opposto – rimanere intrappolati in un sistema di reti frammentate, sottocapitalizzate, tecnologicamente arretrate e vulnerabili – appare ancora più concreto e minaccioso per il futuro digitale dell’Europa.
Condizioni per il successo del nuovo framework: certezza giuridica e coordinamento efficace
Se il nuovo framework regolatorio riuscirà a garantire certezza giuridica di lungo periodo, coordinamento efficace nelle procedure di licensing e assegnazione dello spettro, meccanismi equi e trasparenti di remunerazione degli investimenti e un approccio unificato alla sicurezza e resilienza delle reti, allora potrà effettivamente fungere da catalizzatore per quei capitali internazionali che oggi guardano all’Europa con scetticismo e preferiscono mercati più integrati e prevedibili.
Il DNA rappresenta una scommessa sistemica paragonabile all’introduzione dell’euro: armonizzare e integrare non è mai un processo indolore e genera inevitabilmente vincitori e vinti, ma può produrre benefici duraturi se accompagnato da istituzioni forti, processi decisionali trasparenti e una visione strategica condivisa.
Digital Networks Act: una cassetta degli attrezzi normativa
Il Digital Networks Act non è e non può essere una bacchetta magica che risolve istantaneamente decenni di sotto investimento e frammentazione. È piuttosto una sofisticata cassetta degli attrezzi normativi che richiederà sapienza nell’uso, equilibrio nell’applicazione e costante adattamento all’evoluzione tecnologica e di mercato. Il successo dipenderà dalla capacità di regolatori, governi, operatori e stakeholder di utilizzare questi strumenti evitando sia la deriva protezionista che minaccerebbe l’innovazione, sia l’anarchia competitiva che nel medio periodo produce inevitabilmente sotto investimento e declino tecnologico. Da questa complessa equazione dipende non solo la velocità delle future reti europee, ma la sovranità digitale del continente e la sua capacità di trasformare gigabit e millisecondi di latenza in prosperità economica diffusa, inclusione sociale e resilienza democratica nell’era dell’intelligenza artificiale e del calcolo quantistico.
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