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Lavoro minorile, ancora troppi bambini coinvolti


Quasi 138 milioni di bambini e adolescenti nel mondo sono coinvolti nel lavoro minorile, di questi circa 54 milioni in attività pericolose che mettono a rischio salute, sicurezza e sviluppo. In cinque anni si è registrata una riduzione complessiva di oltre 20 milioni e si è invertita l’impennata allarmante che c’era stata tra il 2016 e il 2020. Accanto a questa buona notizia, una negativa. Il mondo ha mancato l’obiettivo fissato dall’Agenda 2030 dell’Onu: l’eliminazione del lavoro minorile entro il 2025.

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Rapporto Oil-Unicef

I dati emergono dal rapporto Child labour: Global estimates 2024, trends and the road forward, Lavoro minorile: stime globali 2024, tendenze e prospettive, pubblicato dall’Oil, Organizzazione internazionale del lavoro, e dall’Unicef in occasione della giornata mondiale che si celebra il 12 giugno. Il dossier sottolinea una cruda realtà: nonostante i progressi compiuti, e cioè il dimezzamento del lavoro minorile negli ultimi 25 anni, viene ancora negato a milioni di bambini e adolescenti il diritto di imparare, giocare, semplicemente essere bambini.

Bambini in agricoltura

“L’agricoltura rimane il settore più importante per il lavoro minorile, con il 61 per cento dei casi – spiega Gianni Rosas, direttore dell’ufficio per l’Italia e San Marino dell’Oil -, seguita da quello dei servizi (27 per cento), lavoro domestico e vendita di beni nei mercati, e dal settore industriale (13 per cento), che comprende l’industria mineraria e manifatturiera. L’Africa subsahariana continua a sopportare il fardello più pesante, con quasi due terzi dei coinvolti nel lavoro minorile, circa 87 milioni. L’Asia e il Pacifico hanno registrato la riduzione più significativa dal 2020, dal 6 al 3 per cento, in America Latina e nei Caraibi sebbene la prevalenza del lavoro minorile sia rimasta invariata negli ultimi quattro anni, il numero totale di bambini coinvolti è sceso da 8 a circa 7 milioni”.

Piaga italiana

Questa grave violazione dei diritti non risparmia l’Italia, dove però non esistono dati ufficiali. “Questa è una questione da sollevare – prosegue Rosas -. Anche banche dati come quelle dell’Istat, che monitorano il progresso dell’Agenda 2030, per il target 8.7 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, quello sul lavoro minorile, non hanno nessun dato”.

Le stime del rapporto “Non è un gioco” di Save the Children ci dicono che nel Belpaese sono 336 mila i ragazzi tra i 7 e i 15 anni coinvolti in esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali. Parliamo del 6,8 per cento dei ragazzini tra i 7 e i 15 anni, quasi 1 su 15, che svolge o ha svolto un’attività lavorativa, percentuale che cresce tra i 14-15enni.

In questa fascia d’età, il 20 per cento svolge o ha svolto un’attività lavorativa e circa un 14-15enne su 3 (il 27,8 per cento, circa 58 mila) è o è stato impegnato in lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e il benessere psicofisico, perché svolti durante il periodo scolastico, oppure in orari notturni o comunque percepiti da loro stessi come pericolosi. I settori dove lavorano i minori? La ristorazione (25,9 per cento), la vendita nei negozi (16,2), ma anche la campagna (9,1), i cantieri (7,8), online (5,7).

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Povertà e dispersione scolastica

“Le più recenti rilevazioni Istat hanno registrato un aumento della povertà assoluta minorile – si legge in una nota di Save The Children -. In assenza di interventi mirati, si rischia di produrre un ulteriore aumento del numero di ragazzi con meno di 16 anni coinvolti. È urgente agire su più fronti, dal contrasto alla povertà economica al sostegno all’offerta educativa e formativa, con un’azione delle istituzioni e di tutti gli attori. Inoltre, è fondamentale prestare particolare attenzione agli studenti in svantaggio socioeconomico per garantire il diritto allo studio”.

Le catene globali di fornitura

Anche se nessun Paese è indenne, ci sono due dimensioni in cui il lavoro minorile si manifesta: quella nazionale e quella importata attraverso le filiere globali di fornitura. “Pensiamo ai prodotti che arrivano da diversi Paesi – aggiunge Rosas -: il cacao dell’Africa occidentale e il cobalto che serve per costruire i nostri telefonini e che proviene dalla Repubblica democratica del Congo, solo per fare due esempi. Prodotti che noi consumiamo quotidianamente e che vengono fatti sfruttando il lavoro di bambini e ragazzi”.

In questa prospettiva è fondamentale l’applicazione della direttiva europea sulla due diligence, che prevede obblighi per le imprese in materia di sostenibilità ambientale e sociale, approvata un anno fa e che adesso è messa in discussione dal pacchetto Omnibus.

Responsabilità delle imprese

“La direttiva di aprile 2024 prevede che le aziende siano responsabili fino in fondo, negli appalti e nei subappalti, del rispetto dei diritti umani e dell’ambiente lungo tutta la filiera, quindi anche delle violazioni in tema di lavoro minorile – spiega Cristiano Maugeri di Action Aid, portavoce di Impresa2030, campagna della società civile italiana che ha accompagnato il processo di sensibilizzazione e di approvazione della normativa -. Adesso con l’Omnibus si sta cercando di smantellare quegli obblighi facendo passi indietro”.

Bangladesh un ombelico del mondo

La direttiva è un elemento cruciale se si considera che soltanto in Bangladesh, capitale mondiale della fast fashion, più di un milione di minori tra i 5 e i 17 anni è coinvolto in lavori pericolosi, secondo il Bangladesh Bureau of Statistics. Proprio qui un programma mirato di ActionAid ha permesso a Jui, una ragazzina di 13 anni, di lasciare la fabbrica e ritornare in classe, dopo un anno trascorso a cucire abiti per poco più di 3 euro al giorno.

A Dacca e Chittagong la Ong promuove borse di studio, programmi di recupero scolastico, percorsi di formazione e sostegno al reddito per le famiglie. “Ma non basta, serve un cambio di passo a livello globale – conclude Maugeri -. È necessario che le imprese rispettino i diritti umani e ambientali lungo tutta la filiera, per un’economia giusta e rispettosa di tutti”.



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