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Digital Networks Act: come l’Europa immagina il futuro delle Telco


Nel quarto trimestre del 2025, la Commissione Europea presenterà la proposta di regolamento sul Digital Networks Act (DNA), destinato non tanto a essere una semplice riforma dell’attuale Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (CECE) del 2018, ma a sancirne, almeno formalmente, il definitivo superamento.

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Al fine di informare la sua attività legislativa, il 6 giugno la Commissione ha avviato un Call for evidence che resterà aperta fino all’11 luglio per ricevere opinioni su come affrontare gli ostacoli alle attività transfrontaliere, stimolare l’innovazione e aumentare gli investimenti nel settore delle comunicazioni elettroniche in Europa.

Tlc europee: le aree di intervento del Digital Networks Act (DNA)

Infatti, la regolazione delle telecomunicazioni europee è stata, sotto molti aspetti, una storia di successo, conseguendo i suoi obiettivi in termini di benefici per i consumatori e concorrenza nel settore, a seguito della liberalizzazione avvenuta 30 anni fa. Tuttavia, come evidenziato nel White paper della Commissione ‘How to master Europe’s digital infrastructure needs?’, così come, più in generale, nel Report Letta e nel Report Draghi, il settore della connettività dell’UE è ancora frammentato lungo i confini nazionali, impedendo a utenti finali e operatori europei di cogliere appieno il potenziale del mercato unico; inoltre, gli ostacoli all’operatività transfrontaliera, associati alla insufficiente crescita delle imprese in termini di scala, rallentano il dispiegamento di reti ad altissima capacità e la trasformazione tecnologica verso infrastrutture e servizi basati su cloud.

A questo fine, il DNA mira a incentivare tutti gli attori del mercato a innovare e investire nelle tecnologie di connettività avanzata e a promuovere un ecosistema di infrastrutture di connettività e calcolo adeguato all’epoca della quarta rivoluzione industriale e dell’intelligenza artificiale. In coerenza e continuità con il White paper, sono state anticipate ampie linee sostanziali di intervento su varie opzioni di policy su cui il regolamento chiede input e su cui andrà a modificare il quadro legislativo esistente:

  • Semplificazione: riduzione degli oneri di compliance, codificazione e armonizzazione dei diversi atti normativi che regolano il settore, semplificazione ulteriore del regime autorizzatorio;
  • Gestione dello spettro radio: armonizzazione delle procedure a livello europeo, durata maggiore delle concessioni per l’utilizzo dello spettro radio, adozione di meccanismi più flessibili che possano incentivare lo sharing dello spettro, e la definizione dei un level playing field per le costellazioni satellitari che vogliono accedere il mercato UE;
  • Level playing field all’interno dell’ecosistema allargato: dare poteri alle NRAs per facilitare la cooperazione fra i vari attori nell’ecosistema, chiarire le regole dell’Open Internet regulation relative ai servizi innovativi;
  • Regolazione dell’accesso: applicare la regolazione dell’accesso ex-ante dopo avere considerato l’applicazione di misure simmetriche – ad esempio quelle previste dal Gigabit Infrastructure Act (GIA), semplificare e aumentare la certezza delle condizioni di accesso, introducendo un “prodotto di accesso” pan-europeo con caratteristiche tecnico-economiche pre-definite (ossia definite dal quadro legislative e/o a livello centralizzato), accelerare lo switch-off della rete in rame attraverso la definizione;
  • Governance istituzionale: prevedere un maggiore accentramento decisionale per rinforzare la dimensione del marcato unico, attraverso un rafforzamento del ruolo operativo del BEREC, dell’ufficio del BEREC e del Radio Spectrum Policy Group (RSPG)

Nonostante l’evidente intento di salto di scala e ambizione, molti aspetti del prospettico costrutto legislativo saranno basati sulla base concettuale dei principi cardine già presenti nell’attuale quadro regolatorio – in primis i principi di neutralità tecnologica, proporzionalità della regolazione ed empowerment dei consumatori, reinterpretandoli alla luce delle trasformazioni tecnologiche e di mercato intervenute negli ultimi anni.

Per continuare ad essere un successo, è infatti necessario che il nuovo quadro regolatorio declini i suoi principi fondamentali ai mutati contesti economici, tecnologici e geopolitici. Si tratta quindi di costruire un nuovo edificio regolatorio nuovo, adattato al mutato paesaggio, ma costruito su fondamenta consolidate.

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La forma e la sostanza del nuovo regolamento

La forma giuridica del nuovo quadro regolatorio scelta della Commissione è quella del regolamento anziché una direttiva — quest’ultima soluzione invece preferita dal Consiglio per ragioni comprensibili. La Commissione vuole infatti segnare un cambio di approccio volto ad affrontare una delle criticità più strutturali del mercato unico europeo, ossia la frammentazione normativa ed attuativa tra gli Stati membri. Come recentemente sottolineato anche nel Rapporto Letta, superare questa frammentazione è condizione necessaria per costruire una vera “autonomia strategica europea” nei settori chiave, tra cui quello delle reti digitali.

Del resto, lo strumento normativo del regolamento è quello usato da qualche anno nei mercati digitali (ad esempio per il Digital Markets Act, il Digital services Act, il Data Act, lo AI Act etc.) con cui la regolazione delle reti digitali andrà sempre più ad intrecciarsi. Questo avverrà non solo semanticamente – reti digitali per mercati e servizi digitali – ma anche in ragione dell’estensione del campo di applicazione del quadro normativo all’intero sistema delle reti e dei servizi abilitanti l’ecosistema digitale, così come annunciato dal White paper della Commissione.

L’obiettivo è quindi duplice: da un lato, armonizzare le regole e la loro applicazione, riducendo al minimo le divergenze nazionali; dall’altro lato, garantire una maggiore coerenza del nuovo quadro con l’intero sistema del diritto dell’economia digitale, in cui la regolazione delle reti digitali dovrà andare ad inserirsi pienamente.

Oltre al necessario coordinamento esterno, il DNA dovrebbe tuttavia andare ad “internalizzare” tutta una serie di atti normativi attualmente esterni al Codice europeo, i.e., il Regolamento BEREC, la Direttiva e-privacy (probabilmente abrogandola), il Gigabit Infrastructure Act, probabilmente alcuni aspetti del 5G toolbox e direttive NIS e auspicabilmente la Open Internet Regulation.

In questo contesto, l’obiettivo non sarà più solamente regolare il mercato per passare dal monopolio alla concorrenza, passaggio peraltro ormai chiaramente avvenuto, ma primariamente dotare l’Europa delle infrastrutture digitali di cui ha bisogno (domanda primaria di policy espressa nel White Paper), aumentando l’efficienza dinamica e la competitività del sistema e mantenendo sostenibili ed effettive dinamiche concorrenziali. Come sottolineato nel Rapporto Draghi, infatti, la competitività del continente è minacciata da livelli di investimento insufficienti, costi operativi elevati, e una ridotta scala d’impresa, e una dipendenza crescente da fornitori extraeuropei.

Questo cambiamento di focus inevitabilmente inietterà elementi di politica industriale nel sistema della regolazione. Tale esito è tutt’altro che atipico nella regolazione delle industrie a rete e dei servizi di pubblica utilità. Tuttavia, nelle comunicazioni elettroniche è stato a lungo marginalizzato nell’intento di perseguire una regolazione ispirata solamente ai principi ed agli strumenti del diritto della concorrenza.

Questa evoluzione plausibilmente ricondurrà la relazione fra regolazione e tutela della concorrenza ad una più chiara e netta complementarità, non solo formale (sempre giuridicamente mantenuta), ma anche sostanziale, limitando quindi gli ambiti di sostanziale di sovrapposizione e sostituibilità.

Un ulteriore passo convergente verso la neutralità tecnologica

Il primo principio che continuerà a guidare il nuovo impianto regolatorio è quello della neutralità tecnologica, già alla base del passaggio dalle reti di telecomunicazione alle comunicazioni elettroniche. Tale principio ha consentito a suo tempo di regolare in modo unitario tutte le reti, indipendentemente dalla tecnologia impiegata (fibra, rame, wireless, satelliti) e dal tipo di informazione trasportata (voce, dati, video).

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Con il DNA si compirà un ulteriore salto concettuale: la neutralità tecnologica sarà estesa alla convergenza infrastrutturale ed economica dell’intero ecosistema digitale. Non si tratterà più di disciplinare reti separate da rigide (ed inattuali) distinzioni verticali tra mercati al dettaglio, ma di riconoscere l’emergere di reti interconnesse ed interoperabili di varia natura — fisiche, logiche, software-defined e distribuite — dedicate alla trasmissione e all’elaborazione dei dati, su cui si innesta una gamma sempre più convergente (e non sempre economicamente separabile) di servizi digitali.

È questo uno dei punti centrali messi in evidenza nel White Paper della Commissione, che sottolinea come “questo nuovo modello di fornitura di reti e servizi si basa non solo sui tradizionali fornitori di apparecchiature, reti e servizi di comunicazioni elettroniche, ma anche su un ecosistema complesso che include fornitori di cloud, edge, contenuti, software e componenti, tra gli altri, in cui i confini tradizionali tra questi diversi attori sono sempre più sfumati”.

In tale contesto, operativamente, diventa indispensabile superare l’attuale approccio che distingue tra reti pubbliche e private di comunicazione elettronica sulla base del tipo di servizi offerti al dettaglio, applicando i generali obblighi regolatori solo alle prime. Il DNA dovrebbe quindi andare a ridefinire i concetti regolatori di accesso e interconnessione, per adattarli a una realtà in cui servizi e infrastrutture sono articolati su catene del valore multi-attore, spesso orizzontali e non più solo verticalmente orientate.

Questo processo può essere intrapreso, riconoscendo che:

  • l’accesso, in un’ottica economica e quindi regolatoria, non è più solo fisico ma anche logico e funzionale. Ad esempio, servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero non possono essere trattati in modo distinto da altri access-seekers alla rete, soprattutto quando forniscono servizi sostituibili;
  • l’interconnessione, come concetto regolatorio, non può più essere limitata alle sole reti pubbliche di comunicazione elettronica — per come attualmente definite — ma deve estendersi a tutte le reti che offrono servizi al pubblico. Ciò vale ad esempio per le CDN delle piattaforme digitali o per le architetture proprietarie integrate che veicolano contenuti e applicazioni digitali.

Nel nuovo impianto del DNA, queste definizioni dovranno essere aggiornate e declinate per cogliere le molteplici forme di complementarità e sostituibilità economica e funzionale tra operatori tradizionali e nuovi attori nell’esteso ecosistema digitale. In altri termini, sarà necessario spostare il focus regolatorio dal perimetro infrastrutturale alla funzione economica svolta, al fine di garantire neutralità competitiva, interoperabilità e tutela effettiva dell’utente.

La declinazione del principio di proporzionalità della regolazione come “rete di sicurezza”

Accanto alla neutralità tecnologica, un secondo pilastro del nuovo impianto normativo, anch’esso basato sui principi della regolazione esistenti, sarà l’applicazione adattiva del principio di proporzionalità della regolazione, in un contesto in cui la concorrenza è ormai pervasiva nella stragrande maggioranza dei mercati.

La regolazione asimmetrica ex ante – già oggi applicabile solo quando il diritto della concorrenza generale si rivela insufficiente a risolvere il problema di mercato, e in presenza di un operatore con significativo potere di mercato (SPM) – nel DNA dovrebbe essere riformulata come una “rete di sicurezza”. Tale rete deve essere attivabile nel caso in cui l’autorità nazionale di regolazione accerti in concreto, attraverso analisi di mercato, l’esistenza di un bottleneck strutturale che ha prodotto problemi concorrenziali a valle. Il rimedio a tale situazione, in continuità con l’approccio esistente, dovrebbe essere quello di imporre il minimo (in termini sia quantitativi sia qualitativi) set di rimedi per risolvere lo specifico problema rilevato.

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Questo spostamento logico, che comporta una sorta di inversione dell’onere della prova, è parzialmente realizzabile anche con l’attuale quadro regolatorio, ad esempio riducendo a zero il numero dei mercati rilevanti raccomandati dalla Commissione, nei quali è presunta la necessità di una regolazione in caso di SPM. Tale approccio avrà come effetto anche un rafforzamento del coordinamento verticale, con un ampliamento dei poteri di intervento vincolante della Commissione sulle decisioni nazionali, al fine di garantire maggiore coerenza e armonizzazione a livello europeo.

In questa prospettiva, l’approccio dal DNA si presenterebbe come un’implementazione equilibrata della raccomandazione formulata nel rapporto Draghi, che invita a preferire l’intervento ex post rispetto a quello ex ante. Sebbene questa posizione sia stata, in alcuni casi, interpretata come un invito ad abbandonare del tutto la regolazione settoriale in favore della sola attuazione del diritto antitrust, una lettura più costruttiva ed equilibrata suggerisce invece una riformulazione della regolazione: più selettiva, in stretta attuazione del principio di proporzionalità e dinamicamente coordinata, in modo complementare, al diritto della concorrenza.

All’interno di questo scenario, il ruolo della regolazione simmetrica — recentemente rafforzata con il Gigabit Infrastructure Act – è probabilmente destinato ad assumere una funzione più rilevante. In risposta alla riduzione della regolazione asimmetrica (applicata ai soli operatori SPM), la regolazione simmetrica diventa uno strumento fondamentale per promuovere condizioni di accesso equo e concorrenziale, soprattutto, alle infrastrutture civili di tutti gli attori.

Gli interessi del consumatore cha danno forma al mercato

L’approccio proporzionale del nuovo DNA non dovrà riguardare soltanto la regolazione pro-concorrenziale, dal lato dell’offerta, ma trovare piena applicazione anche nella disciplina dei diritti dei consumatori. Si prefigura infatti una progressiva riduzione della normativa settoriale verticale a favore dell’applicazione della esistente disciplina orizzontale (e.g., codice del consumo), applicabile trasversalmente a tutti i settori.

Le disposizioni settoriali resterebbero solo dove esiste una specifica esigenza tecnico-economica non soddisfatta dal quadro consumeristico generale (ad esempio la portabilità del numero) e dove il regolatore accerti che l’evoluzione concorrenziale dei mercati non possa portare le imprese a competere e differenziarsi in termini di prestazioni, assistenza e condizioni contrattuali.

Questa transizione normativa risponde a una duplice esigenza: da un lato, semplificare la regolazione, riducendo i costi di compliance per le imprese e l’asimmetria informativa per gli utenti, che spesso devono orientarsi tra regole eterogenee da settore a settore; dall’altro, armonizzare le tutele residue (rispetto alla disciplina orizzontale) applicandole in modo trasversale a tutti gli attori dell’ecosistema digitale. Peraltro, si andrà così a ulteriormente semplificare il quadro normativo anche attraverso una limitazione della possibilità per i singoli Stati di aggiungere alle norme consumeristiche di derivazione europea ulteriori norme nazionali- pratica molto diffusa in Italia, che oltre a creare una frammentazione del quadro regolatorio, spesso pongono gli operatori nazionali su un piano di svantaggio.

 

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Questo approccio deve essere accompagnato un ripensamento profondo della logica della regolazione dal lato della domanda, superando un approccioche vede nel consumatore solo una parte debole da proteggere, in favore di un modello in cui l’utente è un soggetto attivo che, attraverso le sue scelte, disciplina le imprese e contribuisci a dar forma al mercato: un vero empowerment responsabile del consumatore.

Si dovrebbe quindi abbandonare una tutela del consumatore fatta solo di standard normativi di qualità minima, che – fungendo da punto focale di qualità (minima) – inevitabilmente si accompagnano a strategie d’impresa basate sulla sola concorrenza di prezzo. Sarebbe necessario introdurre invece un approccio di empowerment che valorizzi la qualità come variabile competitiva osservabile, ad esempio, anche attraverso il perfezionamento di meccanismi di comparazione indipendenti (es. portali di confronto basati su AI) e strumenti di trasparenza rafforzata sulla qualità del servizio.

Questi incentivi verso una maggiore concorrenza sulla qualità da parte delle imprese saranno cruciali anche per evitare che, all’interno dell’esteso ecosistema digitale, i servizi di rete diventino sempre più mere commodity con le conseguenti dinamiche di redistribuzione del valore verso mercati attigui, in primis, quelli dei servizi digitali dominati dalle grandissime piattaforme.

Verso una “ne(x)t” neutrality

Uno strumento di tutela dell’utente finale, nel quadro normativo europeo, è anche la neutralità della rete, concepita con l’obiettivo di garantire un accesso non discriminatorio ai contenuti e ai servizi disponibili su Internet. Per questa ragione, l’attuale Regolamento europeo sull’Internet aperto tiene solo marginalmente in considerazione le dinamiche commerciali e competitive fra i vari attori dell’ecosistema digitale.

In coerenza con i principi descritti, il DNA dovrebbe invece andare ad adottare regole di neutralità della rete che prendano in considerazione anche e soprattutto i reali rapporti fra i vari attori dell’ecosistema digitale esteso, ossia i fornitori di servizi di accesso ad Internet (ISP) ed i fornitori di contenuti ed applicazioni (CAP). Questa ridefinizione è resa necessaria dai rilevanti cambiamenti tecnologici e di mercato avvenuti negli ultimi anni all’interno dell’ecosistema digitale, che dovrebbero portare verso:

  • l’adozione, anche in questo contesto, del principio di proporzionalità (e non su un inefficiente principio di precauzione che preclude a priori una grande varietà di strategie tecniche e commerciali agli ISP senza tenere in alcuna considerazione gli effetti reali);
  • l’assunzione di una prospettiva sistemica di un ecosistema digitale integrato, prendendo in considerazione sia le esistenti dinamiche concorrenziali fra gli ISP sia la posizione di mercato dei principali CAP -in termini di potere negoziale (si pensi alle le grandissime piattaforme digitali) e nella loro capacità di influenzare l’esperienza internet degli utenti finali (ad esempio le CDN sono uno strumento tecnologico per prioritizzare, a pagamento, alcuni contenuti rispetto ad altri).

In questa prospettiva, operativamente, la “ne(x)t” neutrality” potrebbe:

  • superare la rigidità dell’impianto attuale, adattandosi alle differenti funzioni e ruoli svolti dai diversi attori, magari differenziando le regole tra consumatori ed utenti business in modo da abilitare modelli differenziati, in particolare per applicazioni business-critical, senza compromettere l’accesso equo per gli utenti finali;
  • adottare un’interpretazione più flessibile delle disposizioni, che tenga conto dell’evoluzione tecnologica e della diversificazione dei servizi digitali, soprattutto (ma non solo) per lo slicing del 5G;
  • consentire agli operatori di rete di differenziare la qualità del servizio offerto, ad esempio attraverso servizi premium o offerte di zero-rating, a condizione che sia l’utente finale a scegliere consapevolmente tale differenziazione;
  • introdurre, quindi, anche in questo contesto, una sorta di rete di sicurezza, ossia un “prodotto ancora” di accesso ad Internet che sia agnostico rispetto alle applicazioni, che tutti gli utenti abbiano la possibilità di scegliere.

È anche questa un’impostazione di empowerment del consumatore, in coerenza con l’approccio generale di regolazione dal lato della domanda, che abiliterebbe una concorrenza sulla qualità e l’innovazione e permetterebbe di bilanciare la libertà di scelta degli utenti con la libertà economica e commerciale degli operatori. Uno degli obiettivi primari del nuovo quadro regolatorio dovrà, infatti, essere quello di abilitare le imprese ad innescare in modo pieno i processi di innovazione per la diffusione di reti differenziate (cloud-edge, 5G) e per facilitare la diffusione di servizi digitali con aumentate esigenze qualitative (es. servizi critici, sanità digitale, industria 4.0).

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Un’obiezione che viene spesso sollevata rispetto all’ipotesi di rendere più flessibile il quadro di regole che governano la net neutrality riguarda la presunta situazione di monopolio da “terminazione” di cui godrebbero gli ISP. In analogia con la posizione che storicamente è stata riscontrata nella terminazione delle chiamate vocali, ciò consentirebbe loro di sfruttare indebitamente questo potere monopolistico a danno dei consumatori e/o dei CAP che accedono alla rete. Tuttavia, questa analogia è tecnicamente e concettualmente fuorviante: nel caso della terminazione voce, il problema concorrenziale nasceva dal fatto che l’utente chiamante era obbligato a sostenere un prezzo stabilito unilateralmente dall’operatore che riceveva la chiamata, generando così una esternalità economica che l’utente (chiamante e pagante) non poteva controllare. Al contrario, nel caso dell’accesso a Internet, l’utente è pienamente in grado di reagire a scelte del proprio ISP che impattino negativamente sulla qualità del servizio, semplicemente cambiando di operatore, proprio in ragionedelle forti dinamiche concorrenziali attive nell’offerta di servizi di accesso a Internet.

Una strategia per gli investimenti e la competitività: regolazione e politica industriale

Nel quadro regolatorio europeo, gli investimenti nelle reti sono stati a lungo considerati solo come un mezzo per promuovere la concorrenza, di tipo infrastrutturale. Con le Raccomandazioni del 2010 e del 2013 questo approccio ha iniziato a cambiare, guardando alla necessità di remunerare gli investimenti nelle nuove reti come un fattore che dovesse essere considerato nella regolazione dell’accesso. Tuttavia, solo con il Codice del 2018, la promozione di investimenti in reti ad altissima capacità è diventato un obiettivo regolatorio autonomo.

Il DNA rappresenterà probabilmente un ulteriore passo in questa direzione di graduale ridefinizione della relazione tra concorrenza e investimenti, dove la prima andrà a rappresentare (non in generale, ma nella relazione fra i diversi obiettivi regolatori) uno strumento per abilitare investimenti sostenibili ed efficienti. È assolutamente vero, come dice Draghi nel suo report, che la competitività senza concorrenza non esiste, ma questa deve essere una concorrenza sostenibile, che tenga conto dell’effettiva capacità degli operatori di investire e innovare, evitando quindi una eccessiva ed inefficiente frammentazione dell’offerta nel mercato e della scala delle imprese.

In tale prospettiva, coerentemente con la visione della Digital Decade, così come recentemente integrata ed ampliata dal Competitiveness Compass, l’obiettivo pivotale sarà quello di dotare l’Europa delle infrastrutture digitali di cui ha urgente bisogno, mantenendo sostenibili dinamiche concorrenziali. Gli obiettivi regolatori congiunti alle sfide di competitività richiedono quindi un approccio integrato in cui la politica industriale vada esplicitamente a sottendere le strategie regolatorie di settore.

In questo senso, come accennato precedentemente, attraverso una governance proporzionale, neutrale e abilitante, l’azione regolatoria dovrà fondarsi su obiettivi di medio-lungo termine ed adottare una prospettiva di tale durata anche per la definizione dell’interesse dei consumatori e dei cittadini.

Proprio in un’ottica integrata, la politica industriale dovrà quindi andare ad imporre cogenza regolatoria a politiche strutturate di stimolo alla domanda, per cercare di porre rimedio al molto lento take-up effettivo dei servizi sulle nuove reti da parte di utenti e di imprese. Come noto, questa dinamica produce un duplice problema: da un lato, infatti, solo con lo sviluppo pieno della domanda si potrà creare un adeguato ritorno sugli investimenti che crei incentivi adeguati per investimenti privati nelle tecnologie maggiormente innovative; dall’altro lato, il semplice dispiegamento di reti FTTH e 5G stand-alone non si traduce automaticamente in valore economico sulla società e sui mercati, se non in concomitanza con l’uso produttivo e diffuso di tali tecnologie avanzate.

Infine, un’altra componente della regolazione pro-industriale dovrà necessariamente essere la riforma della gestione dello spettro elettromagnetico. Il Rapporto Letta, il rapporto Draghi ed il Libro Bianco della Commissione convergono su una posizione critica verso l’attuale impostazione basata sulla massimizzazione degli introiti fiscali, dove le aste sono spesso disegnate per creare scarsità artificiale e aumentare i prezzi più che momenti per valutare l’efficienza dinamica dell’utilizzo della risorsa. La prevedibilità e la stabilità delle condizioni d’uso dello spettro frequenziale, così come una armonizzazione a livello europeo, sono peraltro fondamentali per attrarre capitali privati e stimolare investimenti a lungo termine.

 

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Quindi, nonostante il difficile confronto con il Consiglio e gli stati membri, saranno probabilmente proposti dalla Commissione:

  • un allungamento della durata delle licenze (ad es. almeno 20 anni) per garantire continuità strategica e maggiori certezze di ritorno sul capitale investito;
  • la preferenza per criteri armonizzati di beauty contest incentrati su impegni di copertura e qualità del servizio, anziché sul prezzo;
  • un’armonizzazione delle procedure a livello UE, per evitare asimmetrie tra Stati membri e facilitare la creazione di un vero mercato unico digitale.
  • incentivi per la creazione di un mercato secondario dello spettro e l’introduzione di principi effettivi di tipo use-it-or-lose-it;

Il DNA di un’Europa digitale coesa e competitiva

L’analisi alla base di questo contributo ha preso le mosse dall’apertura della consultazione da parte della Commissione in vista dell’adozione del Digital Network Act. Tuttavia, nonostante siano note in generale le linee di intervento, le opzioni di policy e regolatorie ancora in campo sono molteplici, soprattutto in considerazione del fatto che i co-legislatori vorranno sicuramente andare a ricoprire un ruolo non secondario.

In questo senso, il presente contributo più che anticipare i dettagli della sostanza del DNA, che ancora sono caratterizzati da molta incertezza, partendo dalle linee intervento generali conosciute, ha inteso proporre una visione coerente e sistemica di ciò che verosimilmente il quadro regolatorio potrebbe e/o dovrebbe diventare. Ossia, uno strumento di policy, capace di rispondere in modo credibile ai cambiamenti tecnologici e di mercato, così come alle sfide attuali dell’ecosistema digitale europeo nel contesto globale.

La costruzione di questo impianto richiede che i principi fondamentali della regolazione siano declinati in modo dinamico in risposta alle evoluzioni di mercato e tecnologiche, attraverso una regolazione (i) adeguata al nuovo contesto, ma fondata sui principi condivisi e consolidati; (ii) proporzionata nei modi che non sovra-limitino la libertà delle imprese; (ii) neutrale nei fini, ossia tecnologicamente e concorrenzialmente agnostica; (iii) abilitante negli effetti, favorendo quindi investimenti, innovazione e adozione tecnologica.

Nei fatti, il Digital Networks Act non dovrà soltanto essere una riforma del quadro regolatorio, ma rappresentare la spina dorsale ed il DNA (in senso genetico) della politica digitale europea, capace di tenere insieme in modo sistemico obiettivi diversi – in passato trattati spesso in modo non coordinato – ma singolarmente ineludibili: investimenti, innovazione, concorrenza, sicurezza e autonomia tecnologica e gli interessi dei cittadini-utenti.

Infine, chiudendo il cerchio, il DNA dovrà rappresentare una risposta alla sfida di coesione. Troppe sono ancora le disparità tra Stati membri in termini di copertura, qualità dei servizi, capacità amministrativa, domanda digitale e modelli industriali. La nuova normativa deve diventare il catalizzatore per un livellamento verso l’alto, finalizzato a sostenere una trasformazione digitale coesa e competitiva per l’Europa del futuro.



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