Innovazione, crescita, miglioramento continuo sono gli obiettivi che sentiamo in tutte le aziende e che i manager devono impegnarsi per raggiungere: ma cosa si nasconde dietro queste parole chiave? Non c’è innovazione, crescita o miglioramento senza un’attenta analisi del contesto, del percorso fatto e dei segnali deboli che possono presentare gli accadimenti del prossimo futuro. Le organizzazioni aziendali sono chiamate ad innovare per rimanere sul mercato, ma di che tipo di innovazione stiamo parlando?
Quello che i dirigenti ci chiedono sono strumenti, ricerche, dati e trend per lavorare, parallelamente, sull’innovazione organizzativa e su un altro livello di innovazione nel quale nuove idee, processi e pratiche, che i manager utilizzano per migliorare le prestazioni dell’organizzazione, assumano un valore strategicamente più rilevante che in passato, ovvero l’innovazione manageriale. Così, come la teoria organizzativa giunta fino ad oggi poco si presta a interpretare le mutevoli e fluide esigenze delle aziende attualmente impegnate in continue evoluzioni, allo stesso modo l’innovazione manageriale richiede nuovi apporti, nuovi contributi e nuovi modelli interpretativi per divenire realmente efficace. In sostanza, sia l’innovazione manageriale che quella organizzativa devono contribuire alla creazione di organizzazioni più agili e flessibili, in grado di utilizzare in modo efficace la conoscenza e le informazioni per creare e mantenere un vantaggio competitivo per sé e per l’intero ecosistema nel quale sono attive.
Mentre però molti studiosi sono impegnati nel delineare nuovi modelli organizzativi, spesso traendo spunti più o meno virtuosi da teorie già note, poco si è ancora fatto nell’ambito dell’innovazione manageriale, le cui teorie serberebbero cristallizzate a tal punto da ritenersi quasi inconfutabili, nonostante l’evidenza imponga riflessioni che interrompano la linearità nell’evoluzione delle teorie esistenti. Le teorie sull’innovazione manageriale devono evolversi per affrontare le sfide e le opportunità dell’attuale ambiente economico e sociale, inclusa la crescente complessità, la sostenibilità, la responsabilità sociale e la digitalizzazione. Per affrontarle efficacemente, è fondamentale riconoscere l’importanza di un’innovazione che abbracci sia gli aspetti organizzativi che quelli manageriali.
Il management, così come lo conosciamo, ha raggiunto i limiti della sua migliorabilità e non è ancora riuscito a cavalcare una nuova curva. Uno studio della curva a S dimostra che è fondamentale giocare d’anticipo sull’inevitabile declino. È giunta l’ora di cavalcare una nuova curva a S, è giunta l’ora di innovare il management. Con questo non vogliamo dire che il management, così come lo conosciamo, non abbia funzionato, ma che così come siamo arrivati alla Industry 5.0 anche il management deve compiere un passo avanti. Crediamo che non esista il modello di management perfetto, ma che esista un management situazionale. Il modello giusto è quello più adeguato a seconda delle decisioni da prendere, del livello di competenza dei collaboratori, delle dimensioni aziendali e della cultura dell’impresa. La scelta del modello di management da adottare deve essere fatta basandosi sulla maturità dei collaboratori e sulla architettura manageriale complessiva. In accordo con quanto affermato da Julian Birkinshaw – professore della London Business School – il miglior modello di management dipenderà sia dalla maturità dei collaboratori sia dalla architettura manageriale complessiva. La scelta inerente alla miglior architettura manageriale comprende 3 step fondamentali: 1) Capire; 2) Valutare; 3) Sperimentare.
Cfmt – Centro di Formazione Management del Terziario – insieme ad Akron e all’Associazione Italiana di Analisi Dinamica dei Sistemi (Aiads) ha creato il nuovo Osservatorio Omit: lo scopo principale è quello di aiutare le aziende del terziario a costruire organizzazioni “human centric” in grado di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo attraverso l’innovazione manageriale. Questo progetto di ricerca sull’innovazione manageriale delle aziende del terziario in Italia è stato condotto dai ricercatori di Omit in partnership con il prof. Julian Birkinshaw. La ricerca è durata un anno ed è stata svolta attraverso il coinvolgimento dei dirigenti nella compilazione di una survey.
La survey è articolata in 36 affermazioni riguardanti delle iniziative di management innovation: il campione è composto da una maggioranza di uomini (78%); l’età anagrafica si concentra principalmente nella fascia oltre i 50 anni (71%). La funzione aziendale più rispondente è quella della Direzione Generale (38%) mentre la funzione Risorse Umane, che dovrebbe essere promotrice dell’innovazione manageriale, è presente con il 6%. L’analisi aggregata delle risposte date evidenzia un livello medio complessivo di innovazione manageriale attuato nelle 3 dimensioni (modello di management, processi manageriali e struttura organizzativa); questo valore indica un livello medio-basso di innovazione manageriale nelle aziende rispondenti. All’interno di tutti i valori, è interessante evidenziare i due estremi, ovvero le voci che hanno ottenuto il punteggio più alto e più basso circa il livello di innovazione: il più alto è stato ‘Struttura e organizzazione dei gruppi di Lavoro’; mentre il più basso ‘La riduzione del peso della burocrazia’, vale a dire il peso di regole e procedure nello svolgimento del lavoro.
Questo dato evidenzia quanto i cambiamenti della struttura e dell’organizzazione del lavoro siano abbastanza frequenti, riflettendo le necessità legate alla capacità dell’azienda di rispondere alle sfide del business. Tuttavia, una sorta di resistenza sembra essere presente nell’andare a ridurre ciò che potrebbe costituire un vincolo all’innovazione manageriale stessa e un rallentamento alla sua messa in pratica: il peso della burocrazia.
Siamo convinti che lo scopo fondamentale del management non possa essere quello di conseguire gli obiettivi aziendali o di massimizzare il profitto. Crediamo che lo scopo principale del management e dei manager non sia quello di fare le cose bene, o di saper gestire la complessità, ma di fare di tutto per permettere alle persone di lavorare al meglio nel massimo rispetto di tutti gli stakeholder. Se questo viene fatto, i risultati saranno sicuramente una naturale conseguenza.
*Direttore di Cfmt
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