Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

su cosa si decide e come si vota al referendum


Trasforma il tuo sogno in realtà

partecipa alle aste immobiliari.

 

Sono cinque i referendum per i quali gli italiani sono chiamati al voto domani, domenica 8 giugno, e lunedì 9, rispettivamente dalle 7 alle 23 e dalle 7 alle 15. Quattro quesiti, promossi dalla Cgil, riguardano la disciplina del lavoro. Il quinto quesito è sulla cittadinanza ed è promosso da un Comitato formato da centinaia di associazioni e presieduto da Riccardo Magi, Sonny Olumati e Deepika Salhan.

I referendum sono soggetti a quorum, per essere validi devono quindi registrare la partecipazione del 50% +1 degli aventi diritto. Per la prima volta è ammesso il voto per i fuori sede. Può votare in un comune diverso da quello di residenza chi per motivi di studio, lavoro o cure mediche è domiciliato da almeno tre mesi in un’altra provincia e ne ha fatto richiesta entro il 5 maggio. Dall’estero possono invece votare gli elettori iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) e gli italiani temporaneamente all’estero per almeno tre mesi per lavoro, studio o cure mediche, e i familiari con essi conviventi all’estero, che ne hanno fatto richiesta entro il 7 maggio. Ii partiti di centrodestra non partecipano al voto, salvo la premier Giorgia Meloni che andrà alle urne ma senza ritirare le schede (la qual cosa equivale all’astensione); Pd (salvo l’area riformista) e Avs sono per 5 sì, M5s dice sì sul lavoro e lascia libertà di coscienza sulla cittadinanza, Iv e Azione invece difendono le norme del Jobs act che si vorrebbero abrogare. Ecco in dettaglio su cosa si è chiamati a scegliere.

Primo quesito (scheda verde): licenziamenti e reintegro nelle grandi imprese

Il primo dei quattro referendum sul lavoro, promossi dalla Cgil, intende intervenire – chiedendone la cancellazione – sulla disciplina dei licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotto nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi, applicata a chi è stato assunto dal 7 marzo 2015 in imprese con oltre 16 dipendenti. Si tratta della nuova tipologia di contratto che fissa diverse soglie di indennizzo economico, con l’aumentare dell’anzianità di servizio – le tutele crescenti – passando da un minimo di 6 mesi fino ad un massimo di 36 mesi. La norma attuale, invece, ha tolto il reintegro per la genericità dei casi e anche per alcuni licenziamenti illegittimi. La possibilità che il giudice preveda il rientro al lavoro è comunque rimasta anche oggi nei casi di licenziamento discriminatorio e in specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Il punto su cui andare a decidere è tra la flessibilità che un’azienda deve avere per promuovere sviluppo e lavoro e la tutela che va garantita al lavoratore per dargli certezze per il futuro.

Votando sì, in sostanza, si chiede di prevedere il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto di lavoro. I contrari, invece, ritengono che cancellando le norme previste dal Jobs Act si torni al passato (la legge Fornero), irrigidendo il mercato del lavoro. In caso di licenziamento individuale, cioè, si tornerebbe a un indennizzo tra 12 e 24 mensilità (anziché i 36 previsti per oggi), nei licenziamenti collettivi illegittimi ci sarebbe il reintegro.

Secondo quesito (scheda arancione): tutele e piccole imprese

Il quesito, promosso dalla Cgil, riguarda le aziende che occupano meno di 16 dipendenti. In particolare, chiede la cancellazione del tetto all’indennità dei licenziamenti: in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto di lavoro non c’è mai il reintegro.

Prestito personale

Delibera veloce

 

In caso di vittoria dei Sì sarebbe il giudice a stabilire l’indennizzo, con il rischio che possa essere più alto e dunque non sostenibile per una piccola impresa. Secondo chi è contrario al quesito, la cancellazione del tetto dei 6 mesi agli indennizzi delle piccole imprese rischierebbe di rendere imbrigliato il mercato del lavoro: non ci sarebbe infatti una soglia di rischio per l’indennizzo da pagare in caso di licenziamento. Come nel primo quesito il dilemma è nel punto di equilibrio che va ricercato tra flessibilità delle imprese e tutela dei diritti di chi lavora. Per la Cgil si innalzerebbero invece le tutele per chi lavora e non ci sarebbe più una differenziazione tra il lavoratore della piccola impresa e quello della grande.

Terzo quesito (scheda grigia): contratti a termine

Il terzo dei quattro quesiti referendari mira a cancellare la possibilità di fare contratti a termine senza indicare causali per i primi 12 mesi. Di fatto incide sulle norme del Jobs Act, ma anche sugli interventi legislativi successivi. L’obbligo di causali per le assunzioni fino a 12 mesi, infatti, era stato eliminato nel 2015 con il Jobs Act del governo Renzi e poi reintrodotto nel 2018 con il decreto Dignità del governo Conte. L’ultima modifica è arrivata nel 2023 con il decreto Lavoro del governo Meloni, che ha escluso per i rinnovi e per le proroghe l’esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi e introdotto nuove causali per i contratti con durata compresa tra i 12 e i 24 mesi. Perciò quando la durata del contratto è inferiore all’anno, i proponenti vorrebbe fosse imposto l’obbligo ai datori di lavoro di indicare nel contratto il motivo che oggi non è richiesto, fatto che per la Cgil renderebbe il lavoro «più stabile e certo».

Il quesito insomma mira a limitare il ricorso ai contratti a termine rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato, ma potrebbe limitare le opportunità di lavoro in particolare per i giovani. Ecco perché i contrari sostengono che la norma farebbe tornare indietro nel tempo, ingessando un meccanismo che da una parte consente flessibilità per alcune tipologie di lavori (come quelli stagionali) e dall’altro rappresenta una delle forme di ingresso per una stabilizzazione lavorativa.

Quarto quesito (scheda viola): infortuni, appalti e sicurezza

Il quarto quesito referendario interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro e riguarda il cosiddetto testo unico del 2008: si chiede di modificare le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. In realtà, in linea generale è sempre prevista la corresponsabilità solidale del committente, ma c’è un’eccezione che riguarda i danni conseguenti ai rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

La Cgil, che ha proposto il referendum, sostiene che abrogando le norme in essere ed estendendo la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro. Coloro che non sono a favore del quesito, invece, pongono l’accento sull’inadeguatezza dello strumento referendario per incidere su questa materia. In realtà l’obiettivo di una maggiore sicurezza potrebbe, come conseguenza, scoraggiare gli appalti.

Quinto quesito (scheda gialla): concessione della cittadinanza italiana agli stranieri

L’ultimo quesito riguarda la legge del 1992 che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Secondo le norme attuali, un adulto straniero, cittadino di un Paese che non fa parte dell’Unione Europea, deve risiedere legalmente dieci anni in Italia per poter chiedere la cittadinanza italiana. L’obiettivo del referendum abrogativo è ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. La riduzione a cinque anni del requisito di residenza potrebbe indirettamente semplificare anche il percorso per molti minori stranieri.

Votando Sì di fatto si ritiene che l’attuale legge sia sproporzionata e discriminatoria, perché richiede agli adulti extracomunitari il doppio degli anni di residenza rispetto alle regole in vigore prima del 1992. Accorciare i tempi a cinque anni, senza toccare gli altri criteri, come il reddito e la conoscenza della lingua, semplificherebbe un percorso oggi ostacolato dalla burocrazia avvicinando l’Italia agli standard di altri Paesi europei. Chi sostiene le ragioni del No ritiene, invece, che la legge attuale sia già adeguata e che l’Italia rilasci un numero troppo alto di cittadinanze rispetto ad altri Paesi.

Opportunità uniche acquisto in asta

 ribassi fino al 70%

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Aste immobiliari

l’occasione giusta per il tuo investimento.