Con l’ingresso del fondo di Tamagnini il gruppo Casalasco (marchi Pomì e De Rica) vuole raddoppiare i ricavi e investire almeno 100 milioni entro il 2030. Le leve? Le acquisizioni, la filiera integrata, la diversificazione
Ora c’è il basilico, a fianco del pomodoro. C’è un piano d’investimenti «da almeno 100 milioni entro il 2030, 40 milioni sulla filiera e il resto per le acquisizioni». C’è l’obiettivo «di raddoppiare i ricavi a oltre un miliardo in cinque anni». C’è il cantiere avviato per un progetto food-tech, formazione nell’agricoltura tecnologica, con il Politecnico di Milano e Tech Europe Foundation, «per fare il salto di qualità, rendere l’agricoltura made in Italy leader anche nella tecnologia» (e vuol dire razionalizzare risorse come l’acqua, monitorare il clima, prevenire i disastri ambientali e le malattie delle piante, ridurre i costi). Costantino Vaia, da oltre 20 anni amministratore delegato di Casalasco, guida il gruppo a impronta cooperativa dei marchi Pomì e De Rica, primo nella trasformazione di pomodoro in Italia con 850 mila tonnellate l’anno dichiarate, nella nuova fase: quella propedeutica alla quotazione in Borsa, «prevista entro cinque anni», dice Vaia, con l’azionista Fsi.
L’accordo vincolante e i nuovi soci
Il fondo guidato dal ceo Maurizio Tamagnini ha firmato un accordo vincolante il 31 marzo. Succede nell’azionariato del gruppo cremonese al fondo QuattroR, con un investimento annunciato che potrà superare i 200 milioni. L’operazione, che dovrebbe essere conclusa entro la fine di giugno, vede al 50,1% la Cooperativa Consorzio Casalasco e il restante 49,9% in capo prevalentemente a Fsi. Saranno fra gli azionisti anche Casalasco Holding (che raduna gli agricoltori), Idia Capital Investissement (il fondo di Crédit Agricole specializzato nell’agrifood) e la stessa QuattroR.
Con duemila dipendenti, cinque stabilimenti in Italia, 800 aziende agricole che conferiscono pomodori («Erano una sessantina all’inizio del 2000») e prodotti venduti in 74 Paesi, Casalasco nel 2024 ha fatturato 604 milioni (dai 630 del 2023) con un margine operativo lordo di 74 milioni (da 80) e un export del 67% (Germania in testa, poi l’area Francia-Olanda-Belgio e anche gli Usa. «Nonostante le condizioni climatiche avverse siamo in linea sostanziale con l’anno precedente — dice Vaia —. Prevediamo una crescita organica dei ricavi del 20-25% al 2027, l’obiettivo è più che raddoppiare nel 2030. In questi mesi le proiezioni sulla trasformazione sono positive. Stimiamo di trasformare oltre 850 mila tonnellate di prodotto fresco, contro le 600 mila dell’anno scorso, tornando ai volumi consueti». Procede anche il piano di acquisizioni: quattro quelle concluse dal 2022. Le ultime, quest’anno, sono Pummarò da Star (con Polpabella e Sugo Lampo) e Knorr-Tomato al gusto (sughi premium in Germania) da Unilever. Si aggiungono a due operazioni recenti, la società commerciale De Martino, forte in Giappone, rilevata da Casalasco al 70% nel 2024, ed Emiliana Conserve nel 2022, oggi controllata dal gruppo al 100%.
Il consolidamento del settore
«In tre anni abbiamo investito 80 milioni tra la filiera e le acquisizioni, sulle quali vogliamo mantenere questo ritmo — dice il ceo —. Quindici anni fa c’erano oltre 200 imprese nella trasformazione del pomodoro nel Paese, ora sono una settantina e quattro-cinque trasformatori fanno l’80% del prodotto del nord Italia. Il settore è in consolidamento, ci saranno sviluppi e noi vogliamo essere protagonisti. Avere i conferenti nell’azionariato permette uno sviluppo armonico, garantisce l’approvvigionamento. Seguiamo una crescita non solo industriale, anche agricola e per il made in Italy alimentare rafforzare la filiera è fondamentale». Casalasco ha presentato un progetto di circa 40 milioni per i fondi Pnrr, per lo sviluppo di tutte le fasi della propria filiera. Il piano coinvolge le aziende agricole associate, i principali vivai fornitori di piantine di pomodoro, gli stabilimenti di trasformazione del gruppo e l’Università Cattolica di Piacenza come partner scientifico. «Il bando è stato appena approvato», dice Vaia. È, appunto, il concetto di filiera integrata, che qui fa la differenza.
La filiera integrata, il basilico
«Gestiamo dal seme alla vendita, dal campo alla tavola — dice Vaia —. La filiera deve camminare tutta insieme, in modo coordinato. C’è un forte investimento sulla parte agricola e sull’innovazione per razionalizzare l’uso delle risorse, sviluppare più agricoltura rigenerativa, preservare il capitale terra. Significa regole comuni per gli associati della capogruppo, visto che i fornitori sono anche gli azionisti. C’è un allineamento di interessi».
In questo quadro s’inserisce l’ultimo investimento, del marzo scorso: quello nella filiera del basilico, dieci milioni di euro. In sostanza, alla coltivazione del pomodoro si alternerà in rotazione colturale quella del basilico, da fornire come semilavorato poi alle grandi aziende alimentari per produrre la base di prodotti fi grande consumo, come il pesto.
«Stimiamo una produzione di circa quattromila tonnellate di semilavorato già da quest’anno — dice Costantino Vaia —. Per il 2026 contiamo di arrivare a più del doppio, otto-diecimila». Il basilico è la terza filiera del gruppo, dopo pomodori e piselli. Si aggiunge a un altro investimento recente, per circa due milioni: il progetto di un parco agrivoltaico per coltivare il pomodoro, anche qui in collaborazione con la Cattolica di Piacenza. «Siamo i primi in Italia a produrre senza consumo di suolo, con l’installazione di pannelli fotovoltaici “in quota”, senza perdere la disponibilità delle aree coltivabili e senza cementificazione — dice il ceo —. Usiamo aree attigue allo stabilimento con pannelli che generano energia».
L’apporto di Fsi
Con questo piano — diversificazione, acquisizioni, agritech — Fsi vuole espandere e rafforzare il gruppo anche all’estero. «Casalasco è la piattaforma perfetta sulla quale costruire un grande operatore alimentare italiano — dice Tamagnini — . Ha cuore e cervello nel Paese, ma operatività globale. Dà un prodotto che caratterizza il made in Italy, certificato dal seme alla forchetta». Con più di tre miliardi di asset, Fsi ha chiuso la raccolta del secondo fondo a 1,6 miliardi (oltre l’obiettivo), dei quali 600 già investiti. In 15 anni, dichiara, il team Fsi ha investito in 22 società con 70 mila dipendenti, 25 miliardi di valore aziendale, 15 miliardi di ricavi e quasi tre di Ebitda.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link