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La fine di Usaid e le sue conseguenze per il Medio Oriente e il Nord Africa 


Tra il 20 gennaio e il 28 marzo 2025, l’amministrazione Trump ha smantellato l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (United States Agency for International Development, o Usaid), la più grande organizzazione governativa di assistenza umanitaria e allo sviluppo al mondo. Le conseguenze, visibili in diversi paesi beneficiari, sono importanti non solo per il rilievo internazionale dell’agenzia e la mole dei tagli, ma anche per la rapidità e l’opacità dei criteri con cui quest’operazione è stata condotta. Tra le aree interessate il Medio Oriente e il Nord Africa (Mena) risulta centrale per le implicazioni del disimpegno statunitense sugli sviluppi politici e sociali interni dei paesi interessati. Ma cos’è Usaid? E qual è l’impatto che ha avuto sull’area Mena? Quali, infine, gli effetti della sua soppressione? 

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Cos’è Usaid e perché è stata smantellata? 

Usaid nasce nel 1961 tramite il Foreign Assistance Act, firmato dal presidente John Fitzgerald Kennedy e approvato dal Congresso con l’obiettivo di organizzare le attività di supporto esterno sotto un unico ente federale. Il provvedimento, inoltre, segna per la prima volta la differenza tra aiuto militare e non, oltre a istituire la prima agenzia al mondo deputata esclusivamente alla gestione degli aiuti esteri. Da allora i progetti implementati da Usaid hanno salvato milioni di persone da fame e malattie e hanno permesso l’accesso ai servizi essenziali a civili in situazioni di conflitto e instabilità. Con 79 miliardi di dollari investiti in aiuti, 19.000 attività finanziate e 177 paesi sostenuti nel solo 2023, Usaid ha coperto circa l’1,2% del bilancio federale statunitense –  percentuale intorno alla quale si è mantenuto dal 2001. 

Tuttavia, l’inizio della seconda presidenza Trump ha coinciso con l’emissione di un ordine esecutivo che ha congelato qualsiasi aiuto estero per un periodo di 90 giorni. Obiettivo: operarne una revisione sulla base di un non precisato disallineamento o addirittura contrarietà ai “valori americani”. Dopo nemmeno due mesi, il 10 marzo il segretario di stato Marco Rubio ha annunciato la cancellazione dell’83% dei progetti finanziati tramite Usaid e la presa in incarico del restante 17% all’interno del suo dipartimento. Il 28 marzo una Corte d’appello federale ha autorizzato il Doge (Dipartimento dell’efficienza governativa) a completare l’opera di “riorganizzazione” dell’agenzia, consentendo al Dipartimento di stato di inglobare formalmente Usaid.  

Con un processo fulmineo (appena otto settimane) l’amministrazione Trump ha di fatto smantellato Usaid. Dopo aver licenziato la quasi totalità del personale, mantenendo appena 15 dipendenti su 10.000, il Dipartimento di stato coadiuvato dal Doge avrebbe terminato, secondo Politico, 5.300 progetti su 6.200 per un valore di 27 miliardi di dollari. Solo circa 900 progetti per un totale di 8,3 miliardi di dollari sarebbero stati mantenuti. Si tratta tuttavia di calcoli effettuati sulla base di documenti non ufficiali, dal momento che il Doge non rende possibile verificare quali contratti abbia effettivamente tagliato. Una fonte attendibile, seppur parziale, è costituita invece da un sondaggio globale effettuato dall’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) tra le organizzazioni sul campo interessate dal congelamento dei fondi in febbraio. 

I motivi dichiarati di questa politica drastica sono prima di tutto economici. Infatti, i tagli dovrebbero tradursi, nell’immediato, in risorse finanziarie risparmiate da investire in maniera più vantaggiosa per gli Stati Uniti, secondo il principio “America first”, con il passaggio di competenza al Dipartimento di stato che ne permetterebbe una gestione più efficiente e controllata. In secondo luogo, i tagli sembrano voler colpire un’istituzione le cui attività, stando a quanto dichiarato dal presidente Trump e del direttore del Doge Elon Musk pur senza fornire prove, costituirebbero una “truffa” a opera di “pazzi radicali di sinistra”. Nel mirino dell’amministrazione statunitense sarebbero finiti, in particolare, i progetti incentrati su genere, diversità, uguaglianza, inclusione e cambiamento climatico.  

Usaid: il suo ruolo e l’impatto dei tagli nell’area Mena 

Il congelamento dei fondi destinati a Usaid ha di fatto portato all’interruzione quasi immediata dei progetti dall’Agenzia, tra cui quelli indirizzati ai paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Tra le aree maggiormente interessate dagli aiuti statunitensi, l’area Mena si è collocata al terzo posto in termini di fondi impegnati tramite Usaid nel 2024, con 4,2 miliardi di dollari stimati. Secondo i dati dell’Ocha, lo smantellamento di Usaid ha ridotto drasticamente gli aiuti verso la regione, con 24,3 milioni di dollari mantenuti1 su un totale di 200 milioni previsti in origine per il 2025. Tra i settori maggiormente colpiti vi sono quelli degli aiuti emergenziali, dell’istruzione e del sostegno alla società civile. 

 

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Aiuto emergenziale 

Il contributo più importante di Usaid alla regione Mena è senz’altro quello al settore degli aiuti umanitari (cibo, acqua, riparo, assistenza sanitaria di emergenza), veicolato dal Bureau for humanitarian assistance (Ufficio per l’assistenza umanitaria, Usaid/Bha) e che ha raggiunto nel periodo 2010-2023 i 28,3 miliardi di dollari. Nel solo 2023 su 1,6 miliardi di dollari impegnati tramite Usaid per le emergenze umanitarie negli stati dell’area, più della metà sono stati destinati a Siria, Libano, Palestina e Giordania. A marzo, come riporta l’Ocha, almeno 50 milioni di dollari sui 100 inizialmente previsti per i primi mesi del 2025 sono stati tagliati. Ancora maggiore è stato l’impatto dei tagli in Yemen, in particolare al World Food Programme (Wfp). Se i fondi indirizzati dal governo statunitense alle agenzie Onu nel paese ammontavano nel 2023 a 714 milioni di dollari (circa un terzo del totale), rendendo gli Stati Uniti il primo donatore, quelli programmati nel 2025 (107 milioni di dollari) sono stati annullati in toto a inizio aprile. Il motivo reso noto dall’amministrazione Trump, in questo caso, è che tali aiuti venissero dirottati a supporto degli Houthi anziché raggiungere la popolazione civile

Istruzione 

Dopo gli aiuti umanitari e lo sviluppo economico, il sostegno a istruzione e servizi sociali ha rappresentato nel 2023 la terza voce di spesa per Usaid, con 307 milioni di dollari destinati per la maggior parte a Giordania, Egitto, Libano e Tunisia. Lo smantellamento di Usaid ha portato, al contempo, alla cancellazione di molti finanziamenti al settore. In Libano, ad esempio, la sospensione degli aiuti ha privato circa 500 studenti non abbienti delle borse di studio universitarie precedentemente assegnate. I fondi messi a disposizione dalle università interessate e dallo stato sono, in ogni caso, insufficienti a coprire i costi rimasti scoperti. Le conseguenze dei tagli alla cooperazione in ambito scolastico e formativo sono intuibili: potenziale incremento della disoccupazione e minori possibilità di emancipazione e di innovazione sociale.  

Società civile e democrazia 

Anche la società civile, il cui sviluppo è essenziale nel contesto dei processi di democratizzazione e stabilizzazione, ha beneficiato di ingenti aiuti da parte statunitense. Il supporto alla società civile, alla governance e allo sviluppo delle comunità marginalizzate costituiva il primo settore supportato da Usaid in Libia e Marocco e ammontava nel 2023 a 1,7 miliardi di dollari in tutta la regione. Adesso i tagli hanno raggiunto anche questo settore, accompagnati da gravi accuse da parte del Doge verso i destinatari dei fondi. Ad esempio, il National Endowment for Democracy (Ned), fondazione che sostiene l’attivismo pro-democrazia in diversi paesi tra cui l’Iran, ha perso 239 milioni di dollari di finanziamenti dopo essere stato definito da Musk – ancora una volta senza prove –  “un’organizzazione malvagia” e corrotta. Con lo smantellamento di Usaid si può presumere che questo settore non verrà sostenuto nel prossimo futuro, potenzialmente con gravi conseguenze. Nonostante si trattasse di somme relativamente marginali rispetto al totale, i fondi tagliati costituivano un supporto essenziale per molti attivisti e organizzazioni locali, che si trovano ora maggiormente vulnerabili a eventuali pressioni governative e, in ogni caso, con poche probabilità di poter continuare le proprie attività.  

Per approfondire nel concreto le conseguenze dei tagli, si analizzano qui di seguito tre casi studio i tra i maggiori beneficiari degli aiuti di Usaid, evidenziando gli effetti immediati (tra cui il numero dei progetti disattivati e dei beneficiari non più raggiungibili) e le eventuali ripercussioni sulla stabilità interna dei singoli paesi. 

Siria 

Gli Stati Uniti hanno mantenuto dal 1967 relazioni perlopiù ostili con la Siria a causa del conflitto con Israele, la detenzione e uso di armi non convenzionali e il sostegno all’Iran. Pertanto il sostegno al paese tramite Usaid inizia di fatto con la guerra civile siriana. Nel periodo 2012-2024 gli Stati Uniti hanno fornito aiuti per più di 18 miliardi di dollari –  soprattutto nella forma di aiuti umanitari –  e quasi 840 milioni di dollari solo nel 2023 (circa un quarto degli aiuti totali ricevuti da donatori esteri). Tramite questi Usaid ha avuto modo di distribuire pasti e razioni alimentari; fornire assistenza sanitaria e psicologica di base; distribuire acqua potabile e migliorare le condizione igieniche nei campi profughi; fornire riparo per le famiglie rifugiate e protezione per donne e minori. 

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Tagli e conseguenze dirette 

Gli Stati Uniti sono stati, con 840 milioni di dollari pari al 22% sul totale, il primo donatore singolo delle missioni Onu in Siria nel 2023: una posizione mantenuta fino a inizio 2025. Secondo l’Ocha, circa 40 milioni di dollari sarebbero stati congelati a partire da gennaio di quest’anno impedendo agli enti partner di Usaid, secondo l’Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione), di poter implementare ulteriori attività di assistenza sanitaria, sostegno psicosociale e accesso a un supporto legale. Complessivamente l’Ocha stima che almeno 600.000 persone –  in larga parte sfollati interni –  non hanno potuto ricevere gli aiuti umanitari precedentemente programmati (relativi soprattutto alla distribuzione di cibo, acqua, assistenza sanitaria di base e programmi di protezione per donne e bambini da violenza e sfruttamento).  

Effetti sulla sicurezza 

Una ricaduta importante potrebbe rilevarsi, inoltre, nell’ambito della sicurezza. In particolare, lo Stato islamico (IS) potrebbe recuperare terreno se i contesti maggiormente interessati dalla sua presenza fossero privati dei servizi essenziali, dei programmi di prevenzione alla radicalizzazione e del sostegno economico alle Forze democratiche siriane (Sdf). Particolarmente problematici sono, in questo senso, i campi detentivi di al-Hol e al-Roj, situati presso il confine iracheno e ospitanti oltre 40.000 ex-miliziani di IS (perlopiù foreign fighters) e le loro famiglie. Entrambi sono gestiti dalle Sdf, ma la sorveglianza e il sostegno umanitario implementati al loro interno erano fino a gennaio finanziati per più della metà da Usaid. Come segnalato dal Dipartimento della difesa degli Stati Uniti e sostanziato dai numerosi arresti di esponenti di IS compiuti dalle Sdf, l’interruzione degli aiuti ha incrementato il rischio di rivolte, di reclutamento di nuovi miliziani da parte dello Stato islamico e una sua potenziale fuoriuscita dai campi. Tuttavia, la dichiarazione della rappresentante statunitense alle Nazioni Unite Dorothy Shea, per cui i finanziamenti US a queste strutture “non possono durare per sempre”, ha confermato le preoccupazioni circa la possibilità di una loro prossima cancellazione in toto

Giordania 

Il supporto economico al Regno hashemita di Giordania è, sin dal 1959, un pilastro della politica estera statunitense nell’area Mena. Nel solo 2023 gli Stati Uniti hanno inviato tramite Usaid quasi 1,2 miliardi di dollari alla monarchia hashemita, contribuendo nei decenni alla stabilità politica ed economica del paese. Difatti la Giordania non dispone di significative risorse naturali ed è piagata da un’economia poco dinamica e un alto tasso di disoccupazione (22% al 2023). Ad amplificare l’effetto di questi fattori, vi è la complessa gestione di 730.000 rifugiati siriani, iracheni e di altre nazionalità che rende la Giordania, con 60 rifugiati ogni 1000 abitanti, il secondo paese al mondo dopo il Libano per numero di rifugiati in relazione alla popolazione già residente. Da non dimenticare, infine, la vulnerabilità del paese al cambiamento climatico e alla scarsità idrica, relativamente alla quale il Regno figura tra i primi quindici paesi al mondo. 

Tagli e impatto 

Secondo l’Ocha, i fondi destinati alla Giordania tramite Usaid e cancellati dal Doge si attesterebbero a quasi 73 milioni di dollari, che potrebbero raggiungere i 430 milioni di dollari secondo alcuni dati non verificati riportati da Reuters, con un potenziale impatto profondo su sanità e istruzione. A farne le spese, sempre secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, sarebbero in larga parte (70%) la popolazione rifugiata presente nel paese, ma non solo. Alcune cliniche ospedaliere cofinanziate da Usaid – riportano esperti sul campo tramite Politico – avrebbero chiuso o effettuato drastici tagli al personale, impedendo alla popolazione più marginalizzata come quella femminile e rifugiata di potervi usufruire. In tutto ciò sembrerebbe però che il Regno sia riuscito a ottenere, tra febbraio e aprile, il mantenimento della maggior parte dei finanziamenti statunitensi previsti (circa 1,45 miliardi di dollari), costituiti prevalentemente da aiuti economici diretti e contributi alla difesa, nonché al settore idrico. Salvo eventuali passi indietro, questa svolta scongiurerebbe l’ipotesi suggerita da Trump a febbraio di eliminare qualsiasi sostegno alla Giordania per spingerla ad accettare una parte dei due milioni di palestinesi di Gaza come parte del piano “Riviera del Medio Oriente”.  

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Effetti sulla sicurezza 

La capacità della Giordania di mantenere i precedenti rapporti di cooperazione con gli Stati Uniti ha dunque mitigato l’impatto della scomparsa di Usaid sul paese, che rimane comunque significativo. Da quando è stato reso noto lo smantellamento di Usaid, diversi analisti e operatori umanitari hanno suggerito che tagliare aiuti essenziali alle comunità marginalizzate nel paese potrebbe portare a un maggiore disagio sociale e quindi a un’aumentata influenza dei gruppi islamisti all’opposizione. Il fenomeno s’inserirebbe tra l’altro in un momento di particolare instabilità politica, caratterizzato da una crescente influenza del Fronte dell’azione islamica come maggiore partito di opposizione e la messa al bando della Fratellanza musulmana (di cui questi è emanazione) per accuse di terrorismo. Tuttavia, la mancata trasparenza circa l’entità reale dei tagli rende molto complesso, per il momento, quantificarne l’impatto sulla popolazione e le eventuali ripercussioni sugli equilibri politici e sociali interni al paese.  

Egitto 

Come alleato degli Stati Uniti tra i più stretti nell’area, l’Egitto ha ricevuto più di 85 miliardi di dollari in aiuti militari e economici dal 1946, con un netto incremento dal trattato di pace israelo-egiziano del 1979. Sul piano dello sviluppo, invece, gli Stati Uniti hanno inviato più di 30 miliardi di dollari tramite Usaid dal 1978 al 2023, finalizzati al finanziamento di progetti relativi a sanità, istruzione, sviluppo e governance. Tra questi, l’istruzione figura come il settore più finanziato, con 103 milioni di dollari sui 237 complessivi impegnati tramite Usaid nel 2023. Come la Giordania, il paese è da anni caratterizzato da un’economia poco performante, un alto tasso di analfabetismo giovanile (8%, al terzo posto in area Mena) e dal 2023 dalla gestione di 1,5 milioni di persone rifugiate dal Sudan

Tagli e impatto 

L’Egitto è, con l’84% dei progetti di cooperazione ormai disattivati – secondo il Center for Global Developmentuno dei paesi al mondo più colpiti dai tagli a Usaid. Il settore maggiormente colpito è proprio quello degli aiuti umanitari ai rifugiati, con il supporto alle agenzie Onu operative nel paese passato da più della metà sul totale nel 2023 al 6% attuale. Associati a un calo dei contributi anche da parte degli altri donatori, i tagli hanno costretto l’Unhcr a non poter offrire più assistenza sanitaria di emergenza a 20,000 rifugiati nel paese. Un ulteriore settore toccato è quello dell’istruzione, a livello sia primario sia universitario. Ad esempio, 1.077 studenti beneficiari di borse di studio hanno dovuto ricevere supporto extra da parte delle università di appartenenza. In aggiunta, fino a 35 milioni di dollari sono stati tagliati dal sostegno alla formazione professionale, così come fino a 7,3 milioni di dollari dalla Economic Governance Activity, progetto dedicato al miglioramento della governance e allo sviluppo economico nel paese. Al tempo stesso, l’Egitto non si trova nelle condizioni di poter controbilanciare in questo senso la dipartita degli aiuti statunitensi. Anzi: se da una parte cerca di restringere le possibilità di ingresso, soggiorno e impiego per le persone rifugiate, dall’altra ha progressivamente diminuito, negli ultimi dieci anni, gli investimenti nell’istruzione pubblica. 

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In Egitto, lo smantellamento di Usaid e la conseguente pressione sulle agenzie umanitarie e per lo sviluppo operanti nel paese s’inserisce in un contesto sociale già segnato da povertà diffusa e gravi disuguaglianze sociali. Il regime di al-Sisi, dal canto suo, non ha finora implementato riforme strutturali che possano arginarle e ha anzi recentemente ridimensionato aiuti importanti come i sussidi per il pane. La cessazione di progetti relativi a salute, istruzione e sviluppo potrebbe quindi portare ad un peggioramento del disagio sociale tra le fasce più vulnerabili della popolazione e di conseguenza aggravare i rischi per la sicurezza interna del paese.  



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