Venerdì scorso, 30 maggio, in sede di presentazione della Relazione annuale della Banca d’Italia, il Governatore, Fabio Panetta, ha tenuto fede a un appuntamento molto atteso, svolgendo, per il secondo anno consecutivo, le sue Considerazioni finali. Considerazioni che Carlo Cottarelli, sul Corriere della Sera di sabato 31 maggio, ha giudicato “tra le migliori (…) degli ultimi anni”.
In questa occasione, Panetta ha tracciato un quadro, al tempo stesso equilibrato e dinamico, “dell’economia mondiale, europea e italiana”.
Come abbiamo cercato di evidenziare in un precedente articolo, nella prima parte di questo suo intervento, quella dedicata alle tendenze e alle prospettive dell’economia globale, Panetta ha esordito dando un giudizio nettamente negativo sulle conseguenze del “forte e generalizzato aumento dei dazi” annunciato dagli Stati Uniti il 2 aprile scorso. Panetta ha quindi sostenuto che “le attuali, aspre dispute commerciali” non sono frutto di “un malessere temporaneo”, ma “sono il sintomo di un logoramento dei rapporti politici ed economici internazionali che ha radici profonde”. Infine, ha affermato che, al posto del vecchio “sistema multilaterale”, “si sta imponendo un ordine multipolare in cui aumenta il peso dei rapporti di forza” e che, di tutto ciò, “stanno risentendo persino le relazioni, storicamente molto strette, tra Stati Uniti ed Europa”.
In una successiva parte del suo discorso, quella relativa all’economia europea, di cui abbiamo cercato di dare conto in un nostro secondo articolo, Panetta ha sostenuto che questa economia “mostra fragilità strutturali evidenti”. Infatti, da un lato, “la stagnazione della produttività e il ritardo dell’innovazione ne limitano il potenziale di crescita”, mentre, dall’altro lato, “la dipendenza dall’estero, per gli approvvigionamenti e per la vendita dei propri prodotti, ne aumenta la vulnerabilità in un contesto globale sempre più frammentato”.
Secondo il Governatore, è quindi “necessario ripensare il modello di sviluppo che ha sostenuto il Continente per decenni”. Ciò a partire da capitoli decisivi dell’assetto economico europeo, quali la produttività del lavoro, ove il divario rispetto alla più rapida dinamica statunitense si è accresciuto negli ultimi anni. Ma anche in relazione a ricerca, innovazione, energia, competitività.
“In un contesto globale instabile, la priorità è rafforzare l’autonomia strategica”, ha spiegato il Governatore, secondo il quale ciò che serve è “un vero e proprio patto europeo per la produttività.” Allo stesso modo, “è urgente completare la costruzione di un mercato dei capitali europeo pienamente integrato”, così come è ormai necessario “rafforzare la capacità di difesa europea”.
E l’Italia? Paradossalmente, o forse non tanto paradossalmente, è nella parte relativa all’economia italiana che il discorso del Governatore ha cominciato a mettere in luce un certo numero di fenomeni positivi.
“In passato”, ha detto Panetta nel suo intervento tenuto a palazzo Koch, “mi sono già soffermato sulla lunga fase di stagnazione dell’economia italiana. Negli ultimi cinque anni, tuttavia, nonostante le crisi pandemica ed energetica, il Paese ha mostrato segni di una ritrovata vitalità economica.”
“La crescita – ha spiegato Panetta – ha superato quella dell’area dell’euro.” Infatti, “il Pil è aumentato di circa il 6 per cento, trainato da un incremento di quasi il 10 nel settore privato”. Dopodiché, lo stesso Panetta ha snocciolato una serie di altri dati positivi. “Gli occupati sono aumentati di un milione di unità, raggiungendo il massimo storico di oltre 24 milioni.” “Il tasso di disoccupazione è sceso dal 10 al 6 per cento.” “Il Mezzogiorno ha registrato uno sviluppo leggermente superiore alla media nazionale.”
Ma non si è ancora visto tutto. Seguiamo dunque ancora l’intervento di Panetta: “Tra il 2013 e il 2023, la produttività del lavoro nel settore privato è aumentata in media dello 0,7 per cento all’anno, mentre la produttività totale dei fattori è cresciuta di oltre l’1, segnando un netto miglioramento rispetto al periodo 2000-2013”. Inoltre, “nel settore delle imprese, si è ampliata in misura significativa la quota di occupati presso realtà medio-grandi, mentre il numero di aziende con almeno 250 addetti è aumentato di un terzo”. E ancora: “Si è diffuso l’utilizzo di tecnologie avanzate, come il cloud computing, la robotica, l’intelligenza artificiale”. Mentre “la redditività e la solidità patrimoniale delle impese sono fortemente migliorate”.
Tutto bene, dunque? Non esageriamo. Secondo Panetta, l’insieme dei dati e dei fenomeni positivi che abbiamo adesso ricordato rappresenta sì “una reazione del sistema produttivo ai cambiamenti globali che fa ben sperare”, ma si tratta solo di “un primo passo”. Altri segnali, infatti, sono contraddittori.
Qualche esempio? Nel 2024, “il Pil è aumentato dello 0,7 per cento, accompagnato da una situazione occupazionale particolarmente favorevole. Tuttavia, la produttività del lavoro è diminuita e le esportazioni di beni hanno subìto un calo”. Inoltre, “nella manifattura il valore aggiunto è diminuito dello 0,7 per cento, risentendo anche della crescente concorrenza internazionale”. Comunque, “nonostante le difficoltà attuali, l’industria italiana non è destinata al declino. In tutti i comparti operano aziende dinamiche e competitive, che investono in tecnologia e ricerca e si posizionano in fasce di alta gamma”.
“Queste solide fondamenta – ha detto ancora il Governatore – rappresentano un vantaggio strategico nella competizione globale, ma vanno rafforzate.”
Già, ma come? Ecco le risposte dello stesso Governatore. Primo: “In Italia, più che altrove, è urgente intervenire sul costo dell’energia”.
Secondo: “Le imprese devono proseguire nel percorso di innovazione e investimento, sostenute da politiche pubbliche che le mettano nelle condizioni di affrontare con successo le trasformazioni in atto”.
Terzo: “Il problema centrale rimane la produttività, nella manifattura come nel resto dell’economia. Gli incrementi finora conseguiti sono incoraggianti, ma non bastano a sostenere lo sviluppo del Paese”.
A questo punto del suo ragionamento, Panetta ha osservato che “il basso livello dei salari riflette questa debolezza: dall’inizio del secolo, in linea con la stagnazione della produttività, le retribuzioni reali sono cresciute molto meno che negli altri principali Paesi europei. Fino alla pandemia, l’aumento era stato appena del 6 per cento. Il successivo shockinflazionistico ha riportato i salari reali al di sotto di quelli del 2000, nonostante il recupero in atto dallo scorso anno”.
Ne segue che, “per garantire un aumento duraturo delle retribuzioni, è indispensabile rilanciare la produttività e la crescita attraverso l’innovazione, l’accumulazione di capitale e un’azione pubblica incisiva”.
Passando dal mondo della cosiddetta economia reale, imprese e lavoro, a quello della finanza pubblica, Panetta ha messo in fila altri dati significativi. “Rispetto a quindici anni fa – quando le valutazioni delle agenzie di rating sul debito pubblico italiano iniziarono a peggiorare – i fondamentali della nostra economia sono nettamente migliorati.” Infatti, “la posizione patrimoniale verso l’estero, allora negativa per 20 punti percentuali di Pil, oggi è positiva per 15”. Inoltre, “il sistema bancario si è molto rafforzato”, e ciò costituisce un elemento che “incide in misura rilevante sulle valutazioni delle agenzie”.
“Il superamento delle crisi pandemica ed energetica – ha detto ancora Panetta – ha consentito di chiudere la fase degli interventi straordinari, favorendo il miglioramento dei conti pubblici.” Infatti, “nel 2024 il disavanzo è sceso al 3,4 per cento del Pil e, per la prima volta dal 2019, è stato registrato un avanzo primario”.
“Il percorso di risanamento dei conti pubblici – ha sottolineato Panetta – è però solo all’inizio. Il debito resta elevato e, nei prossimi anni, la spesa sarà sottoposta a pressioni legate all’invecchiamento della popolazione, alle transizioni verde e digitale, al rafforzamento delle capacità di difesa.”
Concludendo: “Sviluppo economico e sostenibilità dei conti pubblici sono interdipendenti. La fiducia nella solidità della finanza pubblica favorisce gli investimenti; una crescita più elevata, a sua volta, rende meno gravoso il risanamento del bilancio”.
Infine, ci permettiamo di aggiungere, alle esaustive analisi di Panetta, una nostra notazione.
L’anno scorso, nelle sue prime Considerazioni finali, esposte quale nuovo Governatore della Banca d’Italia, Panetta affermò che “la contrapposizione politica e commerciale tra Stati Uniti e Cina si è inasprita”. E aggiunse che se “è prematuro parlare di deglobalizzazione”, ormai “è chiaro che il processo di rapida integrazione dell’economia mondiale si è interrotto”. Insomma, aveva dato prova di avere la vista lunga.
Lo stesso vale per le osservazioni fatte allora sui problemi principali da affrontare e risolvere per dare una spinta al nostro auspicato sviluppo economico. Panetta disse infatti che, “guardando al futuro, l’economia italiana potrà conseguire ritmi di sviluppo sostenuti se, da un lato, saprà affrontare le conseguenze del calo e dell’invecchiamento della popolazione e, dall’altro, saprà imprimere una decisa accelerazione alla produttività”. Specificando che, per far ciò, sarebbero stati necessari “più investimenti” e “più innovazione”.
Fernando Liuzzi
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