Quando il profit sconfina e apre un canale di comunicazione con il non profit, si crea intenzionalità. L’itinerario di VITA nell’orbita di Torino Social Impact prosegue con un focus su Buy Social Torino, il portale sperimentale che punta a favorire una catena di fornitura a impatto sociale fra aziende “per profitto” e non. Due mondi che possono condividere obiettivi e strategie
«Abbiamo spostato il focus dal doverlo fare al decidere di farlo». Quando il profit sconfina e apre un canale di comunicazione con il non profit (o viceversa), succede qualcosa che ha a che fare con la cultura di un territorio: si crea intenzionalità. Un circolo virtuoso racchiuso in una frase. L’ha pronunciata una responsabile delle risorse umane intervenuta questa mattina all’incontro “Acquisti a impatto” promosso dall’Unione industriale di Torino, in collaborazione con Torino Social Impact e Camera di commercio di Torino, con la partecipazione di Confcooperative Piemonte Nord e Legacoop Piemonte. Una mattinata di contaminazioni reciproche e testimonianze di buone pratiche, con l’obiettivo di rispondere a tre domande chiave per ogni imprenditore che decida di affacciarsi al mondo del social procurement. Cosa significa generare impatto sociale? Quali ricadute positive può avere per me e per la mia impresa? E soprattutto, come farlo senza sconvolgere il modello di business?
L’evento è nato come prosecuzione del ciclo “Social Procurement – La scelta responsabile delle imprese” avviato nel 2024 come approfondimento sulle opportunità offerte da un approvvigionamento orientato alla sostenibilità sociale, leva strategica per le imprese che oggi vogliano coniugare competitività, impatto positivo e attenzione alle comunità locali. In Piemonte c’è già una casa comune, nata in seno (e non potrebbe essere altrimenti) a Torino Social Impact, il brand collettivo che coinvolge oltre 370 aziende e istituzioni pubbliche e private per promuovere l’ecosistema locale per l’economia sociale. È stata inaugurata esattamente un anno fa (su VITA l’avevamo presentata qui) e ha preso la forma di un portale sperimentale per favorire gli acquisti sociali delle imprese.
Oggi Buy Social Torino, questo il nome della piattaforma, conta 123 imprese fornitrici aderenti (clicca qui per consultarla). Si tratta di differenti realtà di imprenditorialità sociale quali cooperative e imprese sociali, società benefit e startup innovative a vocazione sociale che lavorano nei settori legati all’economia circolare. Una vetrina che permette di filtrare in base al servizio o prodotto offerto, al tipo di impresa e alla missione sociale prevalente. Un ponte tra due mondi che possono condividere obiettivi e strategie.
Contaminarsi è bello
«Quello che presentiamo qui oggi vorremmo che diventasse uno degli strumenti a disposizione delle nostre imprese», ha detto Gianluigi Monti, milestone di responsabilità dell’Unione Industriali di Torino prima di dare spazio alla presentazione di Buy Social Torino. «Nel 2021 la nostra è stata la prima realtà territoriale in Italia a dotarsi di un ufficio Esg con delega formale dall’ente torinese sui temi della sostenibilità. Siamo qui per accompagnare le imprese associate nell’attivazione di percorsi e strategie». La sala piena dimostra che la direzione è quella giusta.
Dal punto di vista aziendale si tratta di un percorso di change management ed evoluzione della cultura organizzativa. Per passare da logiche più classiche di procurement a un portafoglio di nuove competenze, la misurazione è indispensabile
Raffaella Scalisi, senior advisor di Torino Social Impact
Raffaella Scalisi, senior advisor di Torino Social Impact si occupa di social procurement dal 2020, quando si è intensificato l’interesse anche a livello normativo. «È una formula che definirei win win: permette alle aziende di migliorare reputazione e immagine e al non profit di ampliare le possibilità di mercato. Per entrambe, genera una contaminazione positiva di apprendimento reciproco che abilita processi di innovazione aperta». Il punto di partenza è stato «un’indagine sugli acquisti a impatto sociale nel territorio piemontese, che aveva coinvolto sia il mondo dell’impresa sociale sia quello privato. Era emerso un interesse diffuso nel mondo privato sul tema degli acquisti sociali e in generale sulla collaborazione con il mondo dell’impresa sociale, accompagnato però da una scarsa conoscenza di questo mondo e da pregiudizi sulla sua capacità di competere sul mercato. È nata così la proposta di costruire un protocollo congiunto per favorire il social procurement attraverso piani di comunicazione e sensibilizzazione e sfruttando l’alta partecipazione della piattaforma Torino Social Impact per attivare e moltiplicare azioni concrete».
Buy Social perché
Il protocollo Buy Social è una chiamata che dai partner si estende al mondo dell’imprenditoria in generale affinché possa mettersi alla prova, garantendo il proprio impegno su azioni quali acquisti sociali, capacity building rivolto al Terzo settore, B2B collaborativo o altre forme di collaborazione, integrazione dell’impatto nei propri documenti aziendali. Aderire è semplice: basta compilare il form, indicando gli impegni che l’organizzazione intende portare avanti.
«Sono sempre più diffusi gli esempi di grandi aziende che hanno scelto il social procurement come via privilegiata per la responsabilità sociale», ha aggiunto Scalisi. «Nel definire la nostra piattaforma ci siamo ispirati ai portali che hanno ottenuto maggiore successo a livello internazionale. Adottando il social procurement, l’azienda continua a cercare il miglior prodotto o servizio al prezzo più conveniente, ma con un valore aggiunto: il sostegno concreto alle imprese che praticano l’inclusione lavorativa di persone svantaggiate o perseguono altri obiettivi di impatto sociale».
Non è un cambiamento che si può introdurre da un giorno all’altro, ha sottolineato: «Dal punto di vista aziendale si tratta di un percorso di change management ed evoluzione della cultura organizzativa. La rete messa in campo da Torino Social Impact consente di accedere a una formazione continua: è fondamentale che il cammino comprenda analisi di mercato, cura nella definzione degli ostacoli e soprattutto manutenzione del meccanismo affinché non sia soltanto un’azione isolata, simbolica o spot, ma diventi strutturale. Per passare da logiche più classiche di procurement a un portafoglio di nuove competenze, la misurazione è indispensabile».
Storie di convenzioni, e vite cambiate
Non c’è nulla di più efficace di una testimonianza per far comprendere un’azione. All’Unione industriale di Torino hanno trovato spazio le voci di due partnership tra imprese sociali e imprese private, entrambe nate da convenzioni ex art. 14 del decreto legislativo 276/2003 che consentono alle aziende di effettuare una parte delle assunzioni obbligatorie previste dalla legge, affidando una o più commesse a cooperative sociali o consorzi di cooperative che, per svolgere il servizio esternalizzato, assumono persone con disabilità che presentino particolari difficoltà di inserimento lavorativo iscritte alle liste del collocamento mirato, individuate con il Centro per l’impiego.
La prima esperienza nasce da una sinergia tra la cooperativa sociale Orso blu e Dumarey Automotive Italia: «In questi tre anni di convenzione», ha spiegato Isabella Carlone, responsabile sviluppo di Orso blu, «abbiamo dato la possibilità a sette persone di acquisire in due tipologie di servizi (pulizie ordinarie e reception, nda) una professionalità che altrimenti non sarebbero riusciti a ottenere. Questa formula è in grado di garantire ai nostri lavoratori un contesto tutelato e sicuro, che possa valorizzare attitudini e abilità individuali». La fragilità, le ha fatto eco Gianluca Gatti, senior hr business partner Dumarey, «non è sinonimo di inesperienza o non qualificazione, è creazione di una reale inclusione sociale».
Il presidente della cooperativa sociale Dromos Michele Costa e la responsabile risorse umane di Orbyta Francesca Masier hanno raccontato l’inserimento lavorativo di Giovanni (nome di fantasia) nel settore delle pulizie di interni. «A volte si possono creare muri invisibili nei luoghi di lavoro. La competenza di un’équipe di una cooperativa sociale consente di far cadere blocchi e pregiudizi», hanno spiegato. «Il lavoro può essere davvero un rilancio personale. La convenzione non è uno strumento per assolvere a un adempimento di legge ma deve avere un impatto sulla vita di una persona. Giovanni ci ha insegnato che la gentilezza è un bellissimo ponte e la responsabilità non è data dal ruolo. Ognuno di noi porta qualcosa e il luogo in cui lavoriamo deve saperlo far emergere».
La fotografia in apertura è di Vlad Hilitanu. Le immagini nel testo sono dell’autrice dell’articolo
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