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si deve pagare anche se sfitti?


Le imprese pagano l’IMU sugli immobili destinati alla vendita (beni merce) anche se non locati? La Corte Costituzionale (sent. 49/2025) chiarisce: sì, conta la disponibilità.

Se hai un’impresa, specialmente nel settore immobiliare o delle costruzioni, ti sarai chiesto più volte se devi pagare l’IMU per quelle abitazioni che hai costruito o acquistato per vendere, ma che al momento sono ancora lì, invenduti e magari nemmeno affittati. Una recente sentenza della Corte Costituzionale, la numero 49 depositata il 17 aprile 2025, ha confermato un orientamento precedentemente già formatosi su questo tema. Cerchiamo dunque di comprendere se si deve pagare l’IMU su immobili invenduti di imprese anche se sfitti alla luce dei più recenti chiarimenti della giurisprudenza.

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Le imprese pagano l’IMU sugli immobili destinati alla vendita (i cosiddetti “beni merce”)?

La Corte Costituzionale, con la sentenza 49/2025, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo all’articolo 13 del decreto-legge “Salva Italia” (D.L. 201/2011, convertito nella L. 214/2011), che disciplina l’IMU. Questo significa che, secondo i giudici delle leggi, è costituzionalmente legittimo che anche gli immobili di un’impresa destinati alla vendita, e al momento non locati, siano soggetti all’Imposta Municipale Propria. In altri termini l’IMU si paga anche sulle case non vendute e sfitte.

Il cuore della decisione della Consulta (sentenza 49/2025) risiede in un principio fondamentale: ai fini dell’obbligo di pagamento dell’IMU, ciò che conta è l’astratta possibilità di avvalersi delle facoltà tipiche del diritto di proprietà (o di altro diritto reale, come l’usufrutto). Non rileva, invece, l’effettivo esercizio di queste facoltà, che dipende unicamente dalle scelte del possessore, in questo caso l’imprenditore.

L’imprenditore, infatti, può decidere in autonomia e piena libertà cosa fare di questi beni: può provare a venderli, può decidere di affittarli, può anche scegliere di tenerli momentaneamente vuoti. In ogni caso, ne mantiene il possesso e il controllo, e questa disponibilità potenziale è sufficiente a far scattare il presupposto dell’imposta.

La Corte ha chiarito che l’IMU è un’imposta sul patrimonio immobiliare. Il suo presupposto è il semplice possesso, la proprietà o la titolarità di un altro diritto reale su un bene immobile. Secondo i giudici costituzionali, un immobile di un’impresa, anche se destinato alla vendita e temporaneamente non locato, costituisce comunque un valido indice di capacità contributiva. Fa parte del patrimonio dell’azienda, rappresenta un valore economico e, come tale, può essere chiamato a contribuire alla spesa pubblica. La scelta di non utilizzarlo o non locarlo immediatamente è una decisione gestionale dell’imprenditore che non fa venir meno la sua “ricchezza” immobiliare.

Le questioni di legittimità erano state sollevate facendo riferimento a due articoli importantissimi della nostra Costituzione:

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  • l’articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza (sostenendo implicitamente che tassare un bene non produttivo di reddito attuale sarebbe irragionevole o discriminatorio);
  • l’articolo 53, che stabilisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.1

La Corte Costituzionale, dichiarando non fondate queste questioni, ha implicitamente affermato che tassare con l’IMU gli immobili invenduti delle imprese non viola né il principio di uguaglianza (perché la situazione di chi possiede un bene, anche se sfitto, è diversa da chi non lo possiede) né quello di capacità contributiva (perché il possesso stesso dell’immobile è considerato espressione di tale capacità).

C’è differenza tra un immobile “merce” invenduto e un immobile oggettivamente inutilizzabile?

Con una precedente sentenza, la numero 60 del 2024, la Consulta aveva infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina IMU nella parte in cui non escludeva dall’imposta gli immobili che fossero totalmente inutilizzabili e non disponibili, a condizione che per essi fosse stata presentata una regolare denuncia di occupazione abusiva o di altro evento impeditivo all’autorità giudiziaria.

Nel caso degli immobili invenduti di un’impresa, invece, la situazione è diversa. L’eventuale mancato utilizzo non deriva da cause di forza maggiore o da impedimenti esterni che il proprietario non riesce a superare nonostante uno “sforzo diligente” (come un’occupazione abusiva). Deriva, piuttosto, da una scelta strategica o commerciale dell’imprenditore, che mantiene comunque il pieno controllo e la disponibilità del bene. È questa possibilità di disporne, questa sfera di controllo, che giustifica l’imposizione fiscale secondo la sentenza 49/2025.

Chi decide su eventuali esenzioni o agevolazioni fiscali per questi immobili delle imprese?

La Corte Costituzionale ha anche ribadito un principio cardine del nostro sistema: spetta al legislatore, cioè al Parlamento e al Governo (attraverso decreti legge), decidere se, come e quando introdurre agevolazioni, esenzioni o benefici fiscali. Questa scelta rientra nella sua piena discrezionalità politica, ovviamente nei limiti della non palese irragionevolezza e nel rispetto dei principi costituzionali.

Il legislatore, nel corso degli anni, deve cercare di conciliare le esigenze finanziarie dello Stato (che ha bisogno di entrate per fornire servizi) con quelle dei cittadini e delle imprese chiamati a contribuire. Quindi, sebbene la Corte abbia confermato la legittimità dell’IMU sugli immobili merce invenduti, nulla vieta che in futuro il legislatore possa introdurre specifiche misure di alleggerimento fiscale per questa categoria di beni, magari legate a particolari condizioni di mercato o a periodi di crisi del settore immobiliare.



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