Secondo Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm il mercato continuerà a crescere anche più rapidamente di oggi. Jp Morgan prevede una crescita del patrimonio gestito tramite Eff a 6 trilioni di dollari entro il 2030
Compiono 25 anni gli Exchange Traded Funds, per gli amici Etf, e con un mercato europeo che vale ora 2,3 trillioni di dollari e un volume giornaliero degli scambi oltre i 5 miliardi di dollari, è in grado si dimostrare come alla “prova del tempo” la sua resilienza sia superiore a quella dei fondi attivi tradizionali. Il comparto ha attratto in questi anni molti investitiori grazie a decine di emittenti e migliaia di strumenti che coprono una vasta gamma di classi di attivo e aree geografiche, oltre ai suoi costi inferiori.
Le prospettive sono di un’ulteriore crescita, dice Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm, società di consulenza finanziaria, specializzata in investimenti di medio-lungo termine, nello stilare l’analisi del settore. “In soli 25 anni, gli Exchange Traded Funds sono diventati estremamente popolari tra gli investitori europei, contribuendo a democratizzare gli investimenti e a ridurre i costi dei fondi” dice Rocchetti. “Ci sono buone probabilità che continuino a crescere al ritmo attuale, se non addirittura più rapidamente“. Gli analisti di JP Morgan prevedono che il patrimonio gestito tramite ETF in Europa toccherà i 6 trilioni di dollari entro la fine del 2030.
Il segreto del successo è che attraverso un singolo strumento è possibile ottenere un’esposizione ampia e diversificata ai principali mercati globali e oltretutto con costi di gestione annuali spesso inferiori ai 20 punti base (la media europea delle ongoing fees degli ETF è 0,23% secondo il rapporto ESMA del gennaio 2025).
A fine marzo in Europa il volume complessivo di Etf è di 2,3 trilioni di dollari
Gli ETF hanno recentemte attratto grandi e crescenti investimenti. Secondo ETFGI, la principale società indipendente di consulenza e ricerca del settore, nel solo marzo di quest’anno 2025 la raccolta netta in ETF in Europa ha raggiunto i 28,63 miliardi di dollari, portando il totale per il primo trimestre 2025 a 99,04 miliardi e segnando il trentesimo mese consecutivo di flussi positivi.
Alla fine di marzo, gli investimenti complessivi in ETF in Europa ammontavano a 2,27 trilioni di dollari, oltre 2,4 trilioni includendo anche gli ETP, l’Exchange Traded Products, il cui mercato europeo comprende attualmente 3.176 prodotti, con 13.378 quotazioni, distribuiti tra 124 fornitori e negoziati su 29 Borse in 24 Paesi. Inoltre, il volume giornaliero degli scambi di ETF in Europa supera regolarmente i 5 miliardi di dollari.
Una partenza lenta
Inizialmente, la diffusione degli ETF in Europa è stata lenta e complessa e ha cominciato a guadagnare slancio soltanto a partire dalla metà degli anni 2000, spinta dal crescente scetticismo nei confronti delle performance dei gestori attivi e dalla maggiore consapevolezza dell’importanza dei costi nella determinazione dei rendimenti netti per gli investitori.
I primi ETF europei (i LDRS DJ STOXX 50 e LDRS DJ EUROSTOXX 50, sponsorizzati da Merrill Lynch) sono stati quotati l’11 aprile del 2000 alla Deutsche Börse. A pochi giorni di distanza, il 28 aprile 2000, è stato quotato alla Borsa di Londra l’ETF iShares FTSE 100.
“Già in queste prime emissioni si potevano intravvedere alcune delle caratteristiche che avrebbero guidato la trasformazione degli investimenti in Europa nei decenni successivi: acronimi legati ai principali indici azionari globali, come il FTSE 100 e lo STOXX 50, e ruolo centrale di istituzioni finanziarie come Merrill Lynch e iShares” osserva Rocchetti.
E un percorso in forte espansione e diversificazione. Il successo degli Etf a reddito fisso
Se all’inizio i principali fondi si concentravano sull’investimento in grandi indici azionari ben consolidati, come appunto il FTSE 100 o lo STOXX 50, caratterizzati da una comprensione immediata e da una struttura relativamente semplice, oggi emerge una dinamica di mercato diversa rispetto al passato, con gli ETF a reddito fisso che si sono distinti per una raccolta netta di 93,07 milioni di dollari a marzo 2025, segnando una forte domanda da parte degli investitori. Anche gli ETC (Exchange Traded Commodities) offrono esposizione al comparto delle materie prime e hanno evidenziato un interesse rilevante, con afflussi pari a 1,2 miliardi di dollari.
Fino alla rapida ascesa del segmento a gestione attiva
Parallelamente, un segmento in rapida crescita come quello degli ETF a gestione attiva ha registrato una raccolta netta di 3,6 miliardi di dollari. Sia gli ETF attivi che gli ETC evidenziano come gli ETP si siano evoluti nel tempo: nel caso delle materie prime, ad esempio l’oro, molti fondi ora replicano il prezzo a pronti e detengono effettivamente riserve fisiche.
Allo stesso modo, gli ETF attivi si configurano come fondi, ad esempio azionari e obbligazionari gestiti attivamente, andando oltre i tradizionali modelli passivi di semplice replica di un indice, sia essa fisica o sintetica. In fin dei conti, gli ETF sono veicoli all’interno dei quali può essere inserito un benchmark da replicare passivamente oppure da provare a battere attraverso un mandato a un gestore. Certamente, gli ETF attivi introducono un livello di gestione più sofisticato, che può generare aspettative diverse in termini di obiettivi, performance e rischi, dice Rocchetti.
Come nel mito di Icaro: volare più del mercato. E superare i fondi
Uno dei motivi principali per cui gli ETF indicizzati a basso costo sono decollati inizialmente nella loro forma passiva è un principio ampiamente riconosciuto dagli economisti accademici: i mercati sono per lo più efficienti e risulta difficile per un gestore di fondi, anche il più talentuoso, ottenere costantemente risultati superiori al mercato, dice Rocchetti. “Ecosistemi complessi come i mercati azionari prosperano grazie al cambiamento, al caos e alle narrazioni. Il mercato si adatta costantemente alle nuove informazioni, un processo che può sembrare casuale se si osservano le fluttuazioni quotidiane dei prezzi delle azioni”.
Tuttavia, esiste una verità fondamentale nel modo in cui i mercati prezzano le principali classi di attivo: la maggior parte delle volte il mercato ha ragione e prezza i titoli in modo efficiente, duce Rocchetti. Ciò rende estremamente difficile per i gestori di fondi superare la casualità del mercato. Sebbene non sia impossibile “battere il mercato”, numerosi studi hanno dimostrato che la maggior parte dei selezionatori di titoli, ossia i gestori di fondi, finisce per ottenere performance inferiori rispetto al mercato di riferimento, specialmente al netto dei costi mediamente elevati che solitamente accompagnano i fondi comuni di investimento a gestione attiva.
Inoltre, un’analisi di Morningstar del 2024 dimostra come anche su benchmark relativamente ampi e tradizionali come l’azionario globale large cap, la resilienza degli ETF alla “prova del tempo” sia superiore a quella dei fondi attivi tradizionali: solamente il 35% dei fondi è “sopravvissuto” (non è stato quindi liquidato o fuso) nell’orizzonte di 15 anni rispetto al 53% dei cugini ETF.
L’opzione di scommettere su singoli titoli. L’esempio di Nvidia
Tutto ciò non impedisce agli investitori, sia individuali, sia istituzionali, di provare a “battere il mercato“, spesso speculando su singoli titoli. Sebbene questa pratica possa occasionalmente generare soddisfazioni, la realtà è che, se si desidera gestire correttamente sia il rischio che la performance, una strategia diversificata come quella offerta da un fondo risulta essere più sensata, dice Rocchetti. Consideriamo, ad esempio, Nvidia: sebbene sia un chiaro leader nel settore dell’intelligenza artificiale, scommettere esclusivamente su questa società potrebbe significare perdere il prossimo leader del settore. Un ETF che traccia il settore dell’IA, al contrario, potrebbe includere Nvidia, ma non si precluderebbe la possibilità di investire anche in altri potenziali campioni futuri grazie alla diversificazione.
Entro il 2030 visto il patrimonio gestito salire a 6 trilioni di dollari
Pur non mancando sfide ancora aperte, in soli 25 anni gli ETF hanno compiuto significativi progressi e ci sono buone probabilità che continuino a crescere al ritmo attuale, se non addirittura più rapidamente, dice Rocchetti. Pensiamo, ad esempio, all’incremento del numero di investitori retail che scelgono di gestire il proprio futuro finanziario in maniera digitale, tramite app e piattaforme online: secondo un report di Blackrock il 75% degli investitori in Europa accede agli ETF tramite piattaforme digitali.
O ancora, pensiamo alla straordinaria versatilità degli ETF: che si tratti di costruire un portafoglio diversificato di azioni dell’area euro o ottenere esposizione ai Treasury Usa a 10 anni, questi strumenti rappresentano l’unica soluzione in grado di combinare accessibilità, ampiezza dell’offerta e facilità operativa. “Nessun altro veicolo di investimento tradizionale garantisce un simile livello di flessibilità ed efficienza” dice. Questo permette il loro utilizzo all’interno di diversi wrapper (ad esempio Gestioni Patrimoniali, polizze vita o fondi pensione) da parte di investitori professionali e istituzionali.
Gli analisti di JP Morgan prevedono che il patrimonio gestito tramite ETF in Europa toccherà i 6 trilioni di dollari entro la fine del 2030, un traguardo che, se raggiunto, rappresenterebbe un risultato straordinario in soli tre decenni. L’Europa, sebbene con tempistiche e intensità diversa, appare destinata a seguire la traiettoria tracciata dagli Stati Uniti, dove ETF e fondi comuni di investimento indicizzati rappresentano ormai una componente dominante nei portafogli degli investitori.
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