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Acemoglu: «Trump sta distruggendo gli Usa. La sfida più grande è salvare la democrazia»

DiAdessonews

Mag 31, 2025 #accordi, #acemoglu, #agire, #americana, #americani, #Artificiale, #aspetto, #asset, #attacco, #attori, #aziende, #cambiamento, #capacità, #Cina, #cinque, #cinque dieci, #civile, #competizione, #Comune, #concentrare, #concentrare potere, #concentrare potere mani, #concorrenza, #controllo, #cooperazione, #coordinare, #costi, #crede, #crescente, #crescente disuguaglianza, #crescita, #Dazi, #deboli, #Democratica, #democratiche, #democratiche uniti, #democrazia, #democrazia americana, #devono, #dieci, #difendere, #difesa, #difesa politica, #difesa politica estera, #dipende, #dipende istituzioni, #diretta, #distruggendo, #disuguaglianza, #Donald, #donald trump, #dovrebbero, #economia, #economica, #economica istituzionale, #economiche, #economiche inclusive, #efficace, #esecutiva, #esecutiva vincoli, #ESTERA, #estera innovazione, #europa, #europa farcela, #europa prendersi, #europa prendersi responsabilità, #europeo, #facebook, #farcela, #fiducia, #formare, #forti, #fredda, #fredda economica, #fredda economica istituzionale, #Future, #garantire, #giudiziario, #gli, #globale, #grande, #Harvard, #innovazione, #integrazione, #intelligenza, #intelligenza artificiale, #istituzioni, #istituzioni democratiche, #libertà, #mani, #minaccia, #più, #pochi, #politica, #Politica Estera, #politico, #possibile, #possono, #potere, #prosperità, #salvare, #serve, #sfida, #sistema, #sistema giudiziario, #società, #Società civile, #sta, #Trump, #Uniti, #Università, #Usa
Acemoglu: «Trump sta distruggendo gli Usa. La sfida più grande è salvare la democrazia»


di
Giuliana Ferraino

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Il Premio Nobel: l’attacco a Harvard è criminale. L’Europa può ancora farcela, ma servono più integrazione e investimenti in innovazione. E più concorrenza per ridurre il potere di Google e Facebook

La sfida più urgente del nostro tempo è «salvare la democrazia americana», messa in pericolo dalla «presidenza esecutiva e senza vincoli di Donald Trump», che sta distruggendo gli Stati Uniti, sostiene Daron Acemogli, 57 anni, economista di origine turca, naturalizzato statunitense, docente al Mit e Premio Nobel per l’Economia nel 2024 con Simon Johnson e James A. Robinson. E dai dazi all’assalto contro le università, spiega perché questo rappresenta un serio problema per tutto il pianeta. «L’unico (piccolo) aspetto positivo dell’era Trump – aggiunge -è che costringe l’Europa a prendersi le responsabilità in difesa, politica estera e innovazione. Ma deve investire di più e coordinare gli sforzi».

Professore Acemoglu, il suo lavoro dimostra come le istituzioni determinino il successo o il fallimento delle nazioni. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ritiene che le istituzioni democratiche statunitensi siano ancora abbastanza forti da garantire prosperità e libertà a lungo termine?
«Le istituzioni negli Stati Uniti sono già fragili e Trump sta infliggendo danni significativi. Sta assumendo il controllo delle agenzie governative, che nel corso del XX secolo hanno rappresentato un importante freno al potere presidenziale, e ha influenza su alcune parti del sistema giudiziario. Rimane solo una parte del potere giudiziario e un po’ della società civile come baluardi, ma la società civile è demoralizzata. Il progetto di Trump è chiaro: creare una presidenza esecutiva senza vincoli, il che gli consentirebbe di agire in modo più arbitrario e cleptocratico. Le istituzioni, già deboli, stanno diventando ancora più vulnerabili e questo mette in serio pericolo la capacità degli Stati Uniti di garantire prosperità e libertà a lungo termine».




















































In che misura l’amministrazione Trump sta smantellando attivamente le istituzioni democratiche negli Stati Uniti? Quali segnali trova più allarmanti. E c’è ancora spazio per una resistenza democratica significativa?
«Trump sta smantellando le istituzioni democratiche in modo tale da rendere possibili azioni arbitrarie. Controlla entrambe le camere del Congresso, il che amplifica la sua capacità di agire senza restrizioni. Il segnale più allarmante è il suo tentativo di consolidare il potere, minando le istituzioni che garantiscono competizione, innovazione e giustizia.
La prosperità americana, soprattutto negli ultimi 70 anni, è dipesa dall’innovazione. L’innovazione è orientata al futuro, dipende da un sistema giudiziario che funzioni, dalla concorrenza, dalla fiducia delle persone che se hanno successo, possono crescere e ottenere contratti governativi o saranno in grado di resistere alle misure degli operatori storici, essere in grado di ottenere brevetti, tutte cose che dipendono da istituzioni abbastanza forti. Anche il sistema finanziario americano dipende dalle istituzioni. La posizione degli Stati Uniti come asset sicuro e liquido dipende dalle istituzioni. Quindi, se guardate ogni aspetto della forza economica americana, dipende dalle istituzioni. Queste sono esattamente il tipo di istituzioni che Trump sta cercando di distruggere. Il risultato sono costi economici molto più alti, ma non subito. Dai dazi, vedrete questi costi immediatamente. Ma se danneggiate le istituzioni, i costi si manifesteranno tra cinque anni, dieci anni. Però c’è ancora spazio per una resistenza democratica, soprattutto attraverso il sistema giudiziario e la società civile, anche se quest’ultima è indebolita. La diagnosi corretta è che questo smantellamento non solo minaccia la democrazia, ma anche la prosperità economica, che dipende fortemente da istituzioni solide».

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I dazi sono tornati a essere uno strumento politico centrale, anche contro le tecnologie verdi e i materiali critici. Queste misure protezionistiche sono una minaccia per la crescita globale o possono essere giustificate come risposta a squilibri commerciali di lunga data?
«Non esiste alcuna teoria economica che giustifichi i dazi come li sta implementando Trump. Non si tratta di economia, ma di politica: l’obiettivo è concentrare il potere nelle mani del presidente. I dazi sono progettati per massimizzare la capacità di Trump di negoziare accordi con aziende domestiche, come Apple, o con governi stranieri, creando un sistema in cui lui ha il controllo totale. Questo genera enorme incertezza per le imprese e danneggia i consumatori americani. Inoltre, il deficit commerciale degli Stati Uniti non è il problema che Trump dipinge: è il risultato di un surplus di capitale, dovuto alla fiducia globale nelle istituzioni e nei mercati americani. Danneggiando queste istituzioni, Trump rischia di minare la posizione privilegiata degli Stati Uniti come detentore di asset sicuri e liquidi, con conseguenze economiche che si vedranno tra cinque o dieci anni».

Crede che questo comportamento provocherà una recessione come temono molti Ceo americani?
«No, non direttamente. Non la parte più grave di cui sto parlando, perché gli effetti non saranno immediati. Ma i dazi lo faranno».

L’Europa deve affrontare la sfida di rimanere competitiva in un mondo in cui gli Stati Uniti non sono più un partner completamente affidabile. È davvero possibile costruire un modello europeo equo ed efficace, autonomo e competitivo a livello globale? Quali riforme istituzionali sono necessarie?
«L’Europa può farcela, ma richiede un cambiamento di mentalità e investimenti significativi. L’unico piccolo lato positivo dell’era Trump è che sta costringendo l’Europa a prendersi la responsabilità della propria difesa, politica estera e innovazione. L’Europa è indietro nelle tecnologie digitali e deve colmare questo divario. Per quanto riguarda le riforme, serve una maggiore integrazione a livello di politica estera e di difesa, con la Commissione europea e il Parlamento europeo che abbiano il potere di coordinare i governi membri. Questa integrazione non implica che i Paesi più forti debbano sostenere finanziariamente quelli più deboli. Non significa, ad esempio, che i tedeschi devono garantire la spesa greca, anche se la Grecia ora sta andando meglio della Germania. Mi riferisco a una cooperazione più stretta su questioni che non generano grandi resistenze tra gli elettori, come la politica estera».

La sua ricerca mostra che le istituzioni economiche inclusive sono essenziali per la crescita e la democrazia. In un contesto di crescente disuguaglianza, come possiamo ricostruire istituzioni che espandano le opportunità economiche e la partecipazione dei cittadini invece di concentrare il potere nelle mani di pochi?
«La crescente disuguaglianza e l’ascesa di oligarchi, specialmente nel settore tecnologico, sono problemi gravi. Per contrastarli, i partiti di centrosinistra devono concentrarsi di più sulle questioni della classe lavoratrice, ricostruendo fiducia tra i lavoratori manuali e le comunità locali. Serve un’agenda che promuova opportunità economiche inclusive e partecipazione civica, opponendosi alla concentrazione del potere. Questo è un tema complesso, che sto affrontando nel mio prossimo libro, ma richiede un impegno politico per ricostruire istituzioni che favoriscano la condivisione della prosperità».

Le università, inclusa Harvard, sono sempre più sotto attacco politico negli Stati Uniti, accusate di essere elitiste o ideologicamente di parte. Cosa ci dice questo sullo stato della democrazia americana? E quale ruolo dovrebbero giocare le università nel difendere le norme democratiche e nel formare le future generazioni?
«Gli attacchi di Trump alle università sono criminali e minacciano la leadership scientifica degli Stati Uniti, un pilastro fondamentale dell’innovazione. Harvard sta facendo la cosa giusta resistendo a Trump, ma le università non dovrebbero diventare attori politici organizzando l’opposizione diretta al presidente. Devono invece difendere la libertà di parola e di pensiero, un’area in cui hanno fallito, cedendo a pressioni di gruppi attivisti che hanno limitato voci conservative o impopolari. Le università devono essere in prima linea nel promuovere la libertà di pensiero, con un dibattito aperto e inclusivo, essenziale per la democrazia e per formare generazioni future».

Lei sostiene che la tecnologia non è neutrale: può rafforzare o minare la democrazia. Oggi abbiamo l’intelligenza artificiale generativa sempre più controllata da pochi attori privati: la considera una minaccia? E come possiamo riorientare il progresso tecnologico verso il bene comune?
«L’intelligenza artificiale, come discusso nel mio libro “Power and Progress”, può essere diretta in modo da favorire i lavoratori e la democrazia, ma attualmente le decisioni sono lasciate a poche aziende della Silicon Valley, che non danno priorità alla prosperità condivisa. L’AI Act europeo è un passo avanti, ma debole. Serve maggiore competizione per ridurre il potere di colossi come Google e Facebook. Gli Stati Uniti, sorprendentemente, stanno facendo di più in questo senso rispetto all’Europa. Dobbiamo fare scelte deliberate per orientare l’AI verso il bene comune, non lasciandola nelle mani di pochi».

Tra Stati Uniti, Cina ed un’Europa più fragile, sembra che ci stiamo dirigendo verso un mondo multipolare instabile. Crede ancora che sia possibile una governance globale efficace o stiamo entrando in una nuova guerra fredda economica e istituzionale?
«Una governance globale è possibile, ma non sarà centralizzata in un’unica organizzazione. Deve basarsi su cooperazione, coordinamento e deliberazione tra le potenze. La demonizzazione della Cina da parte di Trump e Biden, alimentata dalla corsa all’intelligenza artificiale e alla supremazia tecnologica, crea un ambiente conflittuale. Però ci sono aree, come il cambiamento climatico, le pandemie e la regolamentazione dell’AI, in cui Stati Uniti e Cina possono trovare accordi. Senza comunicazione, il rischio di una nuova guerra fredda economica e istituzionale è reale, e le istituzioni dell’ordine internazionale stanno già subendo un deterioramento».

Se dovesse indicare una singola sfida che definisce il nostro tempo quale sceglierebbe?
«Non c’è una singola sfida, ma in questo momento la priorità è difendere la democrazia americana. L’erosione delle istituzioni democratiche negli Stati Uniti ha implicazioni profonde per il mondo intero».

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31 maggio 2025 ( modifica il 31 maggio 2025 | 07:07)

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