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l’open source perfetto per la sovranità


L’approccio Red Hat in Europa punta a considerare l’open source come la migliore garanzia per la sovranità e la compliance.

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Con cosa si potrebbe iniziare un’intervista con Julio Guijarro, Chief Technology Officer EMEA di Red Hat, se non parlando di sovranità dei dati? Red Hat ha un’idea molto chiara sul tema sovranità e Guijarro è qui al Red Hat Summit di Boston per raccontarcela. “La situazione in Europa è particolare – spiega il manager -, in generale il contesto geopolitico e i Governi stanno guidando certi comportamenti, anche delle aziende private. Red Hat è in una posizione unica: tutto ciò che sviluppiamo è aperto, noi mettiamo a fattor comune il lavoro della nostra community open source mondiale, rendendo disponibile alle aziende innovazione e conoscenza”.

Il fatto di essere 100% open source significa che il cliente ha piena disponibilità e il totale controllo del codice applicativo, in fondo – sono parole di Guijarro – con l’accesso al codice, nessuno ti può impedire di gestirlo, di personalizzarlo, di modificarlo. Dal pieno controllo sul codice applicativo dell’infrastruttura, il passo al pieno controllo sui dati è breve. Allo stesso modo, il controllo sul codice è una garanzia di protezione in più. Insomma “Red Hat non fornisce soluzioni “sovrane” ma piattaforme che permettono di costruirle” per dirla con le parole del manager.

La consapevolezza dei benefici dell’open source in Europa cresce costantemente, Guijarro ricorda le scelte del governo olandese e di quello svizzero, che ormai da tempo si è affidato all’open source, e i casi applicativi più recenti, come quello del governo di Castilla-La Mancha presentato al Red Hat Summit 2025 di Boston.

In particolare, il governo olandese ha commissionato uno studio per individuare le garanzie di privacy dell’open source. Ciò significa che l’interesse verso l’open source continua a crescere e sembra che si sia superata la banale e fondamentalmente scorretta motivazione economica. Oggi, anche agli occhi di aziende e PA europee, l’open source è una scelta non solo concorrenziale ma, proprio per la sua natura aperta, forse preferibile a soluzioni proprietarie e chiuse. Per questo, Red Hat cavalca l’onda lavorando molto per dimostrare la piena compliance delle proprie soluzioni (per l’infrastruttura, lo sviluppo applicativo e la virtualizzazione) all’AI Act e al GDPR.

Le aziende puntano al locale

Pur non dimenticando il mare di opportunità fornite dalle aziende europee, si comprende come Guijarro abbia particolarmente a cuore il settore pubblico. Un settore complesso, denso di soluzioni proprietarie e obsolete, che inizialmente ha approcciato le strutture globali degli hyperscaler mentre ora, proprio per questioni di sovranità e privacy, sta ripensando le proprie scelte a favore di fornitori cloud locali e managed service provider.

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Per questo – prosegue il manager Red Hat – lavoriamo in partnership con fornitori cloud e operatori locali spingendo per ampliare la conoscenza e, soprattutto, fornire strumenti e skill necessari a modellare e manutenere una piattaforma open. In concreto, educhiamo i clienti con gli stessi strumenti formativi che mettiamo a disposizione della nostra community di sviluppatori e del nostro canale”.

Parlando di criticità di progetto, Guijarro sostiene che in Europa si soffre certamente per la mancanza di competenze adeguate ma, in fase di approccio con il cliente, ciò che salta all’occhio sono le criticità relative ai processi e alla gestione dell’infrastruttura. “Dopo che gli hyperscaler hanno presentato il conto – afferma il manager – le aziende si stanno indirizzando verso il cloud ibrido e, soprattutto, il consolidamento del cloud e ciò ha aperto la strada a soluzioni di virtualizzazione come la nostra (Red Hat Openshift Virtualization)”.

L’AI dipende dal fornitore IT

Dunque, ci vogliono competenze interne e capacità di gestione (anche e soprattutto) in Europa. Si deve passare definitivamente a un paradigma di microservizi, alla containerizzazione e alla virtualizzazione delle risorse hardware per contenere i costi. E si deve insistere sulla scelta di un approccio che porti realmente innovazione. “Siamo in una fase – dice ancora Guijarro – in cui i CIO forse non si rendono ancora conto pienamente dei rischi di un approccio chiuso alla tecnologia. Allo stesso tempo, c’è da tenere d’occhio la regolamentazione, vigilando sul fatto che non ostacoli lo sviluppo tecnologico aperto e condiviso”. Anche perché non c’è tempo. Non si sta parlando di futuro e futuribile ma di qualcosa, leggi AI, che è qui ora.

La valutazione da parte delle aziende clienti dei nuovi fornitori di infrastruttura incide su quale AI sarà disponibile. “Il dove le aziende decidano di posizionare i propri dati – osserva il manager – influisce sull’AI disponibile. Il cambio del fornitore di servizi e di cloud potrebbe limitare l’accesso agli strumenti AI visto che si sarebbe limitati a ciò che può offrire il fornitore stesso”.

La proposta vLLM di Red Hat, di cui racconteremo più approfonditamente, va proprio in questa direzione: scelta libera e integrazione dei modelli utilizzabili dall’AI integrata nella piattaforma. “Stesso principio di base di Linux o di JBoss – ricorda il manager – ciò che abbiamo agevolato con il codice per l’elaborazione lo vogliamo applicare all’AI, per rendere più semplice la gestione dell’AI e aprire a un accesso più esteso possibile alle opportunità tecnologiche”. “Si tratta di un viaggio lungo (e complesso), ma manager e aziende devono pensarci ora perché le decisioni che stanno prendendo oggi avranno un impatto su ciò che sarà nel futuro la loro tecnologia e il vantaggio sul mercato del futuro”.

Red Hat, dunque, vuole aprire l’AI, esattamente come ha fatto con il codice. “Finora l’AI è stata una scatola nera nelle mani di pochi laboratori di ricerca o di aziende molto grandi e potenti – prosegue Guijarro -, noi ci adoperiamo per rendere l’AI aperta e maggiormente disponibile, oltre che sicura, garantita e libera da allucinazioni. Ma è un lavoro da svolgere con la giusta lentezza, credendo con fiducia che i progressi arriveranno velocemente”.

D’altronde, questa affinità tra i principi storici dell’open source e quelli che si stanno ancora costruendo relativamente all’AI è stata segnalata da più parti. Lo stesso Ceo di DeepSeek, servizio AI open, ha speso più volte apprezzamenti sulla propria scelta.

L’Europa potrebbe rimanere indietro

C’è molto lavoro da compiere e, come sempre, si tratta di spingere sulla cultura e sulla formazione. Rispetto ad altre aree geografiche di competenza del manager Red Hat come il Medio Oriente, ciò che si osserva, soprattutto a livello governativo, è un forte interesse verso l’AI, per esempio, negli strumenti intelligenti per l’automazione nella gestione dell’infrastruttura IT in generale e nello sviluppo del codice applicativo e delle personalizzazioni. “Alla conferenza di apertura dell’ultimo evento sull’AI a Dubai – sottolinea il manager – il messaggio è stato chiaro: il futuro (della tecnologia) è open source e AI”.

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In definitiva, Julio Guijarro ricorda la coerenza negli anni con i valori open source di Red Hat anche quando il mercato puntava a modelli chiusi. E questo mantenere la barra dritta oggi potrebbe pagare più che mai, soprattutto in Europa. In fondo, non c’è assolutamente bisogno di “reinventare la ruota” ma di sfruttare risorse e competenze open source esistenti, partecipando attivamente allo sviluppo condiviso. “Il futuro è ancora open source e chi si ostina a lavorare su ambienti chiusi si espone a rischi enormi – parola di Red Hat”.



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