Di padre in figlio. Il 73% delle aziende familiari italiane è concentrato in cinque regioni – Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Lazio – mentre il restante 27% è distribuito in maniera frammentata nelle altre 15 regioni del Paese. Il dato emerge da un ricerca di Kpmg con la School of Management del Politecnico di Milano. Questo squilibrio territoriale sembrerebbe riflettere non solo le disparità imprenditoriali storiche tra Nord e Sud, ma anche le diverse dinamiche di sviluppo locale. La Lombardia è la regione più rappresentata, con circa il 33,3% delle aziende familiari censite. A seguire, il Veneto occupa il secondo posto con il 13,3%. In terza posizione si trova l’Emilia Romagna, che ospita circa l’11,8% delle aziende familiari italiane, mentre Piemonte e Lazio seguono rispettivamente con l’8% e il 6,6%.
«Il Piemonte – spiega Bernardo Bertoldi, professore associato presso il dipartimento di Management dell’Università di Torino – ha un’imprenditorialità più antica rispetto ad altre aree. Questo ha fatto sì che le nostre imprese hanno portato a termine prima i passaggi generazionali e sono andati bene. Un punto debole è che l’economia piemontese non è cresciuta particolarmente quindi le aziende hanno un passato glorioso ma ora faticano un po’. Anche perché le società nate in un settore difficilmente cambiano. Altro aspetto complesso è che stiamo arrivando alle generazioni dei cugini». Il professore spiega che mentre al primo passaggio, tra padre e figli, c’è una conoscenza approfondita, dalla terza generazione in poi i soci aumentano e c’è meno capacità di lavorare insieme. «Questo genera la necessità di maggiore comunicazione ed è necessario stabilire criteri codificati per prendere decisioni, trovare modi innovativi per crescere e identificare meccanismi di controllo familiare che funzionino». In Piemonte il 55% delle imprese con un fatturato sopra i 50 milioni sono aziende familiari. «Ogni volta che una famiglia azionista non riesce a tenere un’azienda e la chiude si perdono posti di lavoro e capacità tecnologica» evidenzia Bertoldi.
L’avvertimento è che i manager servono sempre, anche per affiancare imprenditori molto bravi. «È indispensabile assicurarsi che figure professionali capaci restino in azienda e ciò succede quando le remunerazioni sono in linea con il mercato, c’è una catena di comando chiara ed è possibile fare carriera. Ci vuole un contesto in cui i manager siano invogliati a rimanere nell’impresa, cosa possibile solo se la famiglia è disposta a dare spazio ai più bravi».
In tale ambito l’Unione Industriali Torino ha sviluppato il progetto “Family business”, giunto ormai alla quarta edizione, che annualmente supporta le imprese familiari nella transizione verso modelli gestionali più strutturati e resilienti. Un’iniziativa, realizzata con il contributo della Camera di Commercio di Torino, che mira a individuare i possibili percorsi attraverso cui agevolare i processi di passaggio di consegne alle nuove generazioni e rafforzare gli assetti societari, a garanzia di una successione pianificata e gestita, contemplando inoltre un apposito percorso formativo, sviluppato in seno alla stessa Unione Industriali dal suo centro di formazione Skillab. E l’associazione confindustriale ha anche recentemente attivato uno sportello M&A che, operando in linea generale per accompagnare l’attivazione di strumenti finanziari, può ulteriormente assistere le realtà familiari nel definire una strategia per il passaggio generazionale e la continuità aziendale. «Questi argomenti in alcune imprese sono tabù e già averne parlato ha aiutato. Abbiamo sempre avuto come interlocutori anche le nuove generazioni, questo garantisce continuità per altri cinquant’anni» sottolinea Bertoldi, che collabora con l’associazione degli industriali.
«Il nostro obiettivo – evidenzia Filippo Sertorio, presidente della Piccola dell’Unione Industriale – è aiutare le imprese familiari ad affrontare una serie di temi legati alla governance, oltre che al passaggio generazionale. Il messaggio è che non c’è un’unica soluzione, ma è molto importante farsi aiutare per comprendere la visione dell’azienda e su quello lavorare per gestire il futuro e non patirlo. Si soffre perché si arriva impreparati, invece bisogna affrontarlo quando le cose vanno bene, in modo da organizzarsi». E aggiunge: «La mia visione è che piccolo oggi non è più così bello. Bisogna trovare il modo per crescere e il nodo non è la piccola impresa ma il piccolo imprenditore che subisce il mercato e non sa leggerlo».
Un esempio positivo è ciò che è accaduto alla Labinf, società che opera nel mercato dell’Information Technology da oltre 40 anni, ora guidata da Chiara, Giorgio e Lucia, seconda generazione imprenditoriale della famiglia Morizio. «Abbiamo intrapreso questo percorso da qualche anno, in modo graduale e ora si può considerare completato. Un punto di forza è la coesistenza di entrambe le generazioni: è importante avere una supervisione da parte di nostro padre» racconta Lucia Morizio, che si occupa di business development. «Già quindici anni fa si è posta la scelta di cosa fare perché i miei soci non avevano continuità. Ne ho parlato con i miei figli e loro si sono detti pronti a proseguire, appena finiti gli studi. Ora non ho più funzioni inderogabili. Si è concluso un ciclo, per me è stato molto positivo vedere che qualcosa che ha rappresentato la mia vita viene portata avanti e sviluppata» aggiunge il fondatore, Carlo Morizio. La Labinf ha partecipato al progetto dell’Unione Industriali. «Un progetto che ci è stato molto utile per comprendere come procedere. Abbiamo inserito un approccio più strutturale e managerializzato, differenziato i prodotti e ora valutiamo un’acquisizione» commenta Lucia Morizio.
Esperienza simile a quella vissuta da Matteo Lanzi e da suo padre Luigi Lanzi, dell’omonimo gruppo torinese che si occupa di guanti da lavoro e in generale di sistemi di sicurezza. «Nel cda abbiamo cinque componenti di cui tre esterni alla famiglia. Mio figlio non è in consiglio ma dirigente ed è entrato dopo importanti esperienze all’estero. Con lui è entrata anche mia nuora e organizziamo periodicamente delle riunioni per discutere delle questioni familiari legate all’azienda. Il gruppo – conclude Luigi Lanzi – è cresciuto molto, abbiamo in programma alcune acquisizioni e l’obiettivo è superare i 30 milioni di fatturato».
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