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8° Rapporto Agromafie, cresce il volume d’affari della malavita


Dall’8° Rapporto Agromafie emerge un dato preoccupante: nel 2011 il volume d’affari delle agromafie era di 12 miliardi di euro, oggi ha superato i 25 miliardi. Il valore dell’agroalimentare ha calamitato l’attenzione delle agromafie, che hanno investito in tutti i settori della filiera

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Da sinistra, Fabrizio Parrulli, Ettore Prandini, Guido Franceschetti e Vincenzo Gesmundo (foto Coldiretti)

Cresce il volume d’affari della criminalità organizzata

I dati di Agromafie – 8° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia – a cura di Fondazione Osservatorio sulla criminalità sull’agricoltura e sul sistema agroalimentare, Coldiretti ed Eurispes – mandano un messaggio chiarissimo: non abbassare la guardia.

L’8°Rapporto Agromafie, che il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo ha definito «una forma di vigilanza democratica» mette in guardia sul fatto che «non si tratta più di infiltrazione della criminalità, è un dato ormai consolidato e strutturale in un settore altamente vulnerabile».

Quanto vale la filiera agroalimentare

La filiera agroalimentare vale 620 miliardi, quasi 70 miliardi di export e 4 milioni di occupati: un business imperdibile, e la malavita segue il business.

L’agroalimentare è diventato sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali. Sappiamo quale sia il valore del settore rispetto al Pil e i numeri dell’export: questo ha “ingolosito” le agromafie, che hanno investito in tutti i settori della filiera.

Un dato chiarisce il fenomeno alla perfezione: nel 2011 il volume d’affari delle agromafie era di 12 miliardi di euro, oggi ha superato i 25 miliardi. Se alle varie forme di contraffazione si aggiunge l’Italian Sounding, si superano i 120 miliardi.

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In questa categoria di frode alimentare rientrano anche gli alimenti prodotti altrove che, grazie al principio di ultima trasformazione contenuto nell’attuale codice doganale, vengono spacciati per italiani anche se non lo sono.

Indicare in etichetta il Paese di origine dei prodotti alimentari è una battaglia di Coldiretti, che ci auguriamo si concluda positivamente.

I colletti bianchi della criminalità organizzata

La realtà criminale è più avanti delle norme e delle sanzioni, e utilizza con destrezza le nuove tecnologie.

Non pensiamo all’agromafia come un sistema gestito da ometti con la coppola che parlano un dialetto incomprensibile: oggi è fatta da colletti bianchi, dalle nuove generazioni che hanno studiato nelle migliori università e si sono specializzati all’estero, padroneggiano i temi agroalimentari e quelli dell’alta finanza.

«Se non c’è l’etica dell’impresa si perde solo tempo. Da lì bisogna partire, perché la sanzione arriva quando la patologia è ormai grave. Oggi c’è finalmente un dato positivo: una nuova sinergia tra pubblico e privato, non più contrapposti ma collaboranti. Il pubblico aiuta il privato che rispetta le regole», ha affermato Francesco Paolo Sisto, vice ministro della Giustizia.

Land grabbing 2.0

Nell’8° Rapporto Agromafie ci sono tre parole chiave, ha sottolineato Alberto Mattiacci, presidente del comitato scientifico di Eurispes e ordinario di Economia e Gestione delle Imprese nella Sapienza Università di Roma: «Internazionalizzazione, strutturazione e sviluppo» che ben descrivono la capacità di penetrazione della criminalità organizzata in tutti i settori della filiera.

Se l’obiettivo principale sono i fondi pubblici e il controllo degli appalti, la malavita è presente anche nella ristorazione, nei mercati ortofrutticoli e nella grande distribuzione. Non mancano le frodi alimentari: prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount a prezzi stracciati.

I prodotti più colpiti sono vino, olio, riso inquinati da agrofarmaci vietati e prodotti importati dall’Europa dell’Est con false certificazioni bio.

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Infatti «inizialmente il fenomeno sembrava limitato alla fase distributiva e logistica, adesso siamo arrivati al land grabbing 2.0, cioè direttamente all’acquisto della terra. Non sembrano esserci attività immuni».

Molti fattori mettono in difficoltà le aziende agricole – uno su tutti la difficoltà di accesso al credito, ma anche l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla GDO – che aprono la strada all’usura.

Inoltre, «chi dispone di molta liquidità e la usa al di fuori di ogni forma di trasparenza rende più difficile qualunque controllo».

Le agromafie esportano il loro redditizio modello di business

Le nuove agromafie creano reti internazionali per reclutare manodopera all’estero, e non dobbiamo dimenticare il fattore consapevolezza, che all’estero manca: quindi la criminalità ha cominciato a “esportare” questo redditizio “modello di business”.

Una situazione che richiede l’attenzione delle istituzioni. Per questo Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ritiene molto positiva la proposta del Governo di rafforzare tutte le misure che possono prevenire i reati agroalimentari. «L’Italia è il primo paese a porre tanta attenzione alla contraffazione alimentari e a tutti i soggetti che vedono un’occasione di business criminale in una filiera di grande valore economico».

Una rete criminale internazionale

La rete criminale sta assumendo dimensioni globali. Un esempio è lo sfruttamento degli immigrati attraverso il caporalato, che è gestito da reti criminali italiane e straniere che svolgono un ruolo di agenzie di intermediazione illecita della manodopera agricola.

Queste reti, sfruttando anche i decreti flussi, organizzano l’arrivo di lavoratori soprattutto da India e Bangladesh in cambio di ingenti somme. Una volta in Italia, questi lavoratori vengono sfruttati, non hanno tutele e sono costretti a lavorare per saldare il debito contratto.

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Spesso le aziende agricole pagano in buona fede il servizio alla cooperativa, che invece paga i lavoratori anche il 40% in meno del contratto nazionale.

Se l’Italia è all’avanguardia nei controlli, il fenomeno è sottovalutato in Europa, dove le agromafie prosperano indisturbate.

Insegnare il rispetto delle regole

Dal punto di vista sociale, è ancora più grave lo sfruttamento dei bambini, che si potrebbe combattere con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità.

Coldiretti, insieme a Filiera Italia, sta cercando di portare questa attenzione a livello di Commissione Europea: «Se l’agroalimentare è un valore, come tale va difeso con la massima trasparenza all’interno della filiera e vanno denunciate le filiere marce.

Allo stesso modo, dobbiamo proteggere quello su cui abbiamo investito, ovvero le nostre denominazioni».  

Prandini insiste sulla necessità di portare l’educazione alimentare nelle scuole, per far capire il valore del cibo e insegnare il rispetto delle regole, anche sociali: «L’agroalimentare può essere una locomotiva per le future generazioni. Non si tratta di un valore economico e commerciale, ma di un valore che è anche culturale e identitario».

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L’8° Rapporto Agromafie evidenzia tanti punti critici

Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie e contro il caporalato, che ha denunciato anche in passato, a volte a costo di grandi critiche. Al contrario, ha dimostrato che denunciare è l’unica via per sconfiggere le agromafie e Prandini ha ringraziato l’instancabile lavoro delle Forze dell’Ordine.

Per questo, a proposito dei fondi PAC (Politica Agricola Comune) ha detto in modo inequivocabile che i fondi devono andare solo a chi rispetta le regole.

Se parliamo di regole, non si può tralasciare il libero scambio: «No alla chiusura dei mercati e sì all’internazionalizzazione e alla sovranità alimentare, il settore deve crescere. Abbiamo perso ettari di superfici coltivate, non siamo autosufficienti: importiamo complessivamente più della metà di quello che consumiamo», ha affermato Prandini.

Scoraggiare le pratiche sleali

A maggior ragione dobbiamo difendere il nostro patrimonio alimentare e scoraggiare le pratiche sleali dall’estero, cioè «da paesi che hanno regole diverse dalle nostre sugli agrofarmaci o sugli ormoni negli allevamenti. In base al principio di reciprocità, quello che entra in Italia deve avere le nostre stesse regole di sostenibilità ambientale, economica e sociale.A questo proposito, chiediamo all’UE di limitare il commercio di prodotti che sfruttano la manodopera minorile».

In Italia non c’è più criminalità, ci sono più controlli

Contrastare le agromafie è creare trasparenza nella filiera, garantire il giusto prezzo ed evitare speculazioni e abusi come lo sfruttamento della manodopera.

Il Governo, come ha dichiarato Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, ha istituito una cabina di regia per i controlli amministrativi di cui fanno parte tutte le istituzioni deputate ai controlli.

«Si dice che in Italia ci sia più criminalità, in realtà ci sono più controlli e si perseguono i reati. Il fattore tempo è determinante per contrastare la criminalità».

 

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Si è detto anche che la normativa non sia adeguata ai nuovi reati agroalimentari, lasciando di fatto il campo libero alle agromafie.

Il ddl agroalimentare a protezione del Made in Italy

Il ministro rivendica a tale proposito i contenuti del ddl agroalimentare, che inasprisce le sanzioni contro le frodi agroalimentari e introduce nuove sanzioni sia penali che amministrative per chi viola le normative in ambito alimentare: misure volte a proteggere il Made in Italy e garantire la qualità dei prodotti.

Il ddl istituisce i reati di agropirateria, di frode alimentare, di commercio di alimenti con segni mendaci; comprende, inoltre, misure più severe a tutela di Dop e Igp, la possibilità di donare gli alimenti sequestrati agli enti di carità e sanzioni proporzionate al fatturato aziendale per garantire maggiore equità.

«Erano dieci anni che aspettavamo l’approvazione della proposta di legge elaborata dal procuratore Caselli che ancora nessuno aveva avuto il coraggio di fare e che l’attuale Governo ha avuto la determinazione politica di concretizzare, potenziando per la prima volta gli strumenti a disposizione delle forze dell’ordine e della magistratura contro la criminalità dell’agroalimentare.

Chiediamo ora che il Parlamento proceda a una rapida approvazione definitiva superando le resistenze trasversali che arrivano da pezzi della grande industria in mano alle multinazionali e da segmenti della GDO», ha affermato Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti.

L’albero di Giovanni Falcone

Un messaggio particolarmente significativo e dal valore simbolico viene da un ramoscello dell’albero di Giovanni Falcone che il Generale di Corpo d’Armata Fabrizio Parrulli, comandante delle Unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri e il Governatore Rotary Club 2080 Guido Franceschetti hanno donato a Vincenzo Gesmundo e ad Ettore Prandini, che presiede anche l’Osservatorio Agromafie.

Coldiretti regalerà l’albero alla Cooperativa Sociale Terra Felix, un acceleratore di attività e di progetti culturali e sociali a vocazione ambientale attivo nell’area che si estende dalla periferia nord di Napoli a quella sud di Caserta, sui terreni confiscati al clan dei Casalesi.

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Terra Felix, che ha vinto il premio all’innovazione Oscar Green, sviluppa progetti educativi, sociali e ambientali anche su beni confiscati alla camorra, coinvolgendo persone con disabilità, giovani, scuole e comunità locali.

Non è un caso se il vaso con la pianta è stato consegnato nel corso della presentazione dell’8° Rapporto Agromafie: l’albero di Giovanni Falcone è un simbolo della lotta contro tutte le mafie. Un simbolo di speranza.

Leggi Agromafie – 8° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia



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