Il presente contributo analizza il Disegno di Legge n. 1407/2025 recante disposizioni in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, soffermandosi in particolare sulle principali novità introdotte, quali la partecipazione agli utili e, più in generale, il coinvolgimento dei lavoratori nella vita e nelle dinamiche aziendali.
1. Un cenno su contesto giuridico e sociale di riferimento
Con l’approvazione definitiva del Disegno di Legge n. 1407/2025 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, avvenuta al Senato il 14 maggio scorso, il Parlamento compie un passo significativo verso l’attuazione dell’art. 46 della Costituzione, ai sensi del quale «ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Una disposizione finora rimasta largamente inattuata. Il provvedimento, nato da un’iniziativa popolare e sostenuto da una raccolta di oltre 400.000 firme, si presenta come un testo articolato, capace di incidere sul diritto societario, sul diritto del lavoro e sul sistema fiscale, e si pone l’obiettivo dichiarato di promuovere un nuovo modello di relazioni industriali, più cooperativo, inclusivo e orientato alla sostenibilità economico-sociale delle imprese. Potremmo dire in linea con l’evoluzione dei principi di sviluppo e tutela di ambiente, società e governance (cd. “ESG”).
A differenza delle precedenti discipline o prassi aziendali, solo raramente e parzialmente regolata dalla legge, come i premi di risultato, i piani di stock option o le forme di welfare aziendale, la nuova disciplina costruisce un quadro normativo organico, nel quale le diverse forme di partecipazione – gestionale, economico-finanziaria, organizzativa e consultiva – si integrano in un disegno complessivo. Proprio l’organicità del testo e l’introduzione di tali diversi tipi di partecipazione rappresenta l’elemento di maggiore novità del provvedimento.
2. Il principio costituzionale ispiratore della nuova disciplina
L’art. 46 Cost. è parte di quel nucleo di norme programmatiche della Carta del 1948 che riflettevano una visione avanzata dei rapporti economici e industriali, fortemente influenzata dal pensiero del personalismo sociale e dalle esperienze delle economie sociali di mercato del secondo dopoguerra. A livello europeo, simili modelli di partecipazione sono presenti in diverse giurisdizioni. Un tipico esempio è il “Mitbestimmung” tedesco, che impone la presenza paritaria di rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese e rappresenta il paradigma più avanzato di questo approccio. In Italia, invece, l’approccio sindacale fortemente contrattualista e un tessuto produttivo fortemente caratterizzato dalle piccole e medie imprese, è stato uno dei fattori per il quale questo tipo di modello è sempre rimasto estraneo alla prassi aziendale.
In tale contesto, dunque, il DDL cerca di superare questa frammentazione, introducendo strumenti volontari ma normativamente disciplinati, che consentano l’inclusione del fattore lavoro nelle scelte strategiche dell’impresa, rafforzando al contempo i presìdi di legalità, trasparenza e coesione interna.
3. La partecipazione gestionale: apertura nei modelli societari
Sul piano della governance societaria, il DDL n. 1407/2025 introduce meccanismi di partecipazione dei lavoratori agli organi amministrativi o di sorveglianza delle società di capitali. Nelle società per azioni che adottano il modello dualistico (ai sensi dell’art. 2409-octies c.c.), è prevista la possibilità, da inserire nello statuto, la riserva di assegnazione di uno o più seggi del consiglio di sorveglianza a rappresentanti dei lavoratori, individuati secondo criteri di professionalità, onorabilità e indipendenza, nonché secondo modalità definite dalla contrattazione collettiva.
Nel modello societario tradizionale, invece, la partecipazione dei lavoratori si realizza mediante l’inserimento degli stessi nel consiglio di amministrazione o nel comitato per il controllo sulla gestione. In entrambi i casi, la partecipazione non è imposta, ma subordinata a una volontà statutaria e a un percorso di regolazione collettiva, lasciando ampi margini di autodeterminazione alle imprese e alle parti sociali. Questa scelta riflette una impostazione rispettosa dell’autonomia privata, ma al tempo stesso riconosce che la gestione dell’impresa non può più essere considerata un ambito impermeabile alla voce di chi vi contribuisce in modo sistematico e strutturale.
Il DDL, in questo senso, si fonda sull’idea che la partecipazione non sia incompatibile con l’efficienza gestionale, ma possa anzi costituire un elemento di rafforzamento della responsabilità strategica, della trasparenza decisionale e della resilienza organizzativa.
4. Partecipazione economico-finanziaria: nuove leve per la redistribuzione degli utili
Un secondo aspetto della riforma riguarda la partecipazione economico-finanziaria, introducendo un regime fiscale agevolato per le imprese che destinino una quota significativa degli utili alla retribuzione aggiuntiva dei dipendenti, con rilevanti benefici fiscali per le imprese che redistribuiscano tra i lavoratori almeno il 10% dell’utile.
Nello specifico, per l’anno 2025, la distribuzione ai lavoratori di una quota di utili non inferiore al 10% degli utili complessivi è soggetta a un’imposta sostitutiva elevata a 5.000 euro lordi (anziché 3.000 euro come attualmente in vigore). Si ricorda che ai fini della applicazione del regime fiscale sostitutivo, il reddito da lavoro dipendente non deve comunque superare 80.000 euro nell’anno precedente rispetto a quello di percezione degli importi e che l’aliquota dell’imposta sostitutiva è pari al 5% fino al 2027 per poi passare successivamente a tale data al 10%.
Inoltre, è altresì prevista una esenzione dei dividendi dalle imposte sui redditi per il 50% fino a 1.500 euro annui in caso di attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato nell’ambito di piani di partecipazione finanziaria.
Il legislatore riconosce così l’utilità di strumenti che, pur conservando natura volontaria, possano favorire una più equa distribuzione del valore prodotto, rafforzare il legame tra performance aziendale e retribuzione, e promuovere un maggiore senso di appartenenza dei lavoratori alla comunità d’impresa.
5. Partecipazione organizzativa: un nuovo protagonismo interno
La riforma valorizza anche una dimensione più sottile, ma altrettanto cruciale: la partecipazione organizzativa. Essa si realizza attraverso la costituzione di commissioni paritetiche, formate da rappresentanti aziendali e dei lavoratori, cui viene affidato il compito di elaborare proposte su temi strategici come innovazione, produttività, qualità del lavoro, sostenibilità ambientale e organizzazione dei processi.
Queste commissioni potranno avere carattere permanente oppure essere attivate per specifici progetti o ambiti funzionali. La legge incoraggia inoltre la designazione di “referenti partecipativi” aziendali per ambiti quali welfare, formazione continua, equità retributiva, benessere organizzativo e inclusione. Si tratta di strumenti che non incidono direttamente sul potere direttivo dell’impresa, ma che contribuiscono a creare un ecosistema organizzativo più collaborativo, favorendo la circolazione delle informazioni e la condivisione degli obiettivi.
Anche le PMI con meno di 35 dipendenti potranno adottare forme semplificate di partecipazione organizzativa, eventualmente tramite il supporto di enti bilaterali o associazioni di categoria, con l’obiettivo dunque di evitare che la riforma si traduca in un beneficio riservato solo alle grandi imprese, e che sia rivolta invece all’intero panorama dell’economia nazionale.
Si tratta di una previsione che si allinea direttiva Ue 2024/1760 sulla Corporate sustainability due diligence (cd. “CSDD”) la quale prevede che gli stati membri avranno l’obbligo di introdurre norme volte a potenziare per le grandi imprese la trasparenza nella divulgazione di informazioni attinenti alla gestione dei fornitori e al rispetto della normativa in tema di lavoro da parte dei medesimi nonché la condivisione di scelte, anche strategiche, in relazione alla gestione delle attività appaltate, in termini ben maggiori rispetto a quanto oggi generalmente previsto nei CCNL di settore.
6. Partecipazione consultiva: verso un diritto all’informazione rafforzato
Un’ulteriore innovazione riguarda l’introduzione della partecipazione consultiva, volta a rafforzare il diritto dei lavoratori – per mezzo delle relative rappresentanze – ad essere preventivamente informati e consultati su decisioni aziendali rilevanti. Il datore di lavoro è tenuto a rispondere entro 5 giorni dalla richiesta e ad attivare una consultazione che, salvo diverso accordo, si conclude entro 10 giorni. La legge impone la verbalizzazione dei pareri espressi e, nei 30 giorni successivi, obbliga l’impresa a motivare eventuali scostamenti rispetto alle osservazioni ricevute.
Questo meccanismo si avvicina a quanto già previsto a livello europeo dalla Direttiva 2002/14/CE, recepita con il D.Lgs. 25/2007, ma ne amplia l’ambito, includendo espressamente anche imprese non multinazionali e favorendo un dialogo più strutturato e continuo.
7. Un quadro istituzionale di supporto: la Commissione nazionale presso il CNEL
Al fine di garantire coerenza applicativa e promuovere un monitoraggio sistematico, la legge prevede l’istituzione, presso il CNEL, di una Commissione permanente per la partecipazione. Questa avrà funzioni consultive, propositive e di osservatorio, con il compito di redigere un rapporto biennale sullo stato della partecipazione in Italia, fornire pareri interpretativi non vincolanti e raccogliere le buone pratiche adottate a livello aziendale e territoriale.
8. Conclusione: verso un capitalismo partecipativo?
Al di là delle disposizioni tecniche, il vero obiettivo della riforma è quello di riformulare in un’ottica sinergica il rapporto tra capitale e lavoro, allontanandosi da una dialettica oppositiva e estendendo il rapporto di fidelizzazione tra azienda e lavoratori – oggi presente quasi esclusivamente per il solo management o per le sole figure dirigenziali – all’intera compagine lavorativa. In un contesto in cui le sfide della transizione ecologica, della digitalizzazione e della globalizzazione richiedono maggiore coesione sociale e visione di lungo periodo, l’inclusione dei lavoratori nei processi decisionali aziendali può rappresentare un vantaggio competitivo, oltre che una scelta etico-politica coerente con il dettato costituzionale.
La riforma non impone obblighi rigidi, ma costruisce un insieme di incentivi e strumenti che possono contribuire a ridurre l’asimmetria informativa e decisionale tra proprietà e lavoro, in linea con i modelli di stakeholder governance promossi a livello internazionale, anche da organismi come l’OCSE e la Commissione UE.
Resta ora la sfida dell’attuazione concreta, che passerà attraverso la contrattazione collettiva, l’adeguamento degli statuti societari, la formazione delle parti sociali, il recepimento attraverso apposite policies e regolamenti aziendali e, soprattutto, una più generale virata di tipo culturale all’interno delle imprese. È da questo percorso che dipenderà la reale portata trasformativa di un intervento normativo che, se applicato con coerenza, può contribuire a ridefinire il profilo dell’impresa contemporanea come soggetto plurale, responsabile e quanto più possibile inclusivo e fornire alla società che lo applichi un ritorno di immagine e reputazionale anche all’esterno di notevole impatto.
Rimarrà infine da capire se l’estensione di poteri di intervento controllo e vigilanza dei lavoratori potrà in qualche modo andare in conflitto o sovrapporsi con quello delle associazioni o rappresentanze sindacali, che non saranno pertanto più, almeno per quanto riguarda queste tematiche, gli unici ed esclusivi interlocutori.
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