Forse non tutti sanno che l’Onu ha fatto del 2025 l’anno mondiale delle cooperative. La centralità che le Nazioni Unite danno al sistema cooperativo mondiale è dovuta al ruolo vitale che esso gioca nello sviluppo degli obiettivi dell’Agenda 2030 e per risolvere alcuni gravi problemi dell’umanità, in particolare per rafforzare lo sviluppo sostenibile, la crescita inclusiva e la resilienza comunitaria. L’Onu ha istituito quest’anno un Comitato per la promozione e l’avanzamento delle cooperative in sinergia con l’ICA (International Cooperative Alliance), la più grande e importante rete cooperativa a livello internazionale, fondata da quasi un secolo e mezzo, che conta con la partecipazione di cooperative provenienti da ben 109 Paesi. Il comitato ha individuato alcuni obiettivi da realizzare nel 2025, e il 19 Giugno di quest’anno organizzerà una grande assemblea generale dell’Onu dedicata allo sviluppo delle cooperative nel mondo. “Le cooperative costituiscono un mondo migliore, e le Nazioni Unite sono orgogliose di accompagnarle in questo lavoro essenziale”, ha dichiarato a questo proposito Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu.
Secondo i dati del World Cooperative Monitor, più del 12 % dell’umanità, poco più di un miliardo di persone, sono membri degli oltre 3 milioni di cooperative sparse per tutto il globo. In Africa, una persona su 13 è membro di una cooperativa. In India, gli affiliati al sistema cooperativo sono ben 242 milioni. In Norvegia le cooperative producono il 99 % del latte immesso sul mercato, mentre in Canada giocano un ruolo fondamentale nella commercializzazione di cereali, semi oleaginosi, latte, frutta e legumi. Complessivamente, le cooperative fanno lavorare 280 milioni di persone (il 10 % degli occupati nel mondo). Tendono a crescere durante le crisi capitaliste, sulla scia dei movimenti sociali, delle fabbriche recuperate o semplicemente della crisi delle imprese non cooperative, come è successo in Argentina dopo il 2000. Esistono anche cooperative internazionali (come la coop che vende il “Caffè Pachamama“), e a volte sono sostenute dal potere politico di singoli Stati, come nel caso dell’ex Unione Sovietica, della Cina o, più recentemente, del Venezuela (2001-2008).
Due secoli di storia
Questa enorme diffusione globale ha una lunga storia, che inizia in Gran Bretagna tra il 1827 e il 1832, quando si formano le prime cooperative. In quegli anni quasi 500 cooperative e 25 mila membri attivi si cimentano con la prima risposta concreta al disumano processo di industrializzazione capitalista che lacerava da tempo la società contadina britannica. Sono anni di completa sperimentazione e di fallimenti continui. Le cooperative che si formano, infatti, falliscono rapidamente.
Sino a quando, il 24 Ottobre del 1844, dopo aver tentato invano di far aumentare il proprio salario, 28 lavoratori del settore tessile decidono di formare una cooperativa che è diventata il simbolo di tutto il movimento mondiale. Lo fanno a Rochdale, un sobborgo industriale vicino Manchester. Mettono in piedi una cooperativa che è allo stesso tempo abitativa, di lavoro e di consumo, e che riesce a prosperare sino al 1961, arrivando ad affiliare sino a 40 mila persone. Un’alternativa concreta alla logica capitalista. Inizialmente è uno strumento di mutuo aiuto tra gli affiliati, per permettere loro di affrontare i difficili problemi generati dal degredo della condizione domestica e sociale, dalla perdita di lavoro e dalla riduzione salariale, e che funziona anche come magazino di derrate alimentari di prima di necessità (farina di frumento, burro, zucchero, etc). Successivamente diviene, nel tempo, anche un centro di formazione scolastica, con tanto di biblioteca, e una cassa di risparmio che riesce ad elargire prestiti ai suoi aderenti. I suoi principi di fondo costituiscono da allora l’ideale cooperativo che ancora oggi è vigente nel mondo: eguaglianza, giustizia, equità e libertà. Il che si traduce in democrazia lavorativa, a livello del processo di produzione così come di gestione generale dell’impresa, neutralità politica, nessuna discriminazione di razza o religione, redistribuzione dell’eccedente in base alla partecipazione alla vita cooperativa, proprietà collettiva, soddisfacimento di bisogni e aspirazioni comuni prima del profitto, etc.
Sulla base di questa prima esperienza di successo, e influenzato dai pensatori del “socialismo utopico” (Owen, Gide, Saint Simon, Fourier, Blanc, Thompson), primi teorizzatori della cooperazione moderna, dopo i moti del 1848 si genera un vero e proprio movimento cooperativo che si oppone non solo alla competizione e allo sfruttamento dell’impresa capitalista, ma anche alla chiusura del mondo corporativo delle arti e dei mestieri, e getta le basi per la nascita delle società operaie (o società di mutuo soccorso), per le casse rurali o banche popolari (che puntano a far accedere gli artigiani e i contadini al credito) e più in generale delle cooperative di produzione che vedono nell’autogestione egualitaria il principio cardine su cui costruire le relazioni di lavoro. Nel 1866, durante il primo Congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori, si sostiene ufficialmente che questo movimento è una delle forze trasformatrici del sistema capitalista. Nel 1884 si crea la Camera consultativa delle associazioni operaie di produzione e una decina di anni più tardi l’ICA, che conta inizialmente 250 cooperative e 12 mila associati.
Nel XX secolo le radici socialiste, sindacaliste, comuniste, anarchiche, liberali e cristiane del movimento cooperativo lo portano a lottare in modo diverso contro le diseguaglianze e lo sfruttamento, ma per la maggior parte di loro a convergere sull’obiettico di entrare nel sistema legale statale per essere riconosciute come agenti legittimi di un’economia sociale, democratica e solidale, da difendere e rafforzare. Obiettivo pienamente raggiunto già a partire dal secondo dopo guerra. Tra la fine del XX e il primo quarto del XXI secolo, le cooperative vengono considerate una parte rilevante della più ampia economia sociale, cresciuta dagli anni ‘80 in poi anche grazie alla nascita dell’Ue. Nel 2001, con il Forum Mondiale Sociale di Porto Alegre, il movimento ritrova in parte la sua natura originaria di nucleo economico dell’alternativa sociale.
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L’alternativa di un’economia democratia e solidale
“L’unica responsabilità sociale degli imprenditori è produrre benefici per gli azionisti” affermava Milton Friedman, uno degli economisti fondatori della Scuola di Chicago che ha gettato le basi dell’ideologia neoliberista negli anni ‘70 del secolo scorso. Il cooperativismo moderno nasce su basi opposte a questa filosofia del “Business is business”, ed è chiaramente una risposta ai problemi che i pilastri dell’economia capitalista (la proprietà privata, la crescita dell’economia, la competizione economica, l’organizzazione gerarchica del lavoro, e la relazione egoista con la società, etc) generano continuamente (degrado sociale, povertà, miseria umana, sfruttamento, distruzione dell’ecosistema, irresponsabilità collettiva, etc). Il motto cooperativo è lo stesso che alcuni assocerebbero ai moschettieri e a D‘artagnan, e che viene da molto lontano :”Tutti per uno, uno per tutti”. La storia del cooperativismo e la sua diffusione dimostrano che la democratizzazione solidale e partecipata dell’organizzazione del lavoro è un’opzione solida e redditizia a livello economico, e sostenibile e umana dal punto di vista sociale. Del resto, anche alcune importanti esperienze o teorie di organizzazione del lavoro capitalista, come il toyotismo o la scuola di Elton Mayo, hanno ampiamente dimostrato da tempo che strutture di lavoro più partecipate e meno gerarchiche migliorano il benessere di chi lavora, e quindi portano ad un aumento della produzione. Contro la logica capitalista della massimizzazione degli utili orientata da una minimizzazione dei costi produttivi, molte cooperative si muovono ormai da tempo seguendo i criteri di sostenibilità ambientale e giustizia sociale : consumare tutti, ma meno e meglio. La rinuncia all’opulenza e all’arrichimento sembra ormai un dato acquisito della mentalità cooperativa. Anche per questo la produzione ecologicamente sostenibile e il rapporto virtuoso con l’ecosistema naturale sono valori pratici che il sistema cooperativo ha assunto come centrali.
“Una cooperativa è un’associazione autonoma di individui che si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali, e culturali e le proprie aspirazioni attraverso la creazione di una società di proprietà comune e democraticamente controllata” sintetizza una risoluzione approvata al XXXI Congresso dell’ACI (Alleanza delle Cooperative Italiane) nel 1995. La logica cooperativa è quella di arrivare ad una sostenibilità economica garantendo un’etica del lavoro e delle relazioni che potremmo definire come un’ecosistema umano sostenibile, opposto alla tossicità delle imprese di mercato mosse dalla compezione, anche nella versione meno radicale dell’economia sociale capitalista. In questo ecosistema i lavoratori, i clienti, i fornitori, gli abitanti delle aree in cui opera la cooperativa, e le altre imprese cooperative con cui si relaziona, tendono a realizzare un circuito economico trasformativo positivo in cui l’autogoverno dei produttori si cerca di sposare con la sovranità collettiva dei consumatori.
Esistono, infatti, diversi tipi di cooperative, che in genere si relazionano tra loro. Le più diffuse sono le cooperative di consumo, quelle del comparto alimentare e abitativo. Spesso, per esempio, i GAS (gruppi di acquisto solidale) si costituiscono in cooperativa. Ci sono poi le cooperative di produttori, le più diffuse in agricoltura, dove ci si riunisce per comprare e condividere prodotti e/o strumenti per lavorare. E, infine, ci sono le cooperative di lavoratori, le più radicali, dove i membri si autogesticono e organizzano insieme tutto il ciclo produttivo, dal tempo di lavoro, alla quantità da produrre, al modo di investire l’utile generato. Realizzano prodotti e servizi collettivamente ed equamente, condividendo i mezzi di produzione in base ad una proprietà collettiva. Possiamo quindi parlare di un’economia popolare e collaborativa incentrata sulla responsabilità sociale e sul bene comune. La “forma cooperativa” cerca di valorizzare, infatti, la cultura del lavoro, i principi democratici e solidali, e il rispetto della soddisfazione di bisogni e aspirazioni di ognuno dei suoi membri. Il suo fine esplicito è il mutualismo e la generazione di una ricchezza comune intesa come strumento per migliorare la vita e non come accumulazione di potere privato. Su queste basi si propone come unità di misura per realizzare una più vasta economia solidale in grado di trasformare l’economia capitalista, e proseguire così la scommessa socialista delle origini. Per questo ormai esistono cooperative in ogni settore della produzione, dalle banche alla telefonia, dalla sanità al trasporto, passando per l’economia digitale e la produzione artistica.
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Le cooperative in Europa
Con questo spirito Jeremy Corbin, ex segretario del Labour Party britannico, nel 2019 ha sostenuto un manifesto politico dove rilanciava l’espansione delle cooperative come modello alternativo al capitalismo, come la via attraverso cui la classe lavoratrice può ancora democratizzare l’economia. Anche oggi, l’attuale leader labourista e primo ministro britannico, Starmer, deve fare i conti con il Cooperative Party, affiliato al Labour. Nella patria del modello cooperativo quelle legali sono circa 7 mila e contano su 17 milioni di aderenti. Sono soprattutto cooperative di consumo, molte delle quali educative, agricole e abitative. Ma esistono anche cooperatie comunitarie, come i pubs comunitari sparsi per tutto il territorio del regno.
Anche in Germania esiste un’equivalente quantità di cooperative che danno lavoro a quasi 100 mila persone. La legislazione statale sulle cooperative è una delle più antiche al mondo (1889) e ogni ambito di lavoro è rigorosamente sottomesso alle leggi del settore. In questo Paese i teorici del cooperativismo (Schulze-Delitzsch e Raiffeisen), e la pratica storica effettivamente realizzata, legano questa alternativa economica all’esigenza di liberare le persone dall’usura generata dal sistema capitalista.
In Francia esiste un complesso sistema cooperativo che fa capo alle SCOP (Società cooperative e partecipative), a loro volta costituite in SA (Società anonime), SARL (Società a responsabilità limitata) e in SAS (Società per azioni semplici). In questo sistema i salariati devono sempre essere la maggioranza degli aderenti (almeno il 51%), conservano sempre almeno il 65 % del diritto di voto nelle assemblee di gestione, e devono poter ottenere almeno una ripartizione degli utili del 40 %.
Nel 2021 la Commissione europea ha approvato il Social Economy Action Plan che inquadra ufficialmente le cooperativa nell’economia sociale, come un’alternativa all’economia statale e quella privata orientata al profitto. Il famoso “terzo settore”. Cooperatives Europe è la rete comunitaria più importante, con 176 mila cooperative, 141 milioni di membri e quasi 5 milioni di occupati.
In Italia la storia del cooperativismo inizia sin dal 1854, quando si crea la prima cooperativa in Sardegna, nell’allora Regno sabaudo. Nel 1886 si celebra il primo Congresso dei cooperatori, a Milano, mentre nel 1893 si forma la prima Lega delle cooperative, con 248 imprese e 70 mila soci. Tra il 1919, anno in cui nasce la Confederazione delle cooperative italiane di origine cattolica, e il 1921 si assiste ad un vero e proprio boom di affiliati, che diventano due milioni. Sarà poi il fascismo, dal 1925 in poi, a sciogliere la Lega e a far venire meno il movimento cooperativo inquadrandolo in un Ente di controllo politico nazionalista. Ma il movimento cooperativo è molto forte e radicato, tanto che nel 1945 viene reistituita subito la Lega delle cooperative e nell’articolo 45 della nostra costituzione repubblicana si legge chiaramente : “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei, con gli opportuni controlli, il carattere e la finalità. Seguendo la vocazione originaria, nel secondo dopo guerra il Pci individua nella cooperazione un elemento di rottura con il sistema capitalista. Con la fine della guerra fredda e con il mercato unico europeo, le cooperative vengono regolate dalla legge 59/92 in cui si parla chiaramente di innovazione, pari opportunità e sostenibilità ambientale. Nel 1997 nasce la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (Legacoop), con oltre 10 mila cooperative e 7 milioni di soci e 450 mila dipendenti.
Oggi l’ACI è a tutti gli effetti il coordinamento delle associazioni più rappresentative della cooperazione italiana, perché mette insieme la Legacoop, l’Associazione generale delle cooperative italiane e la Confcooperative, coprendo il 90 % del mondo cooperativo. Ha all’attivo 12 milioni di soci/e, 150 miliardi di euro di fatturato annuo, l’8 % del Pil italiano, oltre un milione di occupati tra cui quasi il 60 % sono donne. Il suo impatto sull’economia italiana è notevole. Basti pensare ai 7 milioni di italiani che si rivolgono alle cooperative per avere dei servizi socio-sanitari, o al 34 % della distribuzione e del consumo al dettaglio che passa per questa rete cooperativa. Se poi l’associamo anche all’UNCI (Unione Nazionale delle Cooperative Italiane), anche essa orientata a un modello produttivo collaborativo e attento alla tutela dell’ambiente, avremo una visione d’insieme del panorama cooperativo del nostro Paese, in cui la tradizione socialista, cristiana e mazziniana (laica e repubblicana) si trovano ormai unite nella più generale ricerca di un’alternativa al modello produttivo capitalista.
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Verso una società postacapitalista?
Ma siamo sicuri che è tutto oro quel che luccica? In che misura il cooperativismo è una reale alternativa al capitalismo ? Esistono delle sperimentazoni cooperative in grado di proporsi come modelli per superare il sistema capitalista, e non solo di affiancarlo o adattarvisi?
Il Magazine “Economiacircolare” ha deciso di vederci chiaro, e andare ancora una volta in profondità. Attraverso il nostro metodo giornalistico costruttivo e riflessivo, abbiamo deciso di porre molte domande al mondo della cooperazione nazionale e internazionale, prima di tutto europeo.
Alcune generali: Il cooperativismo è sufficiente per superare la logica e il potere capitalista ? Esso ha deviato dalle sue origini a causa dell’adattamento al sistema dominante ? Alcune relative al contesto sociale : Quanto pesa la frammentazione del mondo del lavoro nel processo di formazione di un impresa cooperativa ? Tra attività imprenditoriale e impegno sociale c’è coerenza o contraddizione ? Altre legate al contesto economico : Come sopravvivere alla competizione e al sistema di scambio mercantile, senza riprodurre la loro logica ? Come sostituire l’economia capitalista o rapportarsi al sistema finanziario mantenendo i propri principi e obiettivi ? Altre ancora legate a possibili problemi interni al modello cooperativo: la burocratizzazione dell’organizzazione, il mantenimento delle gerarchie lavorative e delle diseguaglianze salariali, sono un problema per lo sviluppo dell’economia cooperativa ? Oppure alcune che indagano problemi culturali che hanno un impatto sulle cooperative: com’è possibile generare una cultura della partecipazione attiva agli affari comuni e alla pratica democratica in un contesto culturale che le nega ? O, infine, alcune di tipo politico, come quelle sottolineate già nel XIX secolo da Marx e Engels, entusiasti sostenitori del movimento cooperativo : come rapportarsi con i ricchi, che non cederanno mai volontariamente il loro potere di sfruttamento e accumulazione ma cercheranno di schiacciare la crescita e la diffusione del modello cooperativista ?
La strada maestra sarà quella di indagare realtà virtuose mettendo anche in evidenza i loro limiti e problemi. Per cercare una risposta a queste e ad altre domande e per conoscere le più interessanti realtà del cooperativismo attuale. Come la cooperativa di Mondragone nei Paesi Baschi, una vera e propria istituzione storica che ci racconta come una cooperativa possa assumere una grandezza e una longevità fuori dal comune ; oppure la cooperativa tedesca Hand-Werkerge-Nossenschaff, che produce e distribuisce prodotti ecologici e che sembra un esempio virtuoso di intercoperazione, o anche la Banca Etica italiana, che nasce dal sistema cooperativo e compete nell’economia finanziaria; o, infine, per esempio, la cooperativa finlandese Innovative Worknet Cooperative, dedicata a servizi educativi, che ha sviluppato un peculiare sistema di organizzazione del lavoro e di distribuzione del potere. Ma non ci limiteremo a questo. Interpelleremo anche importanti teorici del movimento cooperativo attuale, come gli spagnoli Jordi Garcia, Jordi Via e Llui M. Xirinacs, il cui libro “La dimensione cooperativa” (Icaria, 2006) ha fatto molto discutere nel mondo cooperativo spagnolo negli ultimi decenni. Insomma, ce la metteremo tutta per comprendere come il sistema cooperativo può aiutare a farci transitare verso una società postcapitalista, di cui abbiamo urgentemente bisogno per fare fronte alla crisi ecologica e al delirio militarista e nucleare.
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