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Medio Oriente, i progetti italiani: così riapriremo le ferrovie del deserto


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Medio Oriente, terra affascinante e tormentata. Tra i mille risvolti, viene spesso tralasciato uno dei suoi elementi chiave, che ne ha costituito per lungo tempo un pilastro, divenuto esso stesso parte del suo fragile tessuto. Un collante di equilibri instabili nel corso della sua storia geopolitica, commerciale, militare, di tracciamento dei confini e persino letteraria: il treno.

Le rotaie arrugginite sepolte dalla sabbia

“Ho trasportato 800 capre da Beirut a Rayak. Fu il mio ultimo viaggio”, racconta Asaad il macchinista che guidò l’ultimo treno da Beirut tra profumi di acacie e ulivi, diretto a Damasco. Era il 1976, l’inizio dell’ennesima guerra civile che avrebbe travolto il Libano per quindici anni. Allo scoppio del conflitto degli Anni ’70, la ferrovia libanese fu abbandonata a sé stessa. E dopo il 2011 quella siriana conobbe ugual sorte e così gradualmente i deserti si sono riappropriati delle linee ferroviarie (nella foto sotto, la stazione di Amman in Giordania).

Sontuose locomotive a vapore e carrozze ferroviarie ora languono arrugginite in scali ferroviari dimenticati, su binari insabbiati che un tempo solcavano il Medio Oriente tra dune, eucalipti, minareti, uomini in turbante e aromi di anice. Guerre che hanno contrapposto vicini ad altri vicini, imposto divisioni a una società che aveva vissuto di attraversamenti, contatti e mescolanze. Le ferrovie, metafora del Medio Oriente, testimoniano ciò che avrebbe potuto essere. Raccontano di antichi fasti e nostalgie, di legami mancati, di un mezzo che non serviva solamente a mettere in comunicazione popoli e paesi, ma anche identità integrante: un modo di far convivere le tante anime levantine. Arabi, armeni, ebrei, cristiani, ortodossi, maroniti, sunniti con le donchisciottesche battaglie per tentare di riportare in vita quei treni e quelle stazioni.

Il mito dell’Orient-Express arrivava a La Mecca

Eppure, Agatha Christie iniziò la stesura del suo capolavoro letterario Assassinio sull’Orient-Express (nella foto sotto, una carrozza originale a Salonicco in Grecia), proprio davanti a una tazza di tè dal balconcino della stanza 203 del mitico Hôtel Baron di Aleppo. Oggi semi-distrutto, all’epoca il Baron – simbolo tutto Belle Époque – affascinava viaggiatori e scrittori, attraeva mercanti e spie, come nel 1914 un allora sconosciuto Lawrence d’Arabia.

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Dalla seconda metà dell’800 viaggiatori e merci si muovevano su treno tra Beirut e Damasco, da Baghdad a La Mecca. L’arrivo nel 1883 dell’Orient Express, con il primo viaggio ufficiale da Parigi a Istanbul, collegò un ancora esotico Medio Oriente alle maggiori capitali europee. L’Orient Express, presto ribattezzato the king of trains, the train of kings (il re dei treni, il treno dei re), allo sbocciare della Belle Époque riuscì a combinare viaggio e glamour. Si partiva da Gare de l’Est a Parigi , destinazione la stazione di Sirkeci a Istanbul. Poi, con il suo prolungamento a Oriente con il nome Taurus, da Beirut via Aleppo sul versante mediterraneo e da Kirkuk, con la ferrovia a scartamento ridotto, in soli sette giorni fino a Baghdad, degno finale di un viaggio al limite del fiabesco.

Una carrozza originale dell'Orient Express nel Museo ferroviario di Salonicco (foto G.Colasanto)

L’impero tedesco del Kaiser Guglielmo II, al fine di rafforzare la sua alleanza politico-militare con quello Ottomano, progettò il collegamento ferroviario Berlino – Baghdad, via Istanbul, Aleppo, Mosul. In tale contesto, una storia che sembra leggenda riguarda la città di Kobane, divenuta nel 2014 il luogo-simbolo in terra siriana, della strenua resistenza curda al tremendo assedio subito da parte dei jihadisti del Califfato islamico.

L’eroica Kobane deve il nome a un’industria tedesca

La città sul confine turco-siriano era conosciuta soprattutto per la sua stazione dei treni. Era, difatti, una delle fermate della Berlino-Istanbul-Baghdad. La città fu così fortemente legata a quel progetto che, incredibilmente, prese il nome proprio dalla società ferroviaria tedesca Koban che, dal 1903, utilizzando binari prodotti dalla tedesca Krupp, costruì la linea ferroviaria.

Il primo treno della tratta Damasco-Beirut partì il 3 agosto 1895. Visto il potere politico, economico e militare che la ferrovia implicava, le potenze coloniali di Francia e Inghilterra lottarono per aggiudicarsene la progettazione. La stazione di Rayak, inaugurata nel 1895, appoggiata nella valle della Bekaa, era per gli ottomani la più grande officina del Medio Oriente: al suo apice impiegava 2.500 addetti, racconta Elias Maalouf, autore del libro Lebanon on Rail.

Ai tempi del dittatore Bashar al-Assad diventò una base dei servizi segreti siriani: dove, riporta Elias, “le persone da interrogare venivano ammassate nude sui vagoni’’. Adesso lo scalo ferroviario di Rayak non è che un dimenticato mondo arrugginito, invaso da arbusti di felci e alti pioppi, che avvolgono dormienti locomotive a vapore.

Hejaz, la ferrovia più odiata da Lawrence d’Arabia

Ad Amman la stazione ferroviaria ottomana inaugurata nel 1919, fu dislocata lungo la linea Hejaz (nella foto vicino al titolo), con lo scopo di favorire i collegamenti tra la Penisola Araba e le sponde del Mediterraneo, riducendone i tempi di percorrenza da cinquanta a cinque giorni. La linea seguiva in gran parte l’antico tracciato delle carovane cammellate per il pellegrinaggio da Damasco a La Mecca. Con il passare del tempo, la tratta assunse una funzione prettamente militare. Un percorso che ebbe per l’Impero Ottomano un significato politico e religioso, quasi un simbolo di ‘resilienza’ alle mire europee dell’area. È considerato il progetto non-europeo più complesso e ambizioso per tutte le sue implicazioni ingegneristiche, architettoniche, tecniche, amministrative del XIX Secolo.

Lo 007 britannico Thomas E. Lawrence (foto Wikipedia)

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I lavori ferroviari, in gran parte a cura dell’esercito turco, linea a scartamento ridotto (1050 mm) attraverso ambienti complessi, spesso in pieno deserto tra dune e valloni di sabbie e rocce, comportarono la costruzione di centinaia di ponti e passaggi, alla fine se ne contarono circa duemila. A tali criticità, si aggiunsero le frequenti incursioni notturne dei beduini del deserto, che facevano razzia delle traversine dei binari, da loro riutilizzate come legna da ardere. La costruzione della linea partì dalla stazione di Damasco nel 1900 e vide il primo treno percorrere i 1322 km che la separavano da Medina il 22 agosto del 1908.

L’incredibile storia della locomotiva giapponese

La tratta ferroviaria dell’Hejaz, per la sua importanza strategica per i rifornimenti militari, fu più volte attaccata e sabotata nel corso degli eventi bellici della Prima guerra mondiale, durante la rivolta beduina contro l’occupazione ottomana, guidata da Lawrence d’Arabia, pseudonimo dell’agente segreto britannico Thomas Edward Lawrence (foto sopra). Tale strategia fiaccò la resistenza turca e contribuì ad aprire la strada alle truppe inglesi e arabe dirette verso Damasco.

Epica la scena dell’assalto al treno turco nel film Lawrence d’Arabia del 1962, diretto da David Lean, e con il tenente inglese interpretato dal premio Oscar Peter O’Toole. Oggi, due volte la settimana, la Jordan Heritage Revival Company organizza nel deserto del Wadi Rum, la rievocazione storica di quell’attacco, a beneficio di migliaia di turisti curiosi. 

La locomotiva giapponese a Wadi Rum in Giordania (foto G. Colasanto)

In pieno deserto del Wadi Rum, sorge la stazione dove transitavano i treni dell’esercito turco. Ancora oggi, nello scalo una poderosa locomotiva a vapore giapponese (foto sopra) fa bella mostra di sé. Ma come è arrivata una locomotiva giapponese nel deserto giordano? La sua storia è appassionante e testimone di quel periodo: l’imperatore nipponico, al fine di rafforzare la collaborazione con l’impero tedesco donò la locomotiva al Kaiser Guglielmo II. Dopo pochi anni, però, la rete ferroviaria europea modificò i propri standard e la locomotiva giapponese non poté più essere utilizzata, essendo creata per binari a cosiddetto scartamento ridotto. La Germania decise, perciò, pur di non rottamare un mezzo così imponente, di inviarlo al suo alleato Impero Ottomano, che impiegò subito la locomotiva lungo la nascente linea ferrovia dell’Hejaz, che aveva ancora binari di vecchio tipo.

Così i binari sono diventati le linee di confine

Dopo il 1919, al disfacimento dell’Impero Ottomano, un lungo tratto del sofferto percorso asiatico coperto dall’Orient Express, venne utilizzato quale linea di confine, labile e arbitrariamente tracciata dai Paesi vincitori della Prima guerra mondiale, tra i neonati Stati di Siria e Turchia. Fu quindi, ancora una volta, una ferrovia a ridisegnare in Medio Oriente i confini: “… Il controllo delle vie di comunicazione, il monopolio del commercio e successivamente lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi furono gli interessi dominanti che guidarono i Paesi europei nello stabilire, ancor prima della fine della Grande guerra, il nuovo assetto territoriale delle aree post-ottomane”.

L’inizio della fine per il treno avvenne tra gli Anni ’60 e ’70 del Novecento con la diffusione massiccia delle auto. I treni cominciarono a essere percepiti come superati, rompendo fragili equilibri. Il risultato furono città dal traffico ingestibile, inquinamento e sconvolgimenti urbanistici.

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Molte città del Medio Oriente in cui ho vissuto, con il foro romano, l’antico minareto, il souq e i suoi intricati vicoli profumati di cannella, hanno assunto quale faro di riferimento i Paesi del Golfo: stradoni dritti da quattro a sei corsie. Così, se dici “centro”, oggi, un tassista non va nel cuore della città: ti porta al nuovo Mall, il centro commerciale.

Le ferrovie libanesi fermate dalla guerra civile

Molti dei simboli dell’incantesimo dell’Oriente e delle tradizioni, inclusi i mezzi di spostamento, si sono modificati. Il fervore urbanistico e una certa bramosia per il valore economico delle proprietà ferroviarie, spesso presenti in aree di gran pregio immobiliare, fecero il resto, mutando per sempre geografie urbane (nella foto sotto, una locomotiva a vapore nella stazione di Amman).

Una locomotiva a vapore nella stazione di Amman in Giordania (foto G. Colasanto)

“Dal 1961 fino allo scoppio della guerra civile, il governo libanese non aggiunse nemmeno un metro di rotaia alla rete. L’hanno solo gestita e poi lasciata morire”, racconta Nabil J. Doumani, presidente della Ong Train/Train. Beirut, che era all’epoca una delle città più fiorenti e cosmopolite del Medio Oriente, non solo aveva una perfetta rete ferroviaria, ma anche una efficiente rete di tram, che fu soppressa intorno al 1965.

I collegamenti ferroviari rappresentano uno dei maggiori punti deboli della sponda meridionale del Mediterraneo. Attualmente, solo 11 paesi arabi (Siria, Iraq, Libano, Giordania, Arabia Saudita, Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania) hanno al loro interno linee ferroviarie, che complessivamente si estendono per appena 25mila chilometri, dei quali, molti interrotti o non in uso.

La sfida del lusso: il treno dell’italiana Arsenale

Eppure, pare possa esserci una inversione di tendenza. Anche una nuova consapevolezza ambientale: metropoli stritolate dal traffico, una crescita demografica esponenziale, stanno spingendo a un ripensamento.

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Lo scorso anno il primo treno passeggeri inclinabile ad alta velocità ha lasciato la capitale saudita Riyadh, diretto verso nord attraverso 1.215 chilometri di dune di sabbia fino a Qurayyat, città nei pressi del confine con la Giordania. Negli Stati del Golfo e in Iran, i governi stanno investendo decine di miliardi di dollari per implementare reti ferroviarie abbandonate. Entro il 2040 si prevede che i circa 25mila chilometri attuali, cresceranno di decine di migliaia di chilometri (nella foto sotto, l’arredo delle carrozze ferroviarie turche a Wadi Rum, in Giordania).

L'arredo di una carrozza turca a Wadi Rum in Giordania (foto G. Colasanto)

La domanda è in forte espansione per passeggeri e merci. La Cina, leader mondiale nei treni ad alta velocità, vuole collegare l’Asia all’Europa via terra attraverso il Medio Oriente.

Consorzi di aziende tedesche, francesi e l’italiana Arsenale di Roma con un suo treno a 5 stelle, stanno entrando nel business. Anche l’Italia quindi fa la sua parte e, nell’ambito dell’iniziativa Unesco “LiBeirut”, ha programmato il recupero del patrimonio industriale della stazione ferroviaria di Beirut costruita nel 1894 a Mar Mikhael: “La riqualificazione della stazione ferroviaria rappresenta un altro passo verso la guarigione del tessuto socio-economico e culturale di Beirut”, sottolineava l’ambasciatrice d’Italia in Libano, Nicoletta Bombardiere.

Ma le prospettive non sono tutte rosee: “Non possiamo investire in nulla se il caos continua”, dice sfiduciato un ingegnere libanese. Questo potenziale rilancio è stato per molto tempo ritardato, anche perché molti Paesi dell’area hanno bilanci troppo poveri, dilaniati da guerre, o disfunzionali per poter ripristinare le loro antiche ferrovie. Compagnie aeree locali fanno pressione per mantenere le proprie redditizie rotte a corto raggio. Inoltre, gran parte delle tratte ferroviarie si bloccano a due passi dalle frontiere, che paiono così vicine eppure così lontane. Il sogno cinese di raggiungere il Levante si è insabbiato per un ‘giunto’ mancante, lungo 22 chilometri, tra Iran e Iraq.

La corsa ai turisti italiani che amano il deserto

Adesso siamo con Muayyad Abu Rumman, direttore del Jordan Heritage Revival Company. Mi ha invitato in una vecchia caffetteria di Amman (nella foto sotto, al tramonto). Ci sistemiamo seduti su sdraio in legno, sotto un albero di limoni enormi che profumano d’Oriente. Ci servono un kawua, il caffè turco che ti avvolge con i suoi ritmi lenti, sopravvissuti a secoli di storia. Un modus vivendi, che appartiene a tutto il Medio Oriente, rappresenta uno dei paradigmi dell’immutabilità di questi territori, fino a che, d’improvviso, tutto può mutare inaspettatamente.

Il tramonto ad Amman, capitale della Giordania (foto G. Colasanto)

Il direttore mi dice che “certamente non sarà facile, ma il treno ha sempre rappresentato e lo farebbe ancora, una piattaforma di connessione sociale. Se tornasse attiva una rete ferroviaria strutturata, sarebbe motore per uno sviluppo sostenibile per tutto il Medio Oriente”. Il dottor Abu Rumman mi racconta anche del suo progetto di un treno storico turistico che arrivi sino alla stazione di Ma’an e dell’idea di un videodocumentario in italiano, al fine di riattivare il flusso turistico dal nostro Paese, interrottosi bruscamente a causa degli eventi bellici nei Paesi confinanti. Ora, una lieve brezza ha spazzato le nubi e sul cielo di Amman divenuto nuovamente color azzurro lavanda, stormi di uccelli volteggiano alti. La voce del muezzin richiama alla preghiera e tutto il Levante, sospeso nella sua cultura millenaria, par che dorma.

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(*) Giuseppe Colasanto, autore di questo reportage, è funzionario dell’agenzia dell’Unione Europea ICMPD-International Centre for Migration Policy Development, con la posizione di Border Management Specialist (Specialista nella gestione delle frontiere) in Giordania e Libano. Scrittore per passione ha pubblicato ‘Oltrefrontiera’, libro vincitore premio Marsica 2024.



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