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Dirigenti in prima linea per cambiare prospettiva


Stefano Cuzzilla

“Ogni Paese ha il suo punto di tenuta: quel luogo – sociale prima che geografico – dove si regge o si rompe l’Italia. È lì che si misura l’equilibrio tra crescita e coesione, tra ambizione e responsabilità. In Italia, quel punto è il ceto medio. Non è solo una fascia di reddito: è una cultura del lavoro, dell’impegno, del merito. È fatta di persone che ogni giorno fanno girare il motore del Paese. Medici, insegnanti, manager, imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, impiegati, pensionati. La maggioranza silenziosa che lavora, paga le tasse, crea imprese, si prende cura della comunità e investe nelle nuove generazioni. La spina dorsale del nostro Paese”: Stefano Cuzzilla, manager industriale di lungo corso, presidente di Federmanager per tre mandati ed oggi presidente della Cida, Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, ha tanti anni di esperienza nella rappresentanza di categoria, ma ogni volta s’infervora, quando parla del ruolo che i dirigenti hanno avuto e dovrebbero avere in Italia: “Nell’interesse del Paese”, sottolinea con forza.

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Però, presidente, oggi lo stato di salute del ceto medio non è florido, e il ruolo della classe dirigente, almeno nelle categorie di cui parlava, sembra appannato…
Continuiamo ad essere la spina dorsale del Paese, ma oggi siamo più fragili. E quando si incrina ciò che tiene insieme economia, società e istituzioni, il rischio non è solo sociale: è sistemico. Il ceto medio sta vivendo una fase di incertezza profonda. Si restringe, fatica a trovare prospettiva, perde fiducia. L’ascensore sociale si è fermato, e anche le aspettative si abbassano. Non è più scontato che i figli stiano meglio dei genitori. A questo si aggiunge un contesto instabile, segnato da tensioni globali, guerre e nuovi squilibri economici. Dobbiamo stare molto attenti, perché quando si indebolisce la dorsale produttiva, non si rompe solo un equilibrio economico: si incrina il patto che tiene viva una democrazia.

Prima di approfondire, verifichiamo la premessa: è proprio sicuro che il ceto medio sia stato così prezioso per il Paese?
L’Italia ha costruito il suo modello sociale e produttivo sulla competenza delle sue persone, sull’agilità delle imprese, sulla forza del lavoro. Sanità e istruzione pubblica sono state per decenni un modello, e lo sono ancora. Tutto questo è stato possibile grazie ai dirigenti, ai professionisti, alle alte professionalità che rappresentano l’ossatura della società attiva. Non possiamo permetterci di dimenticarlo. Se oggi vogliamo costruire un futuro, dobbiamo ripartire da qui. Per questo CIDA ha scelto di mettere al centro della propria azione il tema della salute del ceto medio, considerandolo una componente essenziale delle conquiste del Paese.

Occuparvene in che modo?
Intanto, scandagliando in profondità la struttura e le prerogative di questo folto gruppo sociale, attraverso il Rapporto CIDA-Censis, di cui il 22 maggio a Roma presenteremo la seconda edizione. I dati parlano chiaro: quasi il 50% di chi si riconosce nel ceto medio teme il declassamento; il 74,4% ritiene che migliorare la propria condizione sia ormai quasi impossibile; oltre il 75% è convinto che i figli staranno peggio dei genitori. Sono numeri che parlano di sfiducia, stagnazione, smarrimento. Il ceto medio era sinonimo di stabilità e aspirazione. Oggi, rischia di diventare sinonimo di precarietà e rinuncia.

Ma in che modo questo stato d’animo si riverbera sulle condizioni del Paese?
La fiducia non è un sentimento. È il carburante che muove tutto: consumi, investimenti, crescita. La cosiddetta middle class non è solo una categoria sociale: è una funzione strategica. Produce valore, tiene insieme la società, investe nel futuro. Se questa fascia viene disillusa, il Paese non rallenta: regredisce. E non possiamo permetterci un’Italia che ha smesso di credere in sé stessa. CIDA ha scelto di non restare a guardare. Rappresentiamo chi guida imprese e istituzioni, chi prende decisioni, chi si assume responsabilità. Abbiamo ascoltato il disagio e lo abbiamo trasformato in proposta. Vogliamo riattivare una traiettoria positiva, fondata su tre elementi concreti: più benessere economico, più consumi, più aspettative. È così che si ricostruisce il vero punto di tenuta dell’Italia.

Una vera battaglia sindacale, o addirittura un programma di politica economica…
Scelga lei la definizione. Ma la sostanza è una: non possiamo permetterci di lasciare sola la dorsale produttiva del Paese. Il rilancio passa da qui. Per questo CIDA porta avanti una piattaforma di proposte concrete, che abbiamo già sottoposto al governo e alle forze politiche. Non chiediamo privilegi. Chiediamo equità.

 

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Ce le riassuma, per favore.
Il primo nodo è fiscale. Serve una revisione dell’IRPEF che non penalizzi chi lavora e investe. Oggi i redditi medio-alti sono i più tassati, senza essere i più tutelati. Togliere risorse a questa fascia significa comprimere consumi, investimenti e fiducia. La pressione fiscale va ridotta proprio su chi sostiene l’economia reale e ha un ruolo attivo nella società.

E questo sul fronte del reddito spendibile. Ma c’è anche un problema di competenze…
Che va affrontato con investimenti seri in istruzione e formazione. L’ascensore sociale si riattiva solo se la scuola torna ad essere uno strumento di mobilità e non di selezione al ribasso. Serve un collegamento reale tra formazione e mondo del lavoro. Serve una formazione continua, che accompagni la crescita delle persone e delle imprese. Il futuro del ceto medio è il futuro delle nuove generazioni. Se oggi non ricostruiamo una prospettiva, stiamo negando ai nostri figli la possibilità stessa di ambire a una vita migliore.

E sul fronte previdenziale e del welfare?
Segnaliamo con forza la necessità di un sistema previdenziale più equo. Il potere d’acquisto delle pensioni del ceto medio è stato eroso dall’inflazione e dalle mancate rivalutazioni. Serve un intervento che garantisca stabilità a chi ha versato contributi per una vita intera. E sul welfare chiediamo una reale inclusività: la sanità integrativa e la previdenza complementare devono essere incentivate, creando un’alleanza strategica tra pubblico e privato. Non possiamo lasciare il ceto medio da solo davanti alle difficoltà.

Dunque, il vostro ragionamento plana sul concetto che non c’è crescita senza un ceto medio forte?
Esattamente. Le politiche economiche devono puntare su competitività e produttività, premiando chi crea valore. Il sistema fiscale va riformato per non penalizzare i redditi medi. Il welfare deve essere riequilibrato con una visione di equità e sostenibilità.

E in un tempo di grandi transizioni – dall’intelligenza artificiale alla svolta energetica – servono competenze, visione e responsabilità diffuse.
Serve un patto generazionale e produttivo che rimetta al centro chi lavora, chi guida, chi forma. Nessuno va lasciato indietro, ma non possiamo più permetterci di sostenere chi evade, mentre chi si comporta onestamente viene penalizzato.

Ma considerate sostenibili le riforme necessarie per attuare questi obiettivi?
Sono misure del tutto percorribili, nel rispetto delle compatibilità della finanza pubblica. CIDA le persegue ogni giorno attraverso il dialogo istituzionale. Non chiediamo scorciatoie, chiediamo visione. Serve riconoscere il valore di chi tiene insieme il Paese. La direzione da prendere non è un nostalgico ritorno ai fasti del passato, perché il ceto medio non è un’eredità da proteggere, è un’energia da liberare. Un progetto di medio-lungo periodo che passa per scelte strutturali, investimenti mirati per restituire prospettiva alle nuove generazioni. E se oggi questo può sembrare impopolare, è solo perché ci siamo disabituati alla responsabilità verso chi verrà dopo di noi. Ma è proprio lì che si misura il senso autentico della leadership.

Manager di lungo corso

Nato a Roma nel 1965, laureato in Giurisprudenza, Stefano Cuzzilla è un manager di lungo corso: già Presidente di Federmanager dal maggio 2015 fino a novembre 2024, è attualmente Presidente nazionale della CIDA, Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità. Ricopre la carica di Presidente di Trenitalia e siede nel Consiglio di Amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti.

è anche Presidente di 4.MANAGER, associazione per lo sviluppo di attività rivolte a manager e imprese e Amministratore Delegato di I.W.S, società per azioni per la prestazione di servizi nel campo della sanità integrativa.

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è autore del libro “Il buon lavoro. Cura e benessere delle persone nelle imprese italiane” (Luiss University Press) e autore del libro “She Leads. La parità di genere nel futuro del lavoro”, edito dal Sole24Ore.

Attento ai temi riguardanti la valorizzazione dell’immagine e del ruolo del management italiano, alla parità di genere e alle questioni etiche, è docente presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum.



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