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una nuova società dalle aziende di stato e un ddl in arrivo


Annunciata la nascita di Nuclitalia costituita da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo. Secondo Cassa Depositi e Prestiti «l’Italia può contare su competenze diffuse» ma indica una serie di criticità molto serie. 100 per cento Rinnovabili Network chiede a Meloni di rivedere una politica che «frena l’impegno per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili». Ma la premier non tentenna: iter legislativo in dirittura d’arrivo 

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Sul nucleare di nuova generazione, quello che fa leva sui piccoli impianti (nome in codice Srm, Small modular reactor) in Italia si iniziano a fare i primi passi. Primi passi perché al momento seppure cresca l’interesse delle aziende siamo alla fase della “ricerca” e ci vorranno anni prima che si passi davvero all’azione.

Enel, Ansaldo Energia e Leonardo hanno appena formalizzato la costituzione di Nuclitalia, una newco che si focalizzerà sullo studio delle tecnologie avanzate e dell’analisi delle opportunità di mercato partendo proprio dai piccoli reattori raffreddati ad acqua. La Srl è a guida Enel, azionista di maggioranza con il 51% (Ansaldo Energia è in quota al 39% e Leonardo al 10%): nel ruolo di amministratore delegato Luca Mastrantonio (responsabile dell’unità Nuclear Innovation di Enel), alla presidenza del cda (che conta sette membri) Ferruccio Resta, l’ex rettore del Politecnico di Milano.

E c’è un’altra azienda che sta spingendo l’acceleratore sui progetti: si tratta di Newcleo, fondata nel 2021 e guidata dal fisico nucleare Stefano Buono. La società che opera principalmente in Francia ha già raccolto 537 milioni, ha un fatturato di 50 milioni e conta 1.100 dipendenti, di cui 400 in Italia. E, soprattutto, è nelle attenzioni del governo. A fine marzo in una nota congiunta i ministri Adolfo Urso (Imprese e made in Italy) e Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente e Sicurezza energetica) hanno espresso «particolare attenzione ai progetti promossi da Newcleo». Stando a indiscrezioni, l’esecutivo punterebbe a una quota del 10% nella società per un investimento di 200 milioni.

Il report di Cdp

L’Italia sarebbe ben posizionata per giocare un ruolo a livello europeo nel nuovo nucleare. Cassa Depositi e Prestiti in uno studio presentato ad aprile ha evidenziato che «l’Italia può contare su competenze diffuse e su una ricerca all’avanguardia con circa 70 aziende che operano nel settore, dimostrando la resilienza del comparto anche a quattro decenni dall’abbandono della produzione elettrica da nucleare», evidenziando altresì che «il nucleare di ultima generazione si presenta oggi in stato sperimentale o dimostrativo e risente di una significativa variabilità di costi e tempistiche, oltre che di ostacoli di carattere tecnologico e regolatorio e in termini di accettazione pubblica».

Teoricamente i piccoli reattori potrebbero essere operativi a partire dal 2030 (per quelli di quarta generazione, gli Amr Advanced Modular Reactor bisognerà invece aspettare il 2040), ma a patto che vadano a buon fine una serie di azioni: secondo Cdp tanto per cominciare saranno necessari incentivi pubblici «per tutelare gli operatori dalla volatilità dei prezzi dell’elettricità, assicurando un rendimento prevedibile per un ampio arco temporale, e di garantire la bancabilità dei progetti di investimento». In tempi rapidi bisognerà definire il quadro normativo e regolatorio «creando le condizioni funzionali ad attrarre investimenti utili al decollo del settore».

 

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Poi c’è da fare anche sul fronte di asset, ricerca e competenze da impiegare o convertire alla filiera del nucleare, serve la mappatura e l’attivazione di fonti di finanziamento anche nell’ambito della nuova disciplina Ue sugli aiuti di Stato. E, ancora, è necessario rafforzare la cooperazione europea, «in particolare con i grandi player che già hanno sviluppato e gestiscono potenza nucleare». Il tutto in tempi «relativamente brevi», il che è altamente improbabile. Anche perché non sono poche le “voci” che si dicono contrarie ai progetti per tutta una serie di ragioni.

Il fronte del no

Lo scorso marzo la coalizione 100% Rinnovabili Network – che vede in campo decine fra esponenti di università e centri di ricerca, del mondo delle imprese, del sindacato e del terzo settore e associazioni ambientaliste fra cui Legambiente e Wwf – si è appellato al governo affinché faccia marcia indietro sulla strategia per il nucleare e si concentri sulle rinnovabili. Il collettivo parla di una campagna condotta da «una lobby filonucleare» e ha acceso i riflettori sulla «disinvoltura con la quale si trascurano, o addirittura si negano, impatti e rischi ambientali», nonché sulla questione dei costi a carico delle finanze pubbliche.

«La costruzione di centrali nucleari è ormai talmente costosa da richiedere ovunque il sostegno dello Stato: in Francia la società che le costruisce e le gestisce, fortemente indebitata, è stata resa al 100% pubblica». E, non ultimo, considerato che «l’Italia è un Paese densamente popolato, con un diffuso rischio sismico, con vaste aree a rischio di alluvione e frane e visto che, in 14 anni, non si è ancora localizzato un deposito per i rifiuti radioattivi, il programma di costruzione di reattori nucleari è poco credibile e produce soprattutto un effetto preoccupante: frena l’impegno per accelerare lo sviluppo – possibile, necessario e conveniente – delle rinnovabili».

Anche sul fronte sindacale non c’è piena convinzione: per la Cisl «è importante avviare la sperimentazione delle nuove tecnologie», ma «il nuovo nucleare è una soluzione chiave in ottica complementare con le rinnovabili e il gas naturale». E in ogni caso il sindacato chiede di essere coinvolto sin da subito nel percorso legislativo. Per la Cgil «il nucleare non è la soluzione per la decarbonizzazione in Italia, presenta costi e rischi molto elevati, ha tempi di realizzazione incompatibili con quelli dell’azione climatica, enormi problemi di localizzazione e di accettazione sociale, di dipendenza e quindi insicurezza energetica nazionale e non rispetta l’esito dei due referendum in materia».

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel question time alla Camera – rispondendo all’interrogazione posta dal capogruppo a Montecitorio di Azione, Matteo Richetti – ha detto che «l’iter del ddl delega va avanti. È stata trasmessa la richiesta per l’acquisizione del parere della conferenza unificata. E il testo sarà presto esaminato dal parlamento». La legge delega secondo gli auspici del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, dovrebbe essere calendarizzata entro l’estate per poi essere approvata entro fine anno. Dopodiché scatteranno i dodici mesi per i provvedimenti attuativi.

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