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Quattro chiacchiere con Carlo Rafele – Professore di Supply Chain Management al Politecnico di Torino


Al Politecnico di Torino avete dato vita da qualche anno al primo laboratorio di automazione logistica, con un vero e proprio impianto fisico

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Le Università hanno un ruolo centrale: molti colleghi fanno un lavoro interessante e utile, puntando sugli Osservatori, che permettono di analizzare dati in modo trasversale e autonomo rispetto al singolo mercato. La risposta che abbiamo provato a dare noi come Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino è una risposta più tecnologica, che ci ha portato a realizzare nel 2020-2021, grazie a fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca, un laboratorio con un magazzino automatico per cassette, dotato di uno shuttle che si muove all’interno di due scaffalature, un paio di stazioni con rulliere a gravità per il picking, una flotta composta da due robot AMR e un portale RFID.

Con quale scopo?

L’idea non è tanto studiare le tecnologie, che cambiano rapidamente, ma capire come le varie tecnologie tra loro si integrano e come la digitalizzazione può aiutare le imprese e fare sinergia. Il nostro è per prima cosa un laboratorio che viene usato per la didattica, per insegnare agli studenti e alle studentesse le attività lavorative tipiche dell’intralogistica, dal ricevimento dei materiali al loro stoccaggio, alla gestione degli ordini di prelievo, il tutto con uno sguardo su un WMS aziendale. Ma poi soprattutto è un sistema fisico che ci ha consentito di definire un modello di simulazione che ne replica il funzionamento. La simulazione può aiutare sul tema della velocità, può anticipare l’individuazione di situazioni critiche che si verificherebbero sul campo e sulle quali magari non c’è più il tempo di intervenire. Volevamo un sistema automatico che ci desse dei dati in tempo reale e ci permettesse di creare un digital twin.

Di che cosa si tratta?

Il mondo fisico si espande verso il mondo virtuale attraverso modelli digitali, che si differenziano per il grado di interazione che essi hanno con la controparte fisica che intendono replicare. Il digital model è uno di questi: ho un sistema fisico e creo un modello digitale che funziona allo stesso modo, che mi permette di capire, attraverso simulazioni avanzate di scenario, come il sistema fisico reagisce al cambio delle variabili in input e quali sono gli impatti sull’ output. I due sistemi lavorano in modo separato, non simultaneo.

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C’è poi il livello del digital shadow: il sistema fisico è collegato al modello digitale e gli trasmette dati in continuazione tramite apposite interfacce, permettendogli di evolvere rapidamente e in continuità con quello reale. I risultati delle simulazioni vengono poi utilizzati dagli esperti del sistema fisico per migliorarne le performance.

Il terzo livello è quello del vero digital twin in cui i due sistemi lavorano in contemporanea, esattamente come fa il pilota automatico di un aereo: ci sono dei dati, li trasferisco al modello digitale, il quale in tempi ridottissimi mi identifica la migliore strategia di gestione e utilizzo del sistema fisico e in completa autonomia attua delle azioni di controllo. Rispetto a dei processi standardizzati – ogni magazzino ha infatti un suo algoritmo che cerca di ottimizzare le movimentazioni -, ho un paradigma completamene nuovo e dinamico. Per fare ciò il modello digitale deve essere velocissimo.

Voi a che punto siete?

Siamo arrivati al secondo step, sul terzo non ci siamo ancora, ci stiamo lavorando. La maggiore difficoltà sta nella necessità di avere all’interno del gruppo delle competenze estremamente diversificate.

Le aziende che benefici possono trarre?

Sin dall’inizio abbiamo realizzato questo progetto pensando a una ricaduta sul mondo industriale. Siamo già al lavoro con il fornitore dell’impianto, con il quale stiamo approcciando l’evoluzione del digital twin su tipologie di impianti diversi: è un processo in corso, stimolante e complesso, perché ogni volta che cambi il sistema fisico devi cambiare la sua rappresentazione nel mondo virtuale. Vogliamo arrivare a un modello digitale che sia il più modulare possibile e facilmente scalabile a diversi contesti. Alle aziende possiamo offrire dalla “semplice” simulazione di un nuovo centro logistico alla valutazione degli impatti di eventuali modifiche delle logiche della movimentazione, sfruttando il modello digitale.

Perché è così centrale il tema della flessibilità?

La logistica deve garantire una flessibilità di risposta di fronte a uno scenario estremamente variabile. Oggi viviamo in un contesto in cui la domanda di prodotti nei vari settori, sia tecnologico che grande distribuzione, è caratterizzata da una variabilità sempre maggiore, legata per certi ambiti a una elevata imprevedibilità: i settori più innovativi, peraltro, sono più soggetti a variabilità. Tutto ciò non può che impattare sulle supply chain. Parallelamente l’e-commerce sta cambiando profondamente il mercato e quindi il tipo di domanda: lavorare con l’online richiede una frammentazione degli ordini decisamente più ampia. Le domande sono minimali, molto frammentate e parcellizzate, quindi con difficoltà più ampie di interpretazione dei trend.

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Il tema della variabilità riguarda non solo la domanda, ma anche l’offerta

Dal lato invece dell’offerta, cioè per chi produce, c’è un tema di variabilità e instabilità della disponibilità di materie prime e componenti ai primi livelli della supply chain: le catene lunghe, che arrivano dall’Estremo Oriente, incrementano questa difficoltà, ed è vero che la catena logistica si sta spostando con il nearshoring, ma si tratta di processi molto lunghi.

Di fronte a questi scenari, la logistica come può rispondere?

Come dicevo, la logistica deve garantire flessibilità. Su più fronti. Il primo è legato alla quantità di materiale in stock immessa nei magazzini: oggi in tantissime aziende c’è una necessità di differenziare meglio le politiche di stock, non più per classiche categorie A B C, ma rispetto alla stabilità e alla robustezza delle supply chain di rifornimento, in ingresso e in uscita. Di conseguenza, tipologie di prodotti diversi devono avere politiche di stock diverse. Altro aspetto è il tipo di mercato: per le vendite online servono scorte maggiori, perché non c’è possibilità di programmare, la richiesta è “tutto subito”.

A livello di strumentazioni tecnologiche, invece, queste devono essere capaci di garantire flessibilità di risposta, di ingressi e uscite. Di fronte alle variazioni di domanda, non ci si deve più basare sulla capacità massima, cioè quanto è il massimo delle uscite che posso garantire, lo stoccaggio massimo, ma bisogna avere un’automazione che sia in grado di lavorare a bassi regimi, medi regimi e alti regimi. Ecco perché cresce la richiesta di soluzioni come i magazzini multishuttle o l’AutoStore per esempio.

Quanto l’automazione va incontro alle esigenze delle imprese?

L’automazione ci permette di avere delle oscillazioni nelle prestazioni. Il tema del magazzino oggi è sempre più visto non più come elemento tattico, ma come momento di transito: quindi se il magazzino deve essere un momento di flusso, allora l’automazione deve dare velocità. Le macchine diventano semplici – nel senso che lo sono a livello di interfaccia e facilità d’uso -, ma l’integrazione tre le diverse tipologie di macchine rende il sistema più complesso. Io amo definirla la “logica delle formiche”: soggetti individualmente semplici ma che creano complessità di comportamento. Quindi la complessità delle risposte si configura bene se ci sono sistemi multipli. È qui che il tema della simulazione diventa essenziale, insieme alla necessità di avere partner qualificati.

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Se usciamo dal magazzino, c’è il tema della tracciabilità e della digitalizzazione

Vero. Oggi devi avere chiarezza su quello che si muove nella tua rete, cosa è in partenza, cosa in movimento e cosa nei transit point e destinazione finale. Il modello Amazon ha fatto scuola: l’estremo tracking dei prodotti è indispensabile. E anche qui entra in gioco la tecnologia in termini di capacità di lettura e scambio dati. Nuovamente, il singolo operatore è facilitato nel suo lavoro, mentre l’incredibile mole di dati rende necessaria l’analisi con l’Intelligenza Artificiale per conoscere trend e sviluppi futuri.

Come devono organizzarsi le aziende?

Le aziende devono avere competenze non solo verticali, ma ad ampio spettro e creare metodi di lavoro. Non devono solo lavorare sulla capacità progettuale di modelli che poi invecchiano, ma devono sviluppare metodi di lavoro. Noi come Accademia cerchiamo di dare supporto in tal senso.

  • Nome e cognome: Carlo Rafele
    Luogo e data di nascita: Torino, 26/04/59
    Formazione: Laurea in Ingegneria Meccanica
    Percorso professionale: Progettista e poi project manager in aziende di automazione; carriera accademica sino al livello di Professore Ordinario di Impianti Industriali Meccanici; ex Direttore Scuola Master del Politecnico di Torino; ex Coordinatore Collegio Ingegneria Gestionale del Politecnico di Torino; responsabile di progetti finanziati europei, italiani e regionali
    Hobby: Running, sci, viaggi
    Punto di forza: Tenacia e capacità di mediazione
    Tallone d’achille: Cura per i dettagli
    Libro sul comodino: G. Trautteur, Il prigioniero libero

 Gabriella Grillo

Estratto dell’articolo pubblicato completo sul numero di Maggio 2025 de Il Giornale della Logistica

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