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«Un Papa dal cuore missionario che porterà con sè questa identità»


Intervista al tiranese mons. Luciano Capelli, dal 2007 al 2023 a capo della diocesi di Gizo (Isole Salomone): «Io ed il nuovo Pontefice siamo uniti dal servizio a una Chiesa lontana dai nostri luoghi di nascita. Forse anche per questo, all’udire il suo nome, ho provato una gioia immensa. Tra me e me ho pensato che ci voleva proprio un Papa così, con il cuore missionario»

«Lui era il vescovo a cavallo… e io il “vescovo volante” a bordo di un piccolo ultraleggero per raggiungere tutti i luoghi della mia diocesi». Non è soltanto l’utilizzo di trasporti non convenzionali ad accomunare il nuovo Papa Leone XIV, Robert Francis Prevost, a mons. Luciano Capelli, originario di Tirano, 77 anni, dal 2007 fino al 2023 alla guida della diocesi di Gizo (nelle Isole Salomone). Entrambi, infatti, sono stati vescovi missionari.

Vescovo Luciano, il successore di Pietro è un vescovo missionario, proprio come lei nelle Isole Salomone. Che emozioni ha provato la sera dell’annuncio? «Esatto, ci unisce il servizio a una Chiesa lontana dai nostri luoghi di nascita. Forse anche per questo, all’udire il suo nome, ho provato una gioia immensa. Tra me e me ho pensato che ci voleva proprio un Papa così, con il cuore missionario. Abbiamo avuto grandi Pontefici provenienti da esperienze di curia, ad esempio, o dalle principali università di tutto il mondo. Ora il Signore ha scelto, per guidare la sua Chiesa, un uomo che per tanti anni ha servito e amato con tutto il cuore la terra di missione».

Un tratto indelebile della sua personalità, dunque… «Assolutamente: sono convinto che l’esperienza in Perù del nuovo Papa sarà per lui un orizzonte indimenticabile. Porterà con sé questa identità. La vocazione missionaria parte da una chiamata e prosegue con una risposta che Leone XIV ha dato da vescovo e che continua a dare oggi, come successore di Pietro. La sua attenzione agli ultimi, a chi ha più bisogno, lo pone in grande continuità con il pontificato di Francesco: un ottimo segnale».

Conosceva già il nuovo Pontefice? «Per sentito dire, certo, avendo lui rivestito negli ultimi anni l’incarico di prefetto del Dicastero per i vescovi. Come già accennato, del Santo Padre mi ha soprattutto colpito l’esperienza missionaria. Ho trascorso sessant’anni della mia vita in Asia e in Oceania: lui era dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Bellissime le foto dell’allora vescovo Prevost a cavallo: in Perù, del resto, i sentieri di montagna non sempre permettono di muoversi in macchina…».

E lei ne sa qualcosa… «Già, anche io da vescovo di Gizo ho dovuto trovare il modo per spostarmi da un’isola all’altra. Certo, lì il cavallo non serviva: non mi avrebbe permesso di attraversare il mare (sorride, ndr). E poi nelle Isole Solomon non ci sono nemmeno i cavalli. Gli amici di Caiolo, allora, mi hanno aiutato ad ottenere un brevetto per pilotare un piccolo ultraleggero. Per dieci anni ho potuto muovermi così da un capo all’altro della mia Diocesi».

Un bel ricordo, senza dubbio. Ma anche la testimonianza di una delle sfide più grandi dell’evangelizzazione in terre così isolate. «In comunità così isolate il problema più grande è l’assenza del pastore: ci si sente soli, abbandonati. L’unico rimedio, davvero, è fare di tutto per esserci. Come il Papa avrà affrontato cavalcate di ore, così ho fatto io in volo, con qualsiasi condizione climatica. Il missionario è davvero pronto a tutto…».

Papa Leone XIV, nel suo primo discorso, ha anche parlato di ponti da costruire… «Una bellissima riflessione. Mi piace concretizzarla con la figura dell’uomo, che tiene Dio con una mano e – con l’altra – raggiunge i fratelli. Il Signore, infatti, ha detto bene: “Venite a me”. Però ha anche aggiunto: “Andate”. Ecco, questo è il compito di noi cristiani nel mondo».

E poi il richiamo all’unità, da costruire ogni giorno con azioni concrete. «Il nuovo Papa è stato superiore generale degli agostiniani: una grande famiglia, con tante realtà in tutti i continenti. Da vero pastore, ha saputo unire il proprio gregge. Mi sento di dire che il carisma dell’unità lo ha proprio nel sangue. E adesso è chiamato a metterlo a disposizione di tutto il mondo, non più soltanto della congregazione alla quale appartiene».

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L’unità, peraltro, fa il paio con la pace. «Quella “pace disarmata e disarmante” di cui il nuovo Papa ha parlato nel primo saluto. Mi viene in mente San Francesco, quando è andato a conquistare il lupo: non lo ha raggiunto con sassi e bastoni e forche, ma con un po’ di polenta. È andato disarmato. Ecco, Leone XIV ci ricorda che la vera pace si ottiene conquistando il cuore del nemico, non distruggendolo. Noi tutti, come Chiesa, siamo chiamati a fare il primo passo: solo così si può pensare di vincere le ostilità che, purtroppo, regnano anche tra di noi».

Tutti, appunto. Proprio il Pontefice lo ha detto: “Dio vi ama tutti”. «Proprio così: Dio ama tutti e va in cerca delle proprie pecorelle perdute. Il Vangelo di domenica ci ha presentato Cristo quale buon Pastore, venuto per donare vita in abbondanza. La pienezza della nostra esistenza viene proprio da Gesù, chicco di grano che, caduto in terra, muore per portare molto frutto».

Lei è tornato da pochi giorni in Italia dopo aver trascorso diverse settimane nelle Isole Salomone. Com’è andata? «Dopo venticinque anni nell’Oceano Pacifico, ho trascorso gli ultimi mesi a casa a Tirano. Ho però avvertito il bisogno di tornare là, per dare una mano al mio successore. I miei collaboratori, infatti, sono morti e il nuovo vescovo, pur conoscendo bene la realtà di Gizo essendo del luogo, si è trovato in una situazione difficile. L’ho aiutato a riorganizzare la guida della Diocesi. Il grosso è stato fatto, ma il lavoro non manca mai. Soprattutto servirebbe un sostegno economico…».

Vuole fare un appello ai nostri lettori? «In Italia abbiamo sempre meno preti. Nelle Isole Salomone, invece, è l’esatto contrario: le vocazioni sono in crescita, in teologia abbiamo nove ragazzi che presto diventeranno sacerdoti. Il problema è che il nuovo vescovo non riesce a raccogliere i fondi – si parla di tremila euro per ogni studente – per le borse di studio. Che bello sarebbe se, tra i valtellinesi, che è gente dal cuore enorme, qualcuno scegliesse di contribuire economicamente sostenendo la loro crescita e la loro formazione. Negli anni l’aiuto dei fedeli della provincia di Sondrio (e anche di Bergamo: penso agli amicidi Osio Sopra) è stato fondamentale: senza di loro, non avrei mai potuto costruire sette scuole, sette chiese e due ospedali. Sono certo che, ancora una volta, la generosità della Valtellina sarà enorme».

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