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Fratelli Beretta oltre i dazi, il presidente Vittore: «Investiti negli Usa 150 milioni in 5 anni, ora ampliamo la produzione»


di
Andrea Bonafede

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Il gruppo di famiglia da 1,1 miliardi di fatturato, noto nel mondo per i suoi salumi, guarda oltre i dazi: «Bisogna sempre farsi trovare pronti, a livello mentale e industriale. Ora siamo alla nona generazione», dice il presidente

Quando negli anni ’60 un giovane Vittore Beretta viene incaricato di prendere la guida dell’azienda di famiglia, la Fratelli Beretta, il padre Felice gli indica una cassetta posata su una scrivania, contenente atti e documenti. Vittore la prende, la apre e chiede a suo papà: «che cosa ci devo fare?». La risposta è essenziale: «ranges», ovvero «arrangiati» in dialetto brianzolo (la famiglia proviene da Barzanò, in provincia di Lecco). Da quel momento, raccontato nel libro «Little History of Fratelli Beretta» che ripercorre i 213 anni di storia della famiglia e dell’impresa, Vittore si è arrangiato, trasmettendo questa caratteristica ai figli, ai nipoti e ai pronipoti. Un tratto distintivo che, per i Beretta, significa trovare risposte prevedendo le richieste, il non aver timore delle novità e delle sfide. Mentalità che ha permesso all’azienda di decuplicare il fatturato in 25 anni — nel 2024 a quota 1 miliardo e 155 milioni di euro — e di crescere nonostante gli choc globali dell’ultimo quinquennio, non ultima la peste suina che si è diffusa in Italia e che ha costretto i mercati dell’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea del Sud) a bloccare le importazioni dal nostro Paese. «Abbiamo sempre anticipato gli investimenti, non abbiamo mai aspettato che il mercato venisse da noi. Abbiamo puntato tante risorse anche al nostro interno, tanto che abbiamo un ufficio progettazione per la costruzione degli stabilimenti. Negli ultimi cinque anni abbiamo investito 150 milioni di euro sugli Stati Uniti, dove abbiamo 4 stabilimenti», racconta Vittore Beretta, oggi presidente.

Tra tensioni commerciali e opportunità

I prodotti del gruppo con i tre marchi Beretta, Wuber e Viva la mamma — dagli affettati ai salamini, dai würstel ai piatti pronti — arrivano in 70 Paesi, ma proprio il mercato statunitense rappresenta da solo un quarto del giro d’affari (il 50% proviene invece dall’Italia, l’ultimo 25% dalle vendite nel resto del mondo). Motivo per cui, in un periodo di dazi e tensioni commerciali, avere una presenza produttiva negli Usa può agevolare Fratelli Beretta, anche se una parte (non trasferibile) delle referenze rischia di essere penalizzata. «Gli Stati Uniti sono un mercato chiave per noi: è vero che lì ci sono ottime carni e che rappresenta una consuetudine consumare prodotti derivanti dal suino, ma le tariffe ci possono mettere in difficoltà nella commercializzazione dei prodotti Dop e Igp, (25 le etichette con denominazioni, ndr), che negli Usa valgono oltre il 5% del giro d’affari — prosegue Beretta —. Inoltre, per superare la chiusura delle importazioni da parte dei Paesi dell’Est dei salumi italiani, abbiamo cominciato a esportare dagli Stati Uniti, ma ora dovremo adattarci ai dazi imposti alla Cina». E allora, in un contesto sempre più teso, instabile e imprevedibile, per continuare a crescere il segreto è guardare alle proprie radici, a ciò che si conosce e si sa fare meglio. «Non abbiamo mai smesso di fare ricerca, di ascoltare il mercato, di “restare alla moda” proponendo sempre idee nuove — dice il presidente —. Oltre agli Usa, il mercato europeo è cresciuto a doppia cifra, dalla Germania all’Inghilterra, dalla Francia all’Est Europa. Anche in Italia sono migliorati costantemente i nostri numeri. Presidiamo mercati come il Medio Oriente e l’Arabia Saudita, ovviamente nei luoghi in cui possiamo vendere, e stiamo testando anche il mercato indiano: un Paese promettente dal punto di vista numerico. Restiamo fiduciosi sulla riapertura dei Paesi orientali, perché potrebbero portare a uno sviluppo importante. Ma bisogna sempre restare pronti a livello mentale e industriale».




















































Le grandi decisioni

Non a caso, per non farsi cogliere impreparati, nei piani di Fratelli Beretta c’è la volontà, in questo momento storico, di investire per adeguare e incrementare le dimensioni degli stabilimenti produttivi (oltre ai 4 statunitensi, il gruppo ne conta 25 in Italia e uno in Cina). Aprirne di nuovi? «Avevamo un bel progetto qualche anno fa, in un Paese molto grande, ma per motivi geopolitici alla fine abbiamo dovuto rinunciare. Ci sono altri due o tre mercati in cui ci potrebbe interessare la costruzione di un nuovo sito produttivo, ma per ora non intendiamo procedere», specifica Beretta. L’arte dell’arrangiarsi, come sempre. Quella che ha permesso a Vittore Beretta, insieme a suo fratello Mario e alle generazioni successive, di rendere l’azienda di famiglia un gruppo internazionale. Sono arrivate da loro, dalla sesta generazione, molte delle idee che hanno contribuito alla crescita esponenziale di Fratelli Beretta: la decisione di puntare fin dagli albori della grande distribuzioni sulle vaschette col salume già affettato e porzionato, la diversificazione (prima con Wuber negli anni ‘70, poi con Viva la Mamma nel nuovo millennio), le acquisizioni — l’ultima in ordine cronologico è Bedogni Egidio, eccellenza del Prosciutto di Parma —, l’internazionalizzazione.

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Le nuove generazioni

E ora le nuove generazioni stanno portando l’azienda nel futuro, con gli investimenti partiti una decina di anni fa sulla filiera virtuosa. «Abbiamo puntato su allevamenti ultramoderni, che rispettino il benessere e la vita dell’animale, e abbiamo preteso lo stesso dagli allevatori e dalle aziende da cui acquistiamo la carne», dice il presidente. Il futuro, ovviamente, è nel segno del cognome Beretta. Del resto, come ha rivelato uno studio Luiss, solo il 4% delle aziende di famiglia italiane arriva alla quarta generazione. Attualmente, in Beretta ne convivono tre, con i pronipoti di Vittore che stanno cominciando a muoversi all’interno di una realtà che esiste da oltre due secoli. «Il Dna Beretta per me si articola intorno a tre pilastri. Il primo prendere l’esempio di chi ci ha preceduto, imitare e migliorare ciò che di buono è stato fatto. Il secondo è la famiglia: mantenere una concordia tra le varie generazioni, unita in un unico scopo: fare sempre bene. E poi, considerare l’azienda una grande comunità al servizio dei nostri 3 mila 500 dipendenti, dei collaboratori, degli operai: essere contenti di aiutare chi lavora con noi», conclude Beretta. Una vera e propria dinastia.

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13 maggio 2025

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