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Le prospettive e i dubbi sulla riconversione di Versalis (Eni)


Da quando, a fine ottobre 2024, Eni ha annunciato il “Piano di trasformazione, decarbonizzazione e rilancio di Versalis” sono passati ormai più di sei mesi. Eppure dei destini della consociata del cane a sei zampe che si occupa della chimica di base, e di chi ci lavora, ancora oggi sono più le incertezze che le certezze. 

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La riconversione di Versalis è cruciale per vari aspetti: 

  • si tratta in ogni caso di un’azienda storica (la famosa ex Enichem, conosciuta ancora così soprattutto dalla popolazione più anziana) che vanta più di 7mila dipendenti diretti e il doppio a livello di indotto;
  • è un banco di prova importante per una reale transizione ecologica da parte di un’azienda come Eni, che è la più importante e ricca azienda energetica italiana e che tuttavia resta ancorata a un modello fossile, estrattivista e centralizzato;
  • può fungere da modello per altre transizioni non più rinviabili, come ad esempio quella del settore automobilistico. Ad Eni va infatti riconosciuto, pur con notevoli ritardi – Versalis è in crisi da almeno 15 anni – di voler cambiare una produzione non più sostenibile, ambientalmente ed economicamente.

In questi sei mesi si sono susseguiti annunci, incontri, scontri. Qui però ripartiamo dai dati, per poi riportare gli annunci, gli scontri e gli incontri sotto la lente dall’economia circolare e del giornalismo costruttivo. L’obiettivo è di lavorare a un approfondimento che metta insieme le competenze e l’analisi di EconomiaCircolare.com con l’esame critico dell’Osservatorio Eni (qui), portato avanti dalla ong A Sud. 

Leggi anche: Eni e le altre: così le aziende preferiscono gli azionisti alla transizione energetica

I piani di Eni per la riconversione della chimica

In occasione del Piano Strategico 2024-2027, Eni a ottobre 2024 fa il grande passo, e sceglie di ridimensionare “drasticamente l’esposizione di Versalis alla chimica di base”, come scrive nel comunicato stampa annesso alla decisione. L’azienda sostiene che il settore “versa in una crisi strutturale e ormai irreversibile a livello europeo, e che ha comportato perdite economiche che, in termini di cassa, hanno sfiorato i 7 miliardi di euro negli ultimi 15 anni, di cui 3 nell’ultimo quinquennio”. 

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Il modello perseguito è analogo a quello di dieci anni prima sulla raffinazione, che ha dato poi origine alle bioraffinerie – Porto Marghera nel 2014, Gela nel 2019 e Livorno nel 2026. Anche in quel caso c’era un settore in crisi, cioè la raffinazione dei prodotti petroliferi, e dalle notevoli perdite economiche (solo la raffineria di Gela perdeva 200 milioni all’anno). In quel caso Eni ha scelto di puntare sui biocarburanti, alimentati fino al 2022 in buona parte da olio di palma proveniente soprattutto dall’Indonesia e poi da olio di ricino proveniente dal Kenya, nonché oli esausti in buona parte acquistati dalla Cina. Nonostante la mole di investimenti, incentrati anche su una comunicazione molto presente nei media, le criticità sui biocarburanti sollevate da parecchie ong (da A Sud a Transport & Environment fino a ReCommon) e da alcune inchieste giornalistiche (Report) non sono state superate. Nonostante ciò, anche il governo italiano ha scelto di supportare i progetti industriali del cane a sei zampe attraverso il Fondo Italiano per il Clima con un contributo di 75 milioni di euro.

Finora la riconversione di Versalis sembra voler perseguire lo stesso modello di riconversione: un piano di trasformazione deciso a monte dall’azienda e avallato dal governo e dalle parti sociali, senza una previa consultazione coi territori interessati: dei 26 stabilimenti produttivi di Versalis i più importanti sono in Italia, più precisamente a Priolo Gargallo, Brindisi, Ferrara, Mantova, Porto Marghera, Porto Torres, Ragusa e Ravenna.

In ogni caso Eni intende ottenere, scriveva ancora a ottobre 2024, “a valle del Piano di trasformazione e rilancio, una chimica di Versalis focalizzata su un portafoglio downstream di elevato valore composto da compounding e polimeri specializzati, biochimica e prodotti da economia circolare”. Da quell’annuncio, dopo mesi di trattative e di confronti, si è arrivati al protocollo d’intesa sulla riconversione industriale di Versalis, firmato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

“Nello specifico – scrive il Ministero – il piano prevede, da un lato, la ristrutturazione della chimica di base, con la fermata degli impianti di cracking e, dall’altro, lo sviluppo delle nuove piattaforme sostenibili della chimica circolare, bio e specializzata. A Brindisi sorgerà invece una gigafactory di accumuli stazionari sviluppato in collaborazione con Seri Industrial SpA. Queste nuove piattaforme tecnologiche garantiranno complessivamente il mantenimento dell’attuale intensità industriale e occupazionale. L’azienda ha assicurato che il piano di trasformazione sarà attuato entro cinque anni e prevede investimenti per oltre 2 miliardi di euro, con una riduzione di circa 1 milione di tonnellate di CO2, pari al 40% delle emissioni di Versalis in Italia”.

Insieme al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica il MIMIT ha promesso “un tavolo di coordinamento e monitoraggio per l’attuazione del Piano Eni”, con l’obiettivo di “garantire il rispetto di tutti gli impegni assunti, inclusi i tempi di realizzazione, la tutela dei livelli occupazionali e l’impatto sulla filiera a valle e sull’indotto”. Un accordo che è stato firmato, scrive ancora il MIMIT, “dalle organizzazioni sindacali Cisl, Femca Cisl, Uiltec Uil, Ugl e Cisal. Solo Cgil si è riservata di analizzare il testo e farlo successivamente”. Perché il sindacato italiano col maggior numero di iscritti in Italia ha optato per questa scelta?

Eni
Foto: Mauro Grigollo

Prima di rispondere a questa domanda vale la pena sottolineare che a fine marzo Versalis, la società chimica di Eni, ha annunciato l’avvio del nuovo impianto a Porto Marghera per la produzione di plastiche a partire, del tutto o in parte,  da materie prime riciclate meccanicamente. “Questo progetto  – scrive Eni – segna un ulteriore passo importante nel processo di trasformazione dell’azienda, con l’obiettivo di promuovere un’economia più circolare e più sostenibile dal punto di vista ambientale attraverso l’innovazione tecnologica e il riciclo delle plastiche post consumo. L’impianto di Porto Marghera è in grado di produrre fino a 20.000 tonnellate all’anno di polistirene cristallo (r-GPPS) e polistirene espandibile (r-EPS), utilizzando materia prima seconda (MPS) derivante dal riciclo di rifiuti di polistirene espanso (EPS) e soddisfacendo la crescente domanda di soluzioni più sostenibili dal punto di vista ambientale in diversi settori industriali e commerciali”.

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I dubbi della Cgil (e non degli altri sindacati)

Sin dai primi annunci di Eni la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, più nota come CGIL, si è mostrata scettica sulla riconversione di Versalis così come illustrata dal cane a sei zampe. Se è vero che la chimica di base ha “poco mercato”, per usare un’espressione cara ai sempre maggiori interessi finanziari di Eni, è comunque innegabile che si tratta di un settore industriale non solo ancora molto presente ma che, se abbracciasse davvero la sostenibilità e l’economia, nell’ottica dell’innovazione e della condivisione, avrebbe ancora un futuro radioso davanti a sè.

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Per la Cgil, invece, la riconversione di Versalis in Italia potrebbe significare “semplicemente” la dismissione della chimica di base. I problemi sollevati dal maggiore sindacato italiano sono sul tavolo da mesi: la presa in carico dell’indotto che lavora negli impianti italiani; i problemi di forniture di etilene, che si produce negli impianti di cracking che si avviano alla chiusura, con conseguente acquisto dall’estero per gli impianti rimasti aperti; la mancata chiarezza sui piani di trasformazione. Eppure le rassicurazioni di Eni e del governo non bastano, e il timore, ancora una volta, è che si possa replicare ciò che è avvenuto con la raffinazione, dove le bioraffinerie sorte al loro posto hanno comportato licenziamenti di massa e produzioni su cui permangono i dubbi.

Il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo ha fatto notare più volte in questi mesi alcune criticità, mai smentite fino ad ora:

  • “la decisione di Eni riguarda unicamente gli interessi dell’azienda, provocherà esuberi immediati, ridurrà la competitività del sistema manifatturiero del nostro Paese. In tutto questo il Governo che si dichiara sovranista aumenterà la dipendenza di materie strategiche dall’estero”
  • le emissioni totali di CO2 derivanti da questa operazione saranno maggiori di quelle attuali perché a quella rilasciata per la produzione in Paesi extraeuropei si dovrà aggiungere l’emissione prodotta per trasportare il prodotto in Italia”.

Dopo lo sciopero dello scorso 10 marzo lo scontro è proseguito lo scorso 2 maggio, quando al tavolo convocato dal MIMIT per un confronto con i rappresentanti sindacali della CGIL il ministro Urso sarebbe andato via tra le urla dopo poco tempo. Secondo Pino Gesmundo, segretario confederale della CGIL, il sindacato aveva chiesto informazioni dettagliate sulle imprese e sul numero di lavoratori coinvolti, e aveva chiesto la presenza di rappresentanti di Eni, di rappresentanti delle imprese dell’indotto e delle Regioni coinvolte. Tuttavia al tavolo era presente solo il Ministero. Il timore per il sindacato è che ci sia una “deresponsabilizzazione” e che si replichi ciò che è avvenuto negli anni con tante presunte riconversioni industriali che poi, alla fine dei conti, si sono rivelate delle chiusure.

“Oggi si è consumata una delle pagine più tristi per le relazioni sindacali ed industriali nel nostro Paese – ha detto Gesmundo – Dopo la scellerata scelta di Eni di smantellare la produzione della chimica di base in Italia, scelta subita dal Governo e dal Ministro Urso, ora assistiamo al fuggi fuggi generale. Fugge Eni, che non si presenta al tavolo di monitoraggio sugli effetti occupazionali sull’indotto, nonostante in sede di accordo avesse garantito in pompa magna la piena copertura dell’azienda partecipata anche sui lavoratori indiretti. E fugge il Ministro Urso che, abbandonando il tavolo di confronto, dimostra uno scarso senso di responsabilità istituzionale, scegliendo di lasciare al proprio destino migliaia di lavoratori e lavoratrici delle ditte appaltatrici e le loro rappresentanze appositamente convocate. Il miglior modo per risolvere i problemi è quello di evitarli”. 

Per il segretario confederale della CGIL “duole dirlo, ma il tutto era nell’aria: siamo di fronte a una partecipata pubblica che sceglie di abbandonare la produzione industriale per aprirsi all’intermediazione finanziaria, e di fronte a un ministro che non solo non ha avuto il coraggio di reagire alle imposizioni di Eni, ma che addirittura, senza alcun briciolo di coerenza, continua ancora oggi a sostenere in sede europea la strategicità della chimica di base e della sua produzione in paesi UE”.

Intanto lo scorso giovedì i vertici di Eni, come riportano le cronache locali, hanno incontrato a Brindisi di aziende dell’indotto pugliese. Più precisamente presso la sede di Confindustria Brindisi il direttore Trasformazioni industriali di Eni Giuseppe Ricci e l’amministratore delegato di Versalis Adriano Alfani hanno illustrato i programmi di investimento per il sito di Brindisi, legati alla nascita di Eni Storage System.

Come si intuisce dal nome del progetto, i nuovi impianti dovrebbero gestire la produzione di batterie di accumulo e si prevede la costruzione di uno, o forse più, impianti di riciclo. A gestire la nuova fase sarà una nuova compagine societaria, partecipata al 51% da Eni e al 49% da Seri Industrial, e si prevede che la nuova produzione potrà essere avviata entro dicembre 2028, mentre gli attuali impianti di cracking potrebbero essere “conservati” per una durata di 15 mesi.

 

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